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affidamento esclusivo

In tema di affidamento, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole

25 Novembre 2022 Da Staff Lascia un commento

In tema di affidamento, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole.

A confermare il summenzionato principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 21425 del 6 luglio 2022.

Il caso

Una coppia, dopo un periodo di frequentazione, intraprendeva una convivenza e dalla loro relazione sentimentale nascevano due figlie. 

La madre, qualche anno dopo e senza il consenso del padre, si trasferiva con le figlie minori presso l’abitazione dei propri genitori a circa 70 km di distanza dalla casa familiare.

Il Tribunale territorialmente competente, adito dal padre, disponeva a causa di tale condotta, l’affido esclusivo delle figlie minori in favore di quest’ultimo con collocamento prevalente presso la di lui casa familiare. Il Tribunale incaricava, inoltre, i Servizi Sociali di monitorare il nucleo familiare.

La madre impugnava innanzi alla Corte d’Appello territorialmente competente il suddetto provvedimento di primo grado ma i giudici di secondo grado respingevano il reclamo dalla stessa proposto. Ciò in quanto i giudici sostenevano che lo stato di sofferenza morale e psicologico di cui era affetta la madre delle minori non poteva giustificare una scelta talmente grave ed arbitraria come quella di sradicare le figlie dal consueto ambiente familiare, amicale e scolastico, senza il consenso dell’altro genitore.

La Corte d’Appello affermava che la decisione della madre di allontanarsi con le bambine dalla casa familiare, senza il consenso paterno, era tale da giustificare il provvedimento estremo di affidamento esclusivo delle minori al padre. Veniva, pertanto, confermato l’affidamento esclusivo delle figlie al padre in quanto ritenuto un genitore maggiormente idoneo, in grado di occuparsi delle minori e supportato in tal senso da una adeguata rete familiare. 

La decisione della Corte di Cassazione

La madre proponeva, quindi, ricorso per Cassazione lamentando che la decisione di cui sopra non fosse stata supportata da alcuna approfondita indagine in merito alla idoneità genitoriale della madre ed in merito ad eventuali traumi che le minori avrebbero potuto subire a causa dell’allontanamento dalla figura materna. 

La Corte di Cassazione, con la summenzionata ordinanza, analizza quali verifiche il giudice deve necessariamente compiere prima di adottare la decisione di affidare i figli in via esclusiva ad uno solo dei genitori. 

Ebbene, gli Ermellini accolgono il ricorso presentato dalla madre e rinviano la causa alla Corte d’Appello territorialmente competente in diversa composizione per una concreta riesamina del nucleo familiare di cui in oggetto. 

Ciò in quanto i giudici di secondo grado, nel disporre l’affidamento esclusivo delle figlie al padre, non hanno valutato adeguatamente le capacità genitoriali della madre. 

Ed infatti, nell’interesse superiore dei minori, deve sempre essere assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio. Trattasi, del resto, di un diritto del minore prima ancora che dei genitori. 

Ogni decisione che si ponga il problema di privilegiare l’interesse del minore in prospettiva futura deve essere presa a seguito di un difficilissimo bilanciamento di interessi al fine di evitare di produrre al minore una sofferenza immediata qualora sia invece altamente probabile che in futuro la scelta opposta non causerebbe allo stesso un danno elevato, tale da lasciare strascichi traumatici.  

Nessuna valutazione in tal senso era stata operata dai giudici di secondo grado non essendo stata in alcun modo dimostrata la presunta inidoneità della madre che non può essere considerata tale solo per effetto della scelta sopra posta in essere.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: affidamento condiviso, affidamento esclusivo, divorzio, figli minori, minorenne, separazione, superiore interesse

Sindrome della madre malevola: non basta a giustificare l’affido super esclusivo al padre

23 Giugno 2022 Da Staff Lascia un commento

Sindrome della madre malevola non basta a giustificare l’affido super esclusivo al padre.

La sindrome da alienazione parentale (PAS) o la sindrome della madre malevola (MMS) non sono qualificabili quali patologie riconosciute scientificamente e non possono, quindi, giustificare un provvedimento di affido super esclusivo a favore di un coniuge. Così decide la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 17.05.2021 n. 13217.

Il caso

Il Tribunale concedeva l’affido esclusivo della minore al padre, regolamentando le visite della madre. Il padre proponeva reclamo e chiedeva l’affido super esclusivo, oltre a visite della madre protette con l’ausilio degli assistenti sociali.

La madre si opponeva e chiedeva l’affido condiviso, con collocamento prevalente presso di sé. 

La Corte di Appello Territoriale accoglieva il reclamo del padre e disponeva l’affido super esclusivo in suo favore sulla base delle risultanze delle CTU, da cui emergeva che la donna fosse affetta dalla sindrome della madre malevola (cosiddetta MMS).

La madre ricorre in Cassazione contro la decisione della Corte di Appello. 

La decisione della Suprema Corte

Ad avviso della Suprema Corte, il giudice di merito ha disposto l’affidamento super esclusivo a favore del padre non curandosi di quale fosse il migliore sviluppo della personalità del minore. Ed inoltre, non effettuando una prognosi sulle capacità genitoriali della madre, il giudice di merito si è soffermato soltanto su degli episodi insufficienti a fondare il provvedimento di affidamento super esclusivo.

Secondo gli ermellini, la sindrome della madre malevola non è riconosciuta scientificamente. Pertanto la valutazione del giudice avrebbe dovuto essere più ampia e considerare ogni aspetto, compresa la possibilità della madre di intraprendere un percorso di recupero delle proprie capacità genitoriali.

Non è, infatti, corretto attribuire rilevanza ai limiti caratteriali della stessa considerando che ella non ha dimostrato trascuratezza o incuria verso al figlia. 

Secondo la Corte, i fatti ascritti alla ricorrente non presentano una gravità tale da legittimare il provvedimento di super affido, non essendo state accertate irrecuperabili carenze di espressione delle capacità genitoriali.

Il giudice di merito ha, inoltre, trascurato le conseguenze di una simile decisione sulla minore. Decisione che causerebbe una rilevante attenuazione dei rapporti con l’altro genitore che provoca un provvedimento di super affido. 

Il giudice deve evitare di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancora più gravi di quelli che intendono scongiurare.

Il criterio fondamentale è l’interesse del minore

Il giudice è tenuto ad analizzare la condotta genitoriale e acclarare la sussistenza di effettive carenze. Nel caso di specie, si è fatto genericamente riferimento a condotte scorrette tenute dalla donna. Si è fatto riferimento anche alle gravi ripercussioni sulla bambina, senza in realtà indicare i pregiudizi specifici patiti dalla minore. Il giudice deve sempre attenersi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore interesse del minore, privilegiando il genitore che riduce il pregiudizio che il bambino può subire in seguito alla disgregazione della famiglia. Trattasi di un giudizio prognostico incentrato sulle capacità affettive del genitore, non suscettibile di censure in sede di legittimità.

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Affido super esclusivo? no se a fondarlo è la PAS

28 Maggio 2021 Da Staff Lascia un commento

Con l’ordinanza n. 13217 del maggio del 2021, la Corte di Cassazione torna a fornire una guida da seguire nel caso in cui un genitore chieda in giudizio l’affido del figlio minore nelle forme dell’affidamento super esclusivo.

Il caso

Nel caso di specie la richiesta trovava fondamento nella circostanza che l’altro genitore (la madre nel caso de quo) era stata dichiarata, in sede di consulenza tecnica di ufficio sull’incapacità genitoriale, affetta dalla “sindrome della madre malevole” o c.d. pas.

La corte di Cassazione cassava la sentenza della Corte di Appello, con rinvio ad altra corte territoriale, accogliendo le doglianze della madre.

Decisione dei giudici di merito

Il Giudice di secondo grado aveva ritenuto sussistenti i presupposti per l’affido super esclusivo al padre. Dalla C.T.U era emersa un’elevata conflittualità dei genitori, un grave problema di comunicazione tra i due e una grave carenza nelle capacità genitoriali della donna. Dai colloqui clinici era emersa la volontà della madre di tenere la bambina solo per sé, escludendo la figura genitoriale paterna; una forte resistenza a cambiare le proprie convinzioni e l’influenza negativa della famiglia materna, con prospettive rischiose per la bambina.

Da qui era nata la necessità di collocare la minore presso il padre, ritenuto genitore capace di darle serenità ed equilibrio.
Tali conclusioni venivano confermate anche dalla seconda consulenza tecnica. Tale ultima consulenza aveva rilevato la necessità di affidare la minore solo al padre. Ciò poiché la madre risultava affetta da “
sindrome della madre malevola” che la portava ad escludere totalmente la figura paterna dalla vita della figlia. La Corte aveva così fondato su detto accertamento tecnico la propria decisione, ritenendo gli esito della CTU attendibili perché basate su “risultanze cliniche, oggetto di specifico accertamento di fatto.”

La donna ricorreva in Cassazione

La madre ricorreva in Cassazione, i cui Giudici accoglievano il ricorso ritenendo fondati i quattro motivi del ricorso. Gli ermellini chiarivano che, quando un genitore denuncia comportamenti dell’altra figura genitoriale riconducibili alla c.d. sindrome da alienazione parentale, per procedere alla modifica delle condizioni di affidamento, il giudice è tenuto ad accertare la veridicità di detti comportamenti.

Un genitore infatti è ritenuto idoneo anche per la capacità di preservare i rapporti della prole con l’altro genitore. Ciò tutela il diritto del minore alla bigenitorialità e a una crescita sana ed equilibrata. Nell’aderire alle conclusioni di un accertamento peritale il giudice non poteva limitarsi a richiamare le conclusioni dei consulenti. Egli è chiamato ad accertare la validità scientifica delle risultanze. Ciò al fine di evitare che “soluzioni prive del necessario conforto scientifico risultino alla fine potenzialmente produttive di danni ancora più gravi di quelli che intendono scongiurare.”

La Corte rilevava pertanto che le conclusioni sulle capacità genitoriale della madre non risultavano chiare. In molti punti apparivano generiche. Sebbene la ricorrente avesse in effetti ostacolato in qualche occasione il rapporto padre e figlia doveva tenersi in conto come fosse pure stato accertato che la madre manteneva comunque una condotta di accudimento nei confronti della minore.

Per la Cassazione “i fatti ascritti dalla Corte territoriale alla ricorrente non presentano la gravità legittimante la pronuncia impugnata, in mancanza di accertate, irrecuperabili carenze d’espressione delle capacità genitoriali” tali da giustificare il super affido al padre in un’età in cui, per la bambina, la figura materna è così importante.

Per queste ragioni si giungeva alla pronuncia di cassazione con rinvio ad altra Corte territoriale, per trattare nuovamente la questione.

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Sindrome da alienazione parentale (PAS), cosa è?

18 Settembre 2020 Da Staff Lascia un commento

La sindrome da alienazione parentale (PAS – Parental Alienation Syndrome) è una dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in separazioni e divorzi altamente conflittuali.

In tale materia è molto  interessante una sentenza Tribunale di Brescia.

In particolare, il Tribunale di Brescia con la sentenza n. 815/2019 ha individuato otto sintomi dai quali è possibile desumere nei figli la sindrome da alienazione parentale. Purtroppo nei casi di separazione o divorzio spesso accade che uno dei genitori metta in atto una campagna denigratoria nei confronti dell’altro. Ciò al fine di tenere il figlio per sé o semplicemente per danneggiare il coniuge, a tutto danno del minore stesso. Nel caso di specie i consulenti incaricati hanno messo in luce che i figli di genitori in conflitto corrono il rischio di sviluppare disturbi della personalità o disturbi d’identità di genere.

Il caso

Una donna chiedeva la separazione con addebito al marito accusato di essere marito e padre assente. L’uomo veniva anche accusato di avere continuamente offeso e denigrato la moglie. Quest’ultima chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno. L’uomo, costituitosi in giudizio, negava le accuse, sostenendo che il fallimento del matrimonio derivava dall’infedeltà della moglie. Peraltro, l’uomo chiedeva il risarcimento del danno subito in quanto la moglie avrebbe ostacolato i rapporti con la figlia.

Durante la pendenza del procedimento di separazione la donna denunciava il marito accusandolo di avere toccato nelle parti intime la figlia minore. A causa di ciò, il diritto di visita veniva disposto in forma protetta.Durante l’istruttoria veniva disposta l’attivazione dei servizi sociali con compiti di sostegno e monitoraggio. Veniva, inoltre, disposta una CTU al fine di appurare i rapporti tra la minore e i genitori.

Conclusa l’istruttoria, il Tribunale di Brescia dichiarava la separazione dei coniugi. Respingeva la domanda di addebito della moglie e accoglieva quella del marito, il quale aveva provato l’infedeltà della donna a cui non veniva riconosciuto l’assegno di mantenimento.

Provvedimenti nell’interesse della figlia

Il Tribunale evidenziava che l’atteggiamento della minore coinvolta nella separazione era peggiorato nel tempo. In particolare la minore manifestava un ostinato rifiuto ad avvicinarsi al padre. In particolare nonostante l’intervento del Servizio Sociale, il rapporto sembrava peggiorare e ciò nonostante il padre manifestasse la propria disponibilità e attenzione nei confronti della figlia. 

Il CTU, il quale riteneva irragionevole l’opposività della minore nei confronti del padre, riconduceva l’atteggiamento alla Sindrome da Alienazione Parentale. Il CTU definiva la PAS “una controversa dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzi.” La sindrome si caratterizza per la compresenza dei seguenti 8 aspetti:

campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante”;

razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali”;

mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo”, mentre l’altro genitore è ” tutto positivo”;

fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore;

appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;

assenza di senso di colpa;

scenari presi a prestito, ossia affermazioni che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente;

estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.

Secondo il CTU  in casi simili “quando un minore rifiuta di frequentare un genitore (…) potrebbe sviluppare un disturbo di identità di genere, o un disturbo di personalità paranoide o antisociale.”

Esiti della CTU

Peraltro, in sede di CTU emergeva che la madre da anni metteva in atto un sistematico atteggiamento di svalutazione del padre. Peraltro, la donna La manifestava di voler esercitare un controllo unilaterale sugli incontri padre-figlia, dichiarando di preferire la figlia in una comunità, piuttosto che con il coniuge. La donna, inoltre, si era dimostrata ostile nei confronti di chiunque si avvicinasse alla figlia solo perché si adoperava nell’avvicinare la minore al padre.  Violava così il diritto della bambina alla bigenitorialità.

Decisione del Tribunale di Brescia

Alla luce di tali gravi atteggiamenti il Tribunale disponeva il collocamento della minore presso il padre che, “si è rivelato un genitore adeguato, dotato di buone competenze e sinceramente interessato a recuperare la relazione con la figlia.” Gli incontri con la madre, invece, dovevano avvenire per tre volte alla settimana alla presenza di un educatore.

Potrebbe anche interessarti “Affido congiunto: è da escludere in caso di alta conflittualità tra i genitori”. Leggi qui.

 
 
 

 

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Affido congiunto: è da escludere in caso di alta conflittualità tra i genitori

8 Giugno 2020 Da Staff Lascia un commento

E’ corretto negare l’affido congiunto a quei genitori che si sono rivelati incapaci di elaborare il fallimento del proprio progetto di coppia e sono quindi in costante conflitto reciproco, anche in presenza del figlio, incapaci di dialogare o accordarsi nell’interesse superiore del minore senza ricorrere ad avvocati o all’autorità giudiziaria (Cass. civ., ord. n. 5604/2020).

Pertanto l’incapacità di rapportarsi responsabilmente alla genitorialità mette a rischio l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli.

Il caso

Un uomo si rivolgeva al Tribunale di Roma chiedendo l’affido condiviso del figlio minore nato da una relazione more uxorio.

Il Tribunale adito, con decreto, rigettava la richiesta e confermava la sospensione della responsabilità genitoriale già disposta dal Tribunale per i minorenni. Determinava, altresì, il contributo mensile per il mantenimento, dovuto dal padre, e poneva le spese straordinarie a carico di entrambi i genitori nella misura del 50%.

Gli stessi proponevano reclamo nei confronti del decreto: il padre chiedeva nuovamente l’affido condiviso del figlio, oltre che la rideterminazione dell’assegno di mantenimento da esso dovuto; invece, la madre chiedeva la corresponsione di un contributo maggiore.

La CdA di Roma rigettava entrambi i reclami, adducendo le seguenti motivazioni.

In primis, a fondamento di detta decisione, vi era la constatazione di un rapporto altamente conflittuale tra i genitori. Questo elemento escludeva di default la possibilità di un affido congiunto del minore.

Con riguardo agli aspetti economici, la Corte reputava corretta la determinazione dell’assegno di mantenimento stabilita dal Tribunale in primo grado.

Da ultimo la CdA, avendo rilevato il parziale inadempimento del padre nel corrispondere l’assegno, aveva disposto che quest’ultimo fosse versato alla madre direttamente dal datore di lavoro dell’ex compagno (ai sensi dell’art. 156 c.c.).

Il ricorso in Cassazione

L’uomo impugnava la sentenza e ricorreva in Cassazione.

Innanzitutto il ricorrente contestava l’entità del mantenimento da esso dovuto. Lo stesso sottolineava come i giudici di appello non avessero in alcun modo tenuto conto della sua situazione reddituale, né avessero indagato circa le condizioni patrimoniali dell’ex compagna. Secondo il ricorrente, la donna, oltre ad essere proprietaria di svariati immobili, non avrebbe mai cercato di rendersi economicamente autonoma.

Con il secondo motivo di ricorso, l’uomo reiterava la richiesta di affido congiunto del figlio minore. Questi chiariva come il trasferimento dell’ex compagna da Milano a Roma fosse la reale causa dell’inasprimento dei rapporti tra i due genitori: infatti, a detta del ricorrente, il trasferimento del figlio presso un’altra città aveva comportato una lesione al proprio diritto alla bigenitorialità.

L’iter decisionale della Cassazione.

La Corte dichiarava inammissibili entrambi i motivi di ricorso.

Con riguardo al primo motivo la Corte rilevava che, al fine di stabilire l’entità del contributo al mantenimento del figlio posto a carico del genitore non collocatario, occorre osservare il principio di proporzionalità. Ciò significa che la misura dell’assegno deve tenere conto dei redditi di entrambi i genitori, oltre che delle esigenze del minore alla luce del tenore di vita goduto (così Cass. civ., n. 4811/2018).

La Corte rilevava come i giudici di appello avessero ampiamente esaminato i redditi di entrambi i genitori, tenuto conto delle esigenze del bambino. Dunque riteneva che la pronuncia di secondo grado fosse immune da vizi.

Anche l’ordine impartito al datore di lavoro dell’uomo di versare le somme in favore della madre era stato ritenuto insindacabile, in sede di legittimità, poiché adeguatamente motivato.

Nei casi di alta conflittualità…

la Corte precisava che l’esistenza di un rapporto di conflittualità tra le figure genitoriali non preclude l’accesso al regime dell’affido condiviso. Ciò purché si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole. Sicché non deve essere messo in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli (così Cass. civ., n. 6535/2019).

Pertanto, la decisione dei giudici di merito era da ritenersi assolutamente congrua posto il «quadro di genitorialità “assolutamente desolante”» caratterizzante la relazione tra i due soggetti.

Dalla relazione dei Servizi Sociali del Comune di Roma era altresì emerso: l’incapacità degli ex conviventi di elaborare il fallimento del progetto di coppia; il costante rifiuto dei genitori di avviare un percorso di mediazione.

Questi elementi, unitamente considerati, avevano spinto la CdA competente a confermare l’affidamento del bambino al Comune di Roma. Veniva inoltre nominato il Sindaco pro tempore tutore provvisorio e avviato un adeguato supporto psicologico.

Alla luce delle suesposte motivazioni la Suprema Corte di Cassazione rigettava il ricorso dichiarandolo inammissibile.

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