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figli minori

In tema di affidamento, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole

25 Novembre 2022 Da Staff Lascia un commento

In tema di affidamento, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole.

A confermare il summenzionato principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 21425 del 6 luglio 2022.

Il caso

Una coppia, dopo un periodo di frequentazione, intraprendeva una convivenza e dalla loro relazione sentimentale nascevano due figlie. 

La madre, qualche anno dopo e senza il consenso del padre, si trasferiva con le figlie minori presso l’abitazione dei propri genitori a circa 70 km di distanza dalla casa familiare.

Il Tribunale territorialmente competente, adito dal padre, disponeva a causa di tale condotta, l’affido esclusivo delle figlie minori in favore di quest’ultimo con collocamento prevalente presso la di lui casa familiare. Il Tribunale incaricava, inoltre, i Servizi Sociali di monitorare il nucleo familiare.

La madre impugnava innanzi alla Corte d’Appello territorialmente competente il suddetto provvedimento di primo grado ma i giudici di secondo grado respingevano il reclamo dalla stessa proposto. Ciò in quanto i giudici sostenevano che lo stato di sofferenza morale e psicologico di cui era affetta la madre delle minori non poteva giustificare una scelta talmente grave ed arbitraria come quella di sradicare le figlie dal consueto ambiente familiare, amicale e scolastico, senza il consenso dell’altro genitore.

La Corte d’Appello affermava che la decisione della madre di allontanarsi con le bambine dalla casa familiare, senza il consenso paterno, era tale da giustificare il provvedimento estremo di affidamento esclusivo delle minori al padre. Veniva, pertanto, confermato l’affidamento esclusivo delle figlie al padre in quanto ritenuto un genitore maggiormente idoneo, in grado di occuparsi delle minori e supportato in tal senso da una adeguata rete familiare. 

La decisione della Corte di Cassazione

La madre proponeva, quindi, ricorso per Cassazione lamentando che la decisione di cui sopra non fosse stata supportata da alcuna approfondita indagine in merito alla idoneità genitoriale della madre ed in merito ad eventuali traumi che le minori avrebbero potuto subire a causa dell’allontanamento dalla figura materna. 

La Corte di Cassazione, con la summenzionata ordinanza, analizza quali verifiche il giudice deve necessariamente compiere prima di adottare la decisione di affidare i figli in via esclusiva ad uno solo dei genitori. 

Ebbene, gli Ermellini accolgono il ricorso presentato dalla madre e rinviano la causa alla Corte d’Appello territorialmente competente in diversa composizione per una concreta riesamina del nucleo familiare di cui in oggetto. 

Ciò in quanto i giudici di secondo grado, nel disporre l’affidamento esclusivo delle figlie al padre, non hanno valutato adeguatamente le capacità genitoriali della madre. 

Ed infatti, nell’interesse superiore dei minori, deve sempre essere assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio. Trattasi, del resto, di un diritto del minore prima ancora che dei genitori. 

Ogni decisione che si ponga il problema di privilegiare l’interesse del minore in prospettiva futura deve essere presa a seguito di un difficilissimo bilanciamento di interessi al fine di evitare di produrre al minore una sofferenza immediata qualora sia invece altamente probabile che in futuro la scelta opposta non causerebbe allo stesso un danno elevato, tale da lasciare strascichi traumatici.  

Nessuna valutazione in tal senso era stata operata dai giudici di secondo grado non essendo stata in alcun modo dimostrata la presunta inidoneità della madre che non può essere considerata tale solo per effetto della scelta sopra posta in essere.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: affidamento condiviso, affidamento esclusivo, divorzio, figli minori, minorenne, separazione, superiore interesse

Responsabilità genitoriale: decade il genitore che non si cura degli obblighi scolastici dei figli

15 Ottobre 2021 Da Staff Lascia un commento

Responsabilità genitoriale: la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20246 del 2021, ha confermato la decisione  della Corte di Appello che ha dichiarato decaduta dalla responsabilità genitoriale la madre che, tra le altre cose, non si è mai adoperata per supportare il figlio al rispetto degli obblighi scolastici.

Il caso

Un minore, su segnalazione della procura, veniva affidato dal Tribunale dei Minori al servizio sociale competente. Il procedimento nasceva su segnalazione della scuola. Ed in particolare il minore, dopo essersi trasferito presso la nonna materna, frequentava poco la scuola e manifestava opposizione verso le regole. L’accertamento dei servizi sociali metteva in luce una grave situazione familiare. La madre inadeguata a rivestire il ruolo genitoriale e il padre assente. La donna, peraltro, affetta da una patologia mentale, non seguiva le cure prescritte e non era in grado di contenere i comportamenti disfunzionali del minore.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, il Tribunale per i minorenni ex art. 330 c.c. dichiarava decaduti della responsabilità genitoriale entrambi i genitori. Il minore veniva collocato presso una comunità e alla madre veniva prescritto di frequentare il centro di salute mentale competente.

La donna ricorre in appello

La donna ritenendo ingiusto il provvedimento impugnava il provvedimento innanzi alla Corte di Appello. Quest’ultima, tuttavia, rigettava il ricorso confermando il provvedimento del Tribunale per i Minorenni.

La donna pertanto adiva anche la Corte di Cassazione adducendo tra i motivi dell’impugnazione l’insussistenza dei presupposti per la declaratoria di decadenza. Tale provvedimento, a dire della stessa, era stato adottato in base alle sue condizioni di salute

Decisione della Corte di Cassazione

Gli Ermellini investiti della questione rigettano il ricorso. Ed in particolare i giudici di legittimità rilevano che la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente le ragioni per le quali ha confermato il provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale. La ricorrente era responsabile di diverse condotte contrarie all’interesse del minore. In particolare, dall’istruttoria emergeva che la donna non ha seguito le cure prescritte per la propria malattia, non ha curato l’adempimento degli obblighi scolastici del minore.

 Anche non veritiera è l’affermazione sul mancato supporto dei Servizi Sociali, che hanno intrapreso numerosi tentativi di aiuto, tutti di fatto ostacolati.

Per quanto sopra la Suprema Corte rigettava il ricorso.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: decadenza responsabilità genitoriale, figli minori, minori

Vaccinare un minore: decide il Tribunale se i genitori non sono d’accordo

9 Giugno 2021 Da Staff Lascia un commento

La possibilità di vaccinare anche i minori contro il Covid19 ha innescato conflitti tra i genitori che in merito alla questione hanno posizioni diverse.
Non di rado succede che i genitori, soprattutto quelli separati o in fase di separazione, litigano anche sulla necessità di vaccinare o meno il figlio minore.
Ciò accade perché per sottoporre a vaccinazione i minori di età gli appositi centri chiedono il consenso di entrambi i genitori.

E’ opportuno ricordare in questa sede che l’art. 337 ter c.c. dispone che la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Pertanto le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore devono essere assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

Chi decide in caso di contrasto tra genitori non separati?

Anche i genitori che stanno insieme possono avere un diverso orientamento sull’opportunità di vaccinare o no la prole. In tali casi, considerata l’importanza delle questione (rispetto ad un semplice disaccordo, la cui soluzione, ex art. 337 ter, co. 3 c.c., sarebbe affidata al tribunale ordinario) la decisione circa la somministrazione (o non somministrazione) è demandata al Tribunale per i Minorenni. Inoltre, se la mancata vaccinazione può rappresentare un grave pregiudizio il genitore no-vax potrebbe essere destinatario di un provvedimento molto grave, limitativo della responsabilità genitoriale.

Chi decide in caso di contrasto tra genitori separati?

Nel caso in cui i genitori in disaccordo sono in fase di di separazione sarà competente della decisione il giudice della separazione. Il genitore dovrà quindi presentare un apposito ricorso per ottenere l’autorizzazione a che il minore possa essere sottoposto a vaccino. Il giudice deciderà nel prioritario e preminente interesse del minore.

Tornando al vaccino anti Covid-19, pur non essendo obbligatorio, il giudice visto il  grave pregiudizio e la grave diffusione del virus a livello nazionale, potrebbe sostenere la tesi del genitore pro vaccino. 

Gli adolescenti possono decidere in autonomia?

La volontà degli adolescenti ha un grande peso in tutte quelle decisioni che li riguardano in prima persona. I ragazzi prossimi alla maggiore età, pur essendo ancora minorenni, infatti, sono in grado di compiere scelte di vita: si pensi, ad esempio, alla possibilità di interrompere il percorso scolastico, svolgere attività lavorativa, o addirittura sposarsi (in presenza di determinate condizioni) e riconoscere figli.

Una considerazione di questo tipo potrebbe valere anche per i vaccini anti covid-19.

Persone non in grado di autodeterminarsi

Sulle vaccinazioni delle persone non in grado di autodeterminarsi o comunque ricoverate in strutture sanitarie assistite sarà necessario presentare un ricorso al Giudice tutelare del Tribunale in cui risiede l’interessato. 

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: conflitto tra i genitori, conflittualità, covid19, figli minori, responsabilità genitoriale, vaccino

In tema di atti persecutori, il comportamento petulante del padre non può configurare il reato di stalking nei confronti della madre, se giustificato da fondate preoccupazioni verso la figlia minore

19 Marzo 2021 Da Staff Lascia un commento

In tema di atti persecutori, ex art. 612 bis c.p., è possibile che le preoccupazioni di un padre per le condizioni  della propria figlia minore possano essere tali da escludere il reato di stalking nei confronti della madre della bambina?

Il caso

Tizio, padre di una bambina di quattro anni, veniva denunciato dall’ex convivente, madre della bambina, per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.

Il padre, infatti, in seguito alla separazione dalla compagna, poneva in essere nei confronti della donna,  alcune condotte consistenti in: continue telefonate, pedinamenti ed appostamenti sotto casa e nei pressi del suo luogo di lavoro.

Questione giuridica

La questione giuridica sottoposta all’attenzione dal Tribunale di Milano ed alla base della sentenza emessa da quest’ultimo è la seguente: quali sono i comportamenti ritenuti idonei ad ingenerare nei confronti della vittima un rilevante stato di ansia tale da configurare il reato di stalking?

Normativa di riferimento

La norma di riferimento in materia di atti persecutori è l’art. 612 bis c.p.

Tale disposizione punisce colui che “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita

L’elemento soggettivo richiesto in capo a chi delinque è il dolo generico; ossia la volontà di porre in essere condotte di minaccia e  molestia nella consapevolezza che le stesse siano idonee a causare gli eventi descritti.

In particolare, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli atti persecutori non devono necessariamente essere tali da dare luogo ad una situazione con risvolti patologici. In tali casi è, al contrario, sufficiente che gli stessi creino un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.

È quindi possibile escludere il reato nel caso in cui il soggetto agente non possegga il suddetto elemento soggettivo? non intendendo il soggetto attivo cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nei confronti della vittima?

Decisione del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano ha assolto Tizio dal reato di atti persecutori per mancanza dell’elemento soggettivo del reato.

In particolare, dalla ricostruzione della vicenda, emerge che Tizio avesse posto in essere comportamenti invadenti al solo fine di conoscere lo stato di salute della figlioletta.

Peraltro emerge anche che  tali condotte non hanno mai concretamente ingenerato nei confronti della ex compagna  stati di paura e di ansia.

Ed infatti, a conferma di ciò, le indagini effettuate mettono in luce che la donna non ha mai modificato le proprie abitudini di vita per paura degli atteggiamenti dell’ex convivente. Al contrario, la persona offesa si è sempre rivolta nei confronti dell’uomo utilizzando toni amichevoli e conciliativi per chiedergli favori. Tizio, invero, era addirittura in possesso di un mazzo di chiavi della casa in cui la medesima viveva.

Peraltro, a detta del Tribunale, le preoccupazioni del padre sembrano essere state “giustificate” anche da alcuni atteggiamenti della madre della bambina.  La donna, mediante la complicità di alcune amiche, aveva falsificato la firma di Tizio al fine di potere espatriare con la piccola, ingenerando in tal modo in lui il fondato timore per le sorti della loro figlia.

In conclusione, le preoccupazioni di un padre per le condizioni di vita e di salute per la propria figlia minore possono essere tali da escludere l’intenzione di realizzare atti persecutori nei confronti della  madre della bambina.

Il comportamento apprensivo e petulante tale da non ledere la libertà di autodeterminazione della vittima, non costituisce un fatto illecito. Non costituisce un fatto inquadrabile nel delitto di atti persecutori o stalking disciplinato dall’art. 612 bis c.p.

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Affidamento minori: i figli dodicenni o con capacità di discernimento hanno diritto di essere ascoltati a pena di nullità

11 Febbraio 2021 Da Staff Lascia un commento

In tema di affidamento di figli minori l’art. 337 bis c.c. prescrive l’obbligo di audizione del minore a pena di nullità quando si assumono provvedimenti sulla convivenza dei figli con uno dei genitori (Cass. Civ., Sez. I, 25 gennaio 2021 n.1474).

Il superiore principio di diritto è stato confermato dagli ermellini con la recente ordinanza n. 1474 del 2021. Ebbene, essendo il minore una parte sostanziale del procedimento diretto a stabilire le modalità di affidamento, nonché portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli dei genitori, ha diritto di esporre le proprie ragioni nel corso del processo.

Il caso

Il Tribunale di Pesaro veniva adito nell’ambito di un procedimento volto alla regolamentazione del regime di affidamento e mantenimento di minori. Il Giudicante adito disponeva: l’affidamento congiunto a entrambi i genitori dei minori nati dalla convivenza more uxorio; il collocamento prevalente dei minori presso la madre; il diritto di visita del padre secondo precise modalità.

L’uomo ricorreva in Corte di Appello

L’uomo proponeva reclamo avverso il provvedimento emesso in primo grado. Il predetto riteneva che il giudice avrebbe dovuto ascoltare almeno la figlia undicenne prima di emettere il provvedimento.

La Corte d’Appello rigettava il reclamo e confermava integralmente la decisione di prime cure, ritenendo di non procedere all’audizione dei due figli per contrasto con i loro interessi.

il padre ricorreva in Cassazione

L’uomo ritenendo ingiusto il provvedimento ricorreva avanti la Suprema Corte. In particolare il padre con il proprio atto lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 315-bis, 336-bis e 337-octies c.c., dell’art. 12
della Convenzione di New York e dell’art. 6 Cedu, per non aver la Corte territoriale disposto l’audizione almeno della figlia maggiore, di 11 anni di età e quindi perfettamente capace di esprimersi in  ordine all’affidamento.

La Suprema Corte accoglie il ricorso

Gli ermellini accoglievano le doglianze del padre. Nella propria motivazione sottolineavano che in tutti i procedimenti previsti dall’art. 337-bis c.c., in caso di assunzione di provvedimenti relativi alla convivenza e all’affidamento dei figli ad uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento a pena di nullità. 

Da tale obbligo ne consegue che il giudice deve motivare in
modo specifico e circostanziato la scelta di non procedere  all’audizione- Ciò soprattutto quando l’età del minore si avvicina a quella dei 12 anni, oltre la quale sussiste l’obbligo legale dell’ascolto. Tale onere motivazionale
ricorre non solo quando il giudice ritenga il minore incapace di discernimento o l’esame superfluo oppure in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora, invece che procedere all’ascolto diretto, opti per un ascolto c.d. “delegato”.

Nel caso di specie, il giudice di merito non si era attenuto a tali principi, escludendo l’audizione della figlia della coppia in assenza di adeguata motivazione sulla sua capacità di discernimento.

Sottolineavano gli ermellini che il mancato ascolto, se non sorretto da espressa motivazione su un’assenza di discernimento o sulla sussistenza di altre circostanze tali da giustificarne l’omissione, costituisce violazione del contraddittorio e dei principi del giusto processo.

Per questi motivi, la Corte cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione.

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Affido congiunto: è da escludere in caso di alta conflittualità tra i genitori

8 Giugno 2020 Da Staff Lascia un commento

E’ corretto negare l’affido congiunto a quei genitori che si sono rivelati incapaci di elaborare il fallimento del proprio progetto di coppia e sono quindi in costante conflitto reciproco, anche in presenza del figlio, incapaci di dialogare o accordarsi nell’interesse superiore del minore senza ricorrere ad avvocati o all’autorità giudiziaria (Cass. civ., ord. n. 5604/2020).

Pertanto l’incapacità di rapportarsi responsabilmente alla genitorialità mette a rischio l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli.

Il caso

Un uomo si rivolgeva al Tribunale di Roma chiedendo l’affido condiviso del figlio minore nato da una relazione more uxorio.

Il Tribunale adito, con decreto, rigettava la richiesta e confermava la sospensione della responsabilità genitoriale già disposta dal Tribunale per i minorenni. Determinava, altresì, il contributo mensile per il mantenimento, dovuto dal padre, e poneva le spese straordinarie a carico di entrambi i genitori nella misura del 50%.

Gli stessi proponevano reclamo nei confronti del decreto: il padre chiedeva nuovamente l’affido condiviso del figlio, oltre che la rideterminazione dell’assegno di mantenimento da esso dovuto; invece, la madre chiedeva la corresponsione di un contributo maggiore.

La CdA di Roma rigettava entrambi i reclami, adducendo le seguenti motivazioni.

In primis, a fondamento di detta decisione, vi era la constatazione di un rapporto altamente conflittuale tra i genitori. Questo elemento escludeva di default la possibilità di un affido congiunto del minore.

Con riguardo agli aspetti economici, la Corte reputava corretta la determinazione dell’assegno di mantenimento stabilita dal Tribunale in primo grado.

Da ultimo la CdA, avendo rilevato il parziale inadempimento del padre nel corrispondere l’assegno, aveva disposto che quest’ultimo fosse versato alla madre direttamente dal datore di lavoro dell’ex compagno (ai sensi dell’art. 156 c.c.).

Il ricorso in Cassazione

L’uomo impugnava la sentenza e ricorreva in Cassazione.

Innanzitutto il ricorrente contestava l’entità del mantenimento da esso dovuto. Lo stesso sottolineava come i giudici di appello non avessero in alcun modo tenuto conto della sua situazione reddituale, né avessero indagato circa le condizioni patrimoniali dell’ex compagna. Secondo il ricorrente, la donna, oltre ad essere proprietaria di svariati immobili, non avrebbe mai cercato di rendersi economicamente autonoma.

Con il secondo motivo di ricorso, l’uomo reiterava la richiesta di affido congiunto del figlio minore. Questi chiariva come il trasferimento dell’ex compagna da Milano a Roma fosse la reale causa dell’inasprimento dei rapporti tra i due genitori: infatti, a detta del ricorrente, il trasferimento del figlio presso un’altra città aveva comportato una lesione al proprio diritto alla bigenitorialità.

L’iter decisionale della Cassazione.

La Corte dichiarava inammissibili entrambi i motivi di ricorso.

Con riguardo al primo motivo la Corte rilevava che, al fine di stabilire l’entità del contributo al mantenimento del figlio posto a carico del genitore non collocatario, occorre osservare il principio di proporzionalità. Ciò significa che la misura dell’assegno deve tenere conto dei redditi di entrambi i genitori, oltre che delle esigenze del minore alla luce del tenore di vita goduto (così Cass. civ., n. 4811/2018).

La Corte rilevava come i giudici di appello avessero ampiamente esaminato i redditi di entrambi i genitori, tenuto conto delle esigenze del bambino. Dunque riteneva che la pronuncia di secondo grado fosse immune da vizi.

Anche l’ordine impartito al datore di lavoro dell’uomo di versare le somme in favore della madre era stato ritenuto insindacabile, in sede di legittimità, poiché adeguatamente motivato.

Nei casi di alta conflittualità…

la Corte precisava che l’esistenza di un rapporto di conflittualità tra le figure genitoriali non preclude l’accesso al regime dell’affido condiviso. Ciò purché si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole. Sicché non deve essere messo in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli (così Cass. civ., n. 6535/2019).

Pertanto, la decisione dei giudici di merito era da ritenersi assolutamente congrua posto il «quadro di genitorialità “assolutamente desolante”» caratterizzante la relazione tra i due soggetti.

Dalla relazione dei Servizi Sociali del Comune di Roma era altresì emerso: l’incapacità degli ex conviventi di elaborare il fallimento del progetto di coppia; il costante rifiuto dei genitori di avviare un percorso di mediazione.

Questi elementi, unitamente considerati, avevano spinto la CdA competente a confermare l’affidamento del bambino al Comune di Roma. Veniva inoltre nominato il Sindaco pro tempore tutore provvisorio e avviato un adeguato supporto psicologico.

Alla luce delle suesposte motivazioni la Suprema Corte di Cassazione rigettava il ricorso dichiarandolo inammissibile.

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Collocamento della prole: a quali condizioni può essere autorizzato il trasferimento di residenza del minore?

6 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

In tema di collocamento della prole, non rileva l’esigenza della madre di trasferirsi altrove per motivi professionali, stante la libertà di quest’ultima di perseguire le proprie ambizioni ove ritenga più opportuno (Trib. Bari, Sez. I, decreto del 6 novembre 2019)

Dunque la scelta del genitore presso cui il minore deve permanere abitualmente deve essere ispirata dal superiore interesse dello stesso. In particolare va privilegiata la stabilità affettiva ed educativa del minore, oltre che il suo equilibrio psico-fisico. 

Questione giuridica

A quali condizioni si può autorizzare il trasferimento del minore verso il luogo in cui il genitore collocatario ha deciso di trasferirsi per obiettivi professionali?

Il fatto

Un uomo ed una donna, genitori di una bambina, adivano il Tribunale per vedere omologati gli accordi relativi alla gestione della figlia minore a seguito della cessazione della convivenza. 

Gli accordi prevedevano l’affidamento condiviso della minore , il collocamento della stessa presso la madre e l’obbligo per il padre di contribuire al mantenimento. 

Successivamente la donna si trasferiva a Milano per ragioni di lavoro portando con sé la figlia. Tale trasferimento, del tutto non programmato, avveniva nel bel mezzo dell’anno scolastico. 

Pertanto il padre ricorreva dinanzi al Tribunale per i Minorenni il quale ordinava alla donna di riportare la minore a Bari. Contestualmente, sospendeva la responsabilità genitoriale della stessa.

La donna proponeva ricorso al Tribunale di Bari chiedendo l’autorizzazione al trasferimento della figlia a Milano. La donna adduceva quale motivo le migliori opportunità di studio che la piccola avrebbe avuto. Tuttavia il padre si opponeva fermamente alla richiesta. 

Decisione del Tribunale 

Il Tribunale di Bari rigettava il ricorso della donna disponendo il collocamento della minore presso il padre. Dall’istruttoria emergeva che la figura paterna era in grado di assicurare alla figlia stabilità e continuità affettiva. I giudici, inoltre, sottolineavano che il trasferimento avrebbe determinato l’allontanamento della piccola dalle figure significative. Ciò avrebbe compromesso irrimediabilmente il suo percorso di crescita. 

Premessa doverosa

L’art. 337 c.c. sancisce che che la scelta della residenza abituale del minore deve essere assunta di comune accordo dai genitori. Tale scelta va fatta tenendo conto delle capacità e delle inclinazioni dei figli. In tal senso, ormai da tempo, il criterio della “maternal preference” è stato sostituito dal principio alla bigenitorialità. Ne discende, quindi, che genitore collocatario può essere tanto la mamma quanto il papà. 

Ciò posto, come agire dinanzi ad una richiesta di trasferimento? 

In linea generale, in tema di trasferimento della prole, sono due gli interessi da tutelare: da un lato, la libertà del genitore di trasferirsi ovunque desideri; dall’altro lato, il rispetto del superiore interesse del minore. 

E’ chiaro che, nell’adozione di provvedimenti di questo tipo, l’iter da seguire non può mai essere univoco. Piuttosto, è necessaria una valutazione del singolo caso concreto volta ad individuare “benefici” e “rischi” che possano ripercuotersi nella sfera soggettiva del minore.

Il giudice, nell’autorizzare o meno il trasferimento, deve valutare la conformità di detto trasferimento all’interesse del minore. 

Dunque, nell’individuare il genitore presso il quale il minore dovrà permanere abitualmente, il giudice dovrà optare sempre per colui il quale sia maggiormente idoneo ad offrire stabilità affettiva, relazionale, educativa e ludica. 

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Dichiarazione di adottabilità dei figli minori se i genitori sono in carcere

31 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

In tema di dichiarazione dello stato di adottabilità “lo stato detentivo di lunga durata dei genitori costituisce una causa di forza maggiore non transitoria che oggettivamente impedisce un adeguato svolgimento delle funzioni genitoriali, incidendo negativamente sul diritto del bambino di vivere in un contesto unito e sereno negli anni più delicati della sua crescita” (Cassazione civile, sez. VI-1, sentenza 10 gennaio 2020, n. 319).

Il fatto

Il caso sottoposto sottoposto all’attenzione dei giudici riguardava un’ipotesi di dichiarazione di adottabilità di un minore. Il padre riteneva ingiusta la  pronuncia di primo grado e pertanto ricorreva in appello. Ma la Corte di Appello, valutato corretto l’iter motivazionale dei giudici di prime cure, confermava il provvedimento.

In particolare, sebbene l’uomo sottolineasse l’interesse del figlio a crescere nella famiglia di origine, numerosi e gravi erano le lacune del nucleo. Ebbene l’uomo, così come la moglie, si trovava in stato di detenzione con fine pena nel 2021. Inoltre, il Tribunale in passato aveva dichiarato decaduti dalla responsabilità genitoriale entrambi.

In tale situazione, i giudici di merito ritenevano che l’adottabilità del minore fosse l’unica strada percorribile per salvaguardare il minore stesso. Ma non solo. Prima di statuire in termini di adottabilità il Tribunale aveva cercato figure di riferimento all’interno dei rami parentali materno e paterno. Ma emergeva che il minore non aveva rapporti affettivi significativi con altri prossimi congiunti.   

La decisione della Corte di Cassazione

I giudici della Suprema Corte rigettavano integralmente le richieste del ricorrente. Gli ermellini ribadivano pertanto la dichiarazione di adottabilità del minore. La Corte sottolineava “lo stato di abbandono” in cui si trovava il figlio del ricorrente. In particolare i giudici sottolineavano che lo stato di detenzione congiunta dei genitori era sufficiente per dedurre lo stato di abbandono del figlio minorenne, tale da consentire la dichiarazione di adottabilità dello stesso.

Cosa si intende per abbandono del minore

Sussiste condizione di abbandono quando il comportamento dei genitori compromette o determina un grave pericolo per lo sviluppo e la formazione della personalità del minore.

Quindi il minore si considera “abbandonato” ogni volta che vi sia carenza di cure materiali, affetto ed aiuto psicologico necessari per assicurargli un equilibrato sviluppo psico-fisico. Nel caso di specie anche altri fattori deponevano per la decisione di adottabilità. In primo luogo entrambi i genitori non avevano più la responsabilità genitoriale sul figlio. Ciò determinava una valutazione negativa sulle capacità genitoriali. Peraltro sembravano non sussistere in ambito familiari rilevanti figure di riferimento. In situazioni simili il benessere del minore deve essere anteposto all’integrità familiare. 

Sul concetto di abbandono la Corte di Cassazione chiarisce che : “lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità di un minore, presuppone l’individuazione, all’esito di un rigoroso accertamento, di carenze materiali ed affettive di tale rilevanza da integrare di per sé una situazione di pregiudizio per il minore, tenuto anche conto dell’esigenza primaria che questi cresca nella famiglia di origine, esigenza che non può essere sacrificata per la semplice inadeguatezza dell’assistenza o degli atteggiamenti psicologici e/o educativi dei genitori”. 

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L’Avv. Antonella Arcoleo è iscritta all’albo dei difensori disponibili al patrocinio a spese dello Stato, noto anche come “gratuito patrocinio”, presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo.

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Lo Studio Legale Arcoleo offre il servizio di domiciliazione. Per richiedere domiciliazioni è possibile inviare una e-mail compilando il modulo presente in questa pagina o contattando la segreteria dello Studio al numero 091 345 126.
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ACCETTA E SALVA
Diritto del lavoro

Lo Studio Legale Arcoleo assiste i propri clienti nei vari ambiti del diritto del lavoro, del diritto sindacale e della previdenza sociale, fornendo consulenza sia in ambito stragiudiziale che giudiziale e con riferimento all’istaurazione, allo svolgimento ed alla cessazione del rapporto di lavoro.

A tal fine, lo Studio si avvale di molteplici apporti specialistici (consulenti del lavoro, commercialisti) anche nelle questioni che investono discipline complementari, per garantire alla clientela un’assistenza ancora più completa grazie ad un miglior coordinamento tra le diverse professionalità.

Diritto penale di famiglia

L’Avv. Antonella Arcoleo coadiuvato  da altri professionisti come avvocati psicologi e mediatori è da sempre impegnato in prima linea per difendere e tutelare i diritti fondamentali della persona in caso di abusi o violenze e offre consulenza e assistenza legale.

Assistenza alle aziende

Lo Studio Legale Arcoleo vanta un’importante esperienza nell’assistenza alle imprese.

Alla base del successo di ogni azienda vi è la particolare attenzione per gli aspetti legali strettamente correlati al business che se correttamente e tempestivamente curati garantiscono alle imprese una sensibile riduzione del contenzioso.

Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.