Corte di Cassazione, ordinanza n. 13570/2024
In caso di disaccordo tra i genitori separati (ed entrambi affidatari) sulla scelta della scuola del figlio, pubblica o privata religiosa, la laicità dello Stato non può trasformarsi in un principio superiore rispetto a tutti gli altri al punto da orientare necessariamente la scelta verso un istituto pubblico.
IL CASO
Nell’ambito di una causa di divorzio, una donna presentava un ricorso al fine di ottenere l’autorizzazione ad iscrivere il figlio minorenne, per il ciclo di scuola secondaria di primo grado, presso l’istituto scolastico in precedenza frequentato. Dopo l’audizione del minore, il tribunale autorizzava, salvo differente espresso accordo dei genitori, a procedere, pure senza il consenso del padre, a iscrivere il minore alla scuola secondaria. Si osservava che, in mancanza di un’intesa tra i genitori a favore di un istituto scolastico privato, e non emergendo controindicazioni all’interesse del minore, la decisione non poteva che essere a favore dell’istruzione pubblica, salva l’esistenza di elementi da cui desumere un interesse del minore a frequentare una scuola diversa da quella pubblica. Nel caso di specie, il giudice di prime cure ha tenuto conto dell’interesse del ragazzo a proseguire il percorso scolastico presso l’istituto scolastico già frequentato, elemento di stabilità e continuità relazionale e sociale.
Il padre – che non aveva prestato alcun consenso a che il figlio frequentasse una scuola privata – si è rivolto dapprima alla Corte d’appello, che non ha accolto l’impugnazione, e, successivamente, ha adito la Corte di Cassazione lamentando che la scelta della madre “vanifica la laicità delle scuole pubbliche” realizzando una “coazione del minore verso una determinata religione”.
IL PRINCIPIO DI DIRITTO
I Giudici di legittimità si sono occupati di dirimere il contrasto insorto tra separati, ambedue esercenti la responsabilità genitoriale, sulla scelta della scuola, religiosa o laica, presso cui iscrivere il figlio, ritenendo prevalente l’esigenza di tutelare il preminente interesse del minore a una crescita sana ed equilibrata. Infatti, il principio di laicità “non può essere invocato in termini assoluti, né esso può assurgere a valore tiranno, rispetto agli altri, pure in gioco”.
In altri termini, la laicità dello Stato non può trasformarsi in un principio superiore rispetto a tutti gli altri al punto da orientare necessariamente la scelta verso un istituto pubblico. Tale principio va infatti bilanciato con altri valori, parimenti di rango costituzionale, come il “benessere del minore e il suo interesse a mantenere i rapporti sociali” già acquisiti.
Nel caso si specie, si è evidenziato che già dall’audizione del minore era emerso il suo desiderio di poter continuare a frequentare lo stesso istituto, “dove aveva numerose amicizie e buoni rapporti con gli insegnanti”. Inoltre, dalla relazione psicodiagnostica richiesta da entrambi i genitori, emergeva che il minore “aveva bisogno di stabilità e conservazione dei riferimenti acquisiti, anche alla luce del disturbo non specificato, di cui soffriva”.
Peraltro, la Suprema Corte ha ritenuto che in una fase esistenziale già caratterizzata dalle difficoltà conseguenti alla separazione dei genitori, sia importante non introdurre fratture e discontinuità ulteriori, come quelle facilmente conseguenti alla frequentazione di una nuova scuola, assicurando ai figli minori la continuità ambientale nel campo in cui si svolge propriamente la loro sfera sociale ed educativa.
L’impianto seguito dalla Corte di Cassazione è, oltretutto, quello più volte ribadito dalla CEDU (ex multis sentenza n. 54032/22), secondo cui talune limitazioni sulle modalità di coinvolgimento del minore in una pratica religiosa scelta da uno dei genitori non costituiscono una discriminazione se funzionali a garantire e preservare il superiore interesse del minore.
Si osservi, peraltro che in caso di contrasto su scelte rilevanti, il giudice, è chiamato, in via del tutto eccezionale ad adottare provvedimenti in luogo dei genitori a “ingerirsi nella vita privata della famiglia”. Nel farlo, il giudice è obbligato a tenere conto “esclusivamente del superiore interesse, morale e materiale, del minore a una crescita sana ed equilibrata”. “Con la conseguenza – prosegue la decisione – che il conflitto sulla scuola primaria e dell’infanzia, pubblica o privata, presso cui iscrivere il figlio, deve essere risolto verificando non solo la potenziale offerta formativa, l’adeguatezza edilizia delle strutture scolastiche e l’assolvimento dell’onere di spesa da parte del genitore che propugna la scelta onerosa ma, innanzitutto, la rispondenza al concreto interesse del minore, in considerazione dell’età e delle sue specifiche esigenze evolutive e formative, nonché della collocazione logistica dell’istituto scolastico rispetto all’abitazione del bambino, onde consentirgli di avviare e/o incrementare rapporti sociali e amicali di frequentazione extrascolastica, creando una sua sfera sociale, e di garantirgli congrui tempi di percorrenza e di mezzi per l’accesso a scuola e il rientro alla propria abitazione”.
Ne discende che l’esigenza di garantire la piena libertà di credo religioso a favore del minore è da ritenere recessiva dinnanzi al superiore interesse di quest’ultimo di soddisfare i propri desideri di continuare la frequentazione della scuola privata laddove questa scelta contribuisca ad assicurare una crescita equilibrata e stabile, fondata sui riferimenti sociali acquisiti.