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collocamento presso la madre

Mancato ascolto del minore: violazione del contraddittorio

1 Aprile 2022 Da Staff Lascia un commento

Il mancato ascolto del minore infra-dodicenne  circa il genitore con il quale vorrebbe vivere costituisce violazione del contraddittorio.

A stabilire il superiore principio di diritto è la Cassazione con l’ordinanza n. 7262 del 4 marzo 2022.

Ed in particolare è ormai noto che nell’ambito del giudizio di affidamento e di collocamento, il minore ha il diritto di essere sentito.

Altrimenti,  in caso di assenza di interpello senza una valida ragione, emerge una violazione del fondamentale principio processualistico de contraddittorio.

Il caso

Una madre presentava ricorso in Cassazione lamentando che le figlie minori erano state affidate al padre e collocate presso l’abitazione dei nonni senza però che le predette fossero state ascoltate.

L’ascolto del minore

La Suprema Corte accoglie il ricorso della donna. Il provvedimento della Cassazione si basa sull’assunto che il minore abbia il diritto ad essere ascoltato. Ciò perché i minori sono portatori di interessi diversi da quelli dei genitori, e talvolta opposti, nei procedimenti giudiziari che li vedono coinvolti.

Dunque il minore costituisce parte sostanziale in tali giudizi, come nel caso di un procedimento sull’affidamento e sul diritto di visita.

Nell’ambito di tali procedimenti la tutela dell’interesse del soggetto non ancora maggiorenne viene realizzata attraverso la previsione di ascolto, la cui omissione, in assenza di espressa motivazione sul mancato discernimento, determina violazione del contraddittorio.

Il provvedimento adottato in tale violazione è quindi da ritenersi nullo.

Il superiore interesse del minore

Il giudice della separazione e del divorzio, nell’adozione delle decisioni che riguardano l’affidamento e il collocamento, deve conformarsi al criterio primario dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole ex artt. 337 bis cod. civ. e art. 6 della legge n. 898/1970.

Il giudice deve privilegiare il genitore che sia maggiormente tutelante e adatto a ridurre al minimo i danni causati dalla disgregazione del nucleo familiare.

L’individuazione di tale genitore è frutto di un giudizio prognostico relativo alla capacità dei genitori di occuparsi della crescita e dell’educazione della prole.

Davanti, quindi, alla decisione del giudice di derogare al regime ordinario dell’affido condiviso, frutto del rispetto del diritto della bigenitorialità, il giudice deve formulare il giudizio prognostico e ascoltare il minore infradodicenne in merito a quale sia il genitore con cui preferisce vivere prevalentemente.

il mancato ascolto quindi, alla luce di quanto sopra, renderebbe nullo il provvedimento.

Potrebbe anche interessarti “L’affidamento condiviso non presuppone la frequentazione paritaria”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: collocamento minori, collocamento presso il padre, collocamento presso la madre, divorzio, minore, separazione

Sindrome da alienazione parentale (PAS), cosa è?

18 Settembre 2020 Da Staff Lascia un commento

La sindrome da alienazione parentale (PAS – Parental Alienation Syndrome) è una dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in separazioni e divorzi altamente conflittuali.

In tale materia è molto  interessante una sentenza Tribunale di Brescia.

In particolare, il Tribunale di Brescia con la sentenza n. 815/2019 ha individuato otto sintomi dai quali è possibile desumere nei figli la sindrome da alienazione parentale. Purtroppo nei casi di separazione o divorzio spesso accade che uno dei genitori metta in atto una campagna denigratoria nei confronti dell’altro. Ciò al fine di tenere il figlio per sé o semplicemente per danneggiare il coniuge, a tutto danno del minore stesso. Nel caso di specie i consulenti incaricati hanno messo in luce che i figli di genitori in conflitto corrono il rischio di sviluppare disturbi della personalità o disturbi d’identità di genere.

Il caso

Una donna chiedeva la separazione con addebito al marito accusato di essere marito e padre assente. L’uomo veniva anche accusato di avere continuamente offeso e denigrato la moglie. Quest’ultima chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno. L’uomo, costituitosi in giudizio, negava le accuse, sostenendo che il fallimento del matrimonio derivava dall’infedeltà della moglie. Peraltro, l’uomo chiedeva il risarcimento del danno subito in quanto la moglie avrebbe ostacolato i rapporti con la figlia.

Durante la pendenza del procedimento di separazione la donna denunciava il marito accusandolo di avere toccato nelle parti intime la figlia minore. A causa di ciò, il diritto di visita veniva disposto in forma protetta.Durante l’istruttoria veniva disposta l’attivazione dei servizi sociali con compiti di sostegno e monitoraggio. Veniva, inoltre, disposta una CTU al fine di appurare i rapporti tra la minore e i genitori.

Conclusa l’istruttoria, il Tribunale di Brescia dichiarava la separazione dei coniugi. Respingeva la domanda di addebito della moglie e accoglieva quella del marito, il quale aveva provato l’infedeltà della donna a cui non veniva riconosciuto l’assegno di mantenimento.

Provvedimenti nell’interesse della figlia

Il Tribunale evidenziava che l’atteggiamento della minore coinvolta nella separazione era peggiorato nel tempo. In particolare la minore manifestava un ostinato rifiuto ad avvicinarsi al padre. In particolare nonostante l’intervento del Servizio Sociale, il rapporto sembrava peggiorare e ciò nonostante il padre manifestasse la propria disponibilità e attenzione nei confronti della figlia. 

Il CTU, il quale riteneva irragionevole l’opposività della minore nei confronti del padre, riconduceva l’atteggiamento alla Sindrome da Alienazione Parentale. Il CTU definiva la PAS “una controversa dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzi.” La sindrome si caratterizza per la compresenza dei seguenti 8 aspetti:

campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante”;

razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali”;

mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo”, mentre l’altro genitore è ” tutto positivo”;

fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore;

appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;

assenza di senso di colpa;

scenari presi a prestito, ossia affermazioni che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente;

estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.

Secondo il CTU  in casi simili “quando un minore rifiuta di frequentare un genitore (…) potrebbe sviluppare un disturbo di identità di genere, o un disturbo di personalità paranoide o antisociale.”

Esiti della CTU

Peraltro, in sede di CTU emergeva che la madre da anni metteva in atto un sistematico atteggiamento di svalutazione del padre. Peraltro, la donna La manifestava di voler esercitare un controllo unilaterale sugli incontri padre-figlia, dichiarando di preferire la figlia in una comunità, piuttosto che con il coniuge. La donna, inoltre, si era dimostrata ostile nei confronti di chiunque si avvicinasse alla figlia solo perché si adoperava nell’avvicinare la minore al padre.  Violava così il diritto della bambina alla bigenitorialità.

Decisione del Tribunale di Brescia

Alla luce di tali gravi atteggiamenti il Tribunale disponeva il collocamento della minore presso il padre che, “si è rivelato un genitore adeguato, dotato di buone competenze e sinceramente interessato a recuperare la relazione con la figlia.” Gli incontri con la madre, invece, dovevano avvenire per tre volte alla settimana alla presenza di un educatore.

Potrebbe anche interessarti “Affido congiunto: è da escludere in caso di alta conflittualità tra i genitori”. Leggi qui.

 
 
 

 

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Bigenitorialità: diritto da preservare a qualsiasi costo?

24 Agosto 2020 Da Staff Lascia un commento

In una recente sentenza, la Cassazione affronta il tema del diritto alla bigenitorialità, chiedendosi se questo sia un diritto da preservare a tutti i costi o se sia necessario porre delle condizioni.

Con pronuncia n. 9143/2020, i Giudici di legittimità statuiscono il principio secondo il quale il giudizio di previsione da compiere sui genitori in ordine alla capacità degli stessi di crescere ed educare il figlio, non può prescindere dal rispetto e dalla tutela alla bigenitorialità. Ciò significa che, pur dovendosi tenere conto del modo in cui i genitori svolgono il proprio ruolo, prestano la propria educazione, attenzione e disponibilità al figlio, non può trascurarsi l’esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell’ esistenza del figlio.

Il diritto alla bigenitorialità è in grado di garantire al figlio una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi. Consente poi a questi di adempiere al comune dovere di cooperare nell’ assistenza, educazione ed istruzione del minore.

Il caso

Un uomo  depositava avanti al Tribunale per i minorenni di Lecce ricorso ex art. 333 c.c. al fine di ottenere la riorganizzazione delle competenze genitoriali. Chiedeva altresì l’esclusione della madre dall’esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio. Questa, secondo il ricorrente, aveva poste in essere condotte ostacolanti per il padre. Sentita in sede di giudizio, la donna asseriva che il figlio rifiutava il padre a causa dei numerosi episodi di violenza a cui questo aveva assistito.

Con decreto dell’11 luglio 2019 il Tribunale per i minorenni di Lecce, sulla scorta di un’elevata conflittualità dei genitori, disponeva il collocamento del padre e del figlio presso un’idonea comunità educativa.

Lo stesso provvedimento, a seguito di reclamo da parte della madre, veniva poi confermato dalla Corte d’Appello di Lecce. Per confermare la precedente decisione, il Collegio aveva tenuto conto del persistente rifiuto del minore ad incontrare il padre nonché di un continuo condizionamento sia da parte delle figure parentali che della madre. Per tali ragioni riteneva opportuno che il minore e il padre affermassero la loro relazione. Affermava, inoltre, che non avevano alcun rilievo i comportamenti penalmente illeciti  rilevati dalla donna non esistendo alcun accertamento giudiziario in merito. 

Avverso la decisione della Corte d’Appello, la madre proponeva ricorso per Cassazione. 

La questione giuridica

La questione affrontata dai Giudici di merito attiene al tema della tutela al diritto alla bigenitorialità, ossia della necessaria compresenza dei genitori nella vita dei figli. Ma sino a che punto tale diritto deve essere garantito?

Il ragionamento della Corte di Cassazione

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione riporta alcuni dei principi fondamentali in tema di provvedimenti riguardanti i figli. Gli Ermellini ritengono corretto il diritto del minore ad un costante e proficuo rapporto con ambedue le figure genitoriali. Nel caso di specie questo era stato limitato dall’atteggiamento ostativo della madre che, a sua volta, aveva generato nel figlio un senso di rifiuto verso il genitore non convivente.

E’ compito del Giudice adottare il provvedimento che ponga al centro dell’attenzione il minore assicurando a questo un costante e proficuo rapporto con entrambi i genitori. Ciò si traduce nel diritto del minore ad un equo e sereno rapporto con il padre e con la madre. Ciò, nonostante i genitori siano coinvolti in procedimenti penali o in qualsivoglia doglianza di altra natura. Il principio cardine è quello del best interest of child inteso proprio come primazia degli interessi e dei diritti del minore.

La soluzione

Nel caso di specie gli Ermellini hanno ritenuto infondate le accuse della madre confermando di fatto la decisione dei Giudici di merito. In particolare, la Corte di Cassazione ha sottolineato che i Giudici territoriali, in linea di principio, abbiano adeguatamente considerato i bisogni del minore. Alla luce di ciò, tuttavia, la decisione degli Ermellini nel caso in esame sembrerebbe lasciare sullo sfondo l’interesse del minore dinanzi alla bigenitorialità. Ed invero, la decisione adottata non ha considerato il potenziale trauma nel bambino privato delle proprie abitudini di vita. 

Potrebbe anche interessarti:”Collocamento della prole: a quali condizioni può essere autorizzato il trasferimento del minore?”. Leggi qui.

 

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Collocamento della prole: a quali condizioni può essere autorizzato il trasferimento di residenza del minore?

6 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

In tema di collocamento della prole, non rileva l’esigenza della madre di trasferirsi altrove per motivi professionali, stante la libertà di quest’ultima di perseguire le proprie ambizioni ove ritenga più opportuno (Trib. Bari, Sez. I, decreto del 6 novembre 2019)

Dunque la scelta del genitore presso cui il minore deve permanere abitualmente deve essere ispirata dal superiore interesse dello stesso. In particolare va privilegiata la stabilità affettiva ed educativa del minore, oltre che il suo equilibrio psico-fisico. 

Questione giuridica

A quali condizioni si può autorizzare il trasferimento del minore verso il luogo in cui il genitore collocatario ha deciso di trasferirsi per obiettivi professionali?

Il fatto

Un uomo ed una donna, genitori di una bambina, adivano il Tribunale per vedere omologati gli accordi relativi alla gestione della figlia minore a seguito della cessazione della convivenza. 

Gli accordi prevedevano l’affidamento condiviso della minore , il collocamento della stessa presso la madre e l’obbligo per il padre di contribuire al mantenimento. 

Successivamente la donna si trasferiva a Milano per ragioni di lavoro portando con sé la figlia. Tale trasferimento, del tutto non programmato, avveniva nel bel mezzo dell’anno scolastico. 

Pertanto il padre ricorreva dinanzi al Tribunale per i Minorenni il quale ordinava alla donna di riportare la minore a Bari. Contestualmente, sospendeva la responsabilità genitoriale della stessa.

La donna proponeva ricorso al Tribunale di Bari chiedendo l’autorizzazione al trasferimento della figlia a Milano. La donna adduceva quale motivo le migliori opportunità di studio che la piccola avrebbe avuto. Tuttavia il padre si opponeva fermamente alla richiesta. 

Decisione del Tribunale 

Il Tribunale di Bari rigettava il ricorso della donna disponendo il collocamento della minore presso il padre. Dall’istruttoria emergeva che la figura paterna era in grado di assicurare alla figlia stabilità e continuità affettiva. I giudici, inoltre, sottolineavano che il trasferimento avrebbe determinato l’allontanamento della piccola dalle figure significative. Ciò avrebbe compromesso irrimediabilmente il suo percorso di crescita. 

Premessa doverosa

L’art. 337 c.c. sancisce che che la scelta della residenza abituale del minore deve essere assunta di comune accordo dai genitori. Tale scelta va fatta tenendo conto delle capacità e delle inclinazioni dei figli. In tal senso, ormai da tempo, il criterio della “maternal preference” è stato sostituito dal principio alla bigenitorialità. Ne discende, quindi, che genitore collocatario può essere tanto la mamma quanto il papà. 

Ciò posto, come agire dinanzi ad una richiesta di trasferimento? 

In linea generale, in tema di trasferimento della prole, sono due gli interessi da tutelare: da un lato, la libertà del genitore di trasferirsi ovunque desideri; dall’altro lato, il rispetto del superiore interesse del minore. 

E’ chiaro che, nell’adozione di provvedimenti di questo tipo, l’iter da seguire non può mai essere univoco. Piuttosto, è necessaria una valutazione del singolo caso concreto volta ad individuare “benefici” e “rischi” che possano ripercuotersi nella sfera soggettiva del minore.

Il giudice, nell’autorizzare o meno il trasferimento, deve valutare la conformità di detto trasferimento all’interesse del minore. 

Dunque, nell’individuare il genitore presso il quale il minore dovrà permanere abitualmente, il giudice dovrà optare sempre per colui il quale sia maggiormente idoneo ad offrire stabilità affettiva, relazionale, educativa e ludica. 

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