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minori

Malattia mentale: può determinare automaticamente l’inidoneità genitoriale?

30 Dicembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Malattia mentale: essere affetti da malattia mentale può automaticamente determinare una
inidoneità genitoriale tale da condurre alla dichiarazione di adottabilità del minore?
Ad affrontare tale quesito giuridico è la Suprema Corte di Cassazione che, con
sentenza n. 21992 del 12 luglio del 2022, mette in rilievo come l’adozione del minore
rappresenti una misura eccezionale a carattere residuale.
Ed in particolare, la Corte di Cassazione precisa come sia possibile ricorrere a tale
strumento solo ove sia riscontrato l’effettivo stato di abbandono a causa dell’assenza
di assistenza morale e materiale ex art 147 c.c. da parte dei genitori o di altri parenti tenuti a
provvedervi.

Il caso

Una bambina nasceva da una breve relazione intercorsa tra una signora ricoverata presso un centro di salute mentale ed un paziente psichiatrico della medesima struttura. Quest’ultimo, successivamente, non procedeva a riconoscere la figlia.
Il Tribunale per i Minorenni collocava la diade mamma/bambina all’interno di una
 comunità, disponendo al contempo che venissero monitorate le capacità genitoriali
della madre. Successivamente, veniva dichiarato dal Tribunale lo stato di adottabilità della minore a
causa delle condizioni di abbandono in cui versava la figlia per l’incapacità della madre di fornirle le adeguate cure materiali e psicologiche. Tale sentenza veniva impugnata dalla madre e dalla nonna materna, le quali ricorrevano in appello chiedendo la revoca dello stato di adottabilità e l’affidamento
della minore alla madre o, in subordine, alla nonna.

La Corte di Appello rigettava le doglianze delle predette adducendo la compromissione delle capacità cognitive della madre, non effettivamente sintonizzata con le esigenze della figlia. La Corte di Appello, al contempo, sottolineava l’incapacità della nonna materna di esercitare la funzione genitoriale in luogo della figlia a causa del rapporto conflittuale intercorrente tra madre e figlia, oltre che per i disturbi
psicologici di cui anch’ella era affetta.

La decisione della Suprema Corte

Avverso questa pronuncia, sia la madre che la nonna materna, proponevano due
distinti ricorsi per Cassazione a seguito dei quali veniva dalla Suprema Corte affrontava la questione che segue. Essere affetti da una determinata malattia mentale può automaticamente implicare una inidoneità genitoriale?
Ebbene, gli Ermellini rispondono di no a tale quesito accogliendo i motivi di impugnazione delle ricorrenti e rinviando alla Corte d’Appello.
A fondamento di tale decisione la Suprema Corte sottolinea come essere affetti da una malattia mentale non possa automaticamente determinare una inidoneità genitoriale tale da condurre alla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore. In tal caso, infatti, è doveroso porre in essere un adeguato approfondimento delle capacità genitoriali del genitore di riferimento al fine di valutare che sia in grado di garantire alla prole una sana ed armoniosa crescita.
Ed ancora, deve verificarsi concretamente se lo stato di abbandono in cui versi in quel momento il minore sia definitivo o solo transitorio tenendo a mente che il primario diritto del minore, che gli deve essere garantito, è quello di crescere all’interno della propria famiglia d’origine.

Extrema ratio

Secondo la Suprema Corte, la possibilità che si giunga a dichiararne lo stato di adottabilità deve essere sempre considerata quale extrema ratio da applicarsi solo in caso di irreversibile venir meno delle capacità genitoriali dei genitori e dei relativi familiari (entro il quarto grado) eventualmente disponibili a prendersi cura del minore.
Di conseguenza, lo stato di adottabilità non può essere in ogni caso dichiarato in presenza dei suddetti presupposti, dovendo invece ravvisarsi evidenti carenze nelle
capacità genitoriali e criticità nella salute psicologica dei genitori, unitamente a comportamenti che determinino un effettivo pregiudizio nella crescita del minore.

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Responsabilità genitoriale: decade il genitore che non si cura degli obblighi scolastici dei figli

15 Ottobre 2021 Da Staff Lascia un commento

Responsabilità genitoriale: la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20246 del 2021, ha confermato la decisione  della Corte di Appello che ha dichiarato decaduta dalla responsabilità genitoriale la madre che, tra le altre cose, non si è mai adoperata per supportare il figlio al rispetto degli obblighi scolastici.

Il caso

Un minore, su segnalazione della procura, veniva affidato dal Tribunale dei Minori al servizio sociale competente. Il procedimento nasceva su segnalazione della scuola. Ed in particolare il minore, dopo essersi trasferito presso la nonna materna, frequentava poco la scuola e manifestava opposizione verso le regole. L’accertamento dei servizi sociali metteva in luce una grave situazione familiare. La madre inadeguata a rivestire il ruolo genitoriale e il padre assente. La donna, peraltro, affetta da una patologia mentale, non seguiva le cure prescritte e non era in grado di contenere i comportamenti disfunzionali del minore.

Alla luce di quanto sopra, pertanto, il Tribunale per i minorenni ex art. 330 c.c. dichiarava decaduti della responsabilità genitoriale entrambi i genitori. Il minore veniva collocato presso una comunità e alla madre veniva prescritto di frequentare il centro di salute mentale competente.

La donna ricorre in appello

La donna ritenendo ingiusto il provvedimento impugnava il provvedimento innanzi alla Corte di Appello. Quest’ultima, tuttavia, rigettava il ricorso confermando il provvedimento del Tribunale per i Minorenni.

La donna pertanto adiva anche la Corte di Cassazione adducendo tra i motivi dell’impugnazione l’insussistenza dei presupposti per la declaratoria di decadenza. Tale provvedimento, a dire della stessa, era stato adottato in base alle sue condizioni di salute

Decisione della Corte di Cassazione

Gli Ermellini investiti della questione rigettano il ricorso. Ed in particolare i giudici di legittimità rilevano che la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente le ragioni per le quali ha confermato il provvedimento di decadenza della responsabilità genitoriale. La ricorrente era responsabile di diverse condotte contrarie all’interesse del minore. In particolare, dall’istruttoria emergeva che la donna non ha seguito le cure prescritte per la propria malattia, non ha curato l’adempimento degli obblighi scolastici del minore.

 Anche non veritiera è l’affermazione sul mancato supporto dei Servizi Sociali, che hanno intrapreso numerosi tentativi di aiuto, tutti di fatto ostacolati.

Per quanto sopra la Suprema Corte rigettava il ricorso.

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Disagio minorile, quando può condurre al ritiro sociale: chi sono gli Hikikomori

26 Aprile 2021 Da Staff Lascia un commento

Disagio minorile. Si definisce Hikikomori un fenomeno nato e sviluppato in Giappone, in Corea e Taiwan.

Il termine, coniato da uno psichiatra giapponese, grazie alle parole “hiku” (tirare) e “komoru”(ritirarsi), letteralmente significa “stare in disparte, isolarsi”. E’ questa la tendenza globale all’individualismo che troppo spesso purtroppo conduce gli adolescenti ad un patologico isolamento sociale e familiare, quale espressione di un disagio.

I c.d. Hikikomori sono per lo più adolescenti che per cause diverse vanno incontro a un senso di fallimento. Ciò li porta a sperimentare una vergogna pervasiva che li induce a lasciare prima la scuola e poi ogni altra attività.

Ansie, fobie self-cutting, sexting, cyberbullismo sono sovraesposizioni, nel tentativo disperato di farsi un posto nel mondo e che, in fondo, altro non sono che l’altra faccia della vergogna, nel tentativo di cercare un posto nella società rispetto ai propri ideali.

Si badi, internet e i videogame online non sono sempre la causa della disconnessione dei “ritirati sociali” piuttosto rappresentano una forma di difesa, un riparo da pensieri suicidari, o addirittura da un breakdown psicotico.

Quali sono le cause dei disagi minorili?

E’ fondamentale allora che i genitori si interroghino sulle cause di detto disagio minorile, provando ad affrontarlo con altre competenze. Il fenomeno del ritiro sociale ha effetti non solo sul minore ma anche sull’intero nucleo familiare, importanti ripercussioni, specie  quando sfocia in problematiche da gestire in sede legale.

Uno dei problemi che si possono verificare è una prolungata assenza dall’attività didattica quando il ragazzo è ancora nel periodo dell’obbligo scolastico. La legge 296/2006 prevede infatti che l’istruzione sia impartita per almeno 10 anni. Il nostro codice penale, all’art 731, punisce con un’ammenda i genitori o chi abbia la responsabilità di un minore, se omettono di impartirgli l’istruzione elementare. La Giurisprudenza sul punto è assai granitica e la sanzione è adottata soltanto per il periodo della scuola elementare.

Atteso che l’abbandono scolastico degli Hikikomori normalmente avviene dopo i 14 anni, verranno applicate altre norme di natura prevalentemente amministrativo civilistica. Gli insegnanti hanno l’obbligo di segnalazione del minore ai Servizi Sociali dopo aver esperito delle strategie pedagogico-educative per il ragazzo. Permanendo la situazione, l’alunno sarà segnalato, unitamente ai genitori, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.  Di conseguenza la famiglia verrà presa in carico dai servizi sociali e, nei casi più gravi, potrebbe essere disposto un allontanamento del ragazzo dalla famiglia.

Circostanza che per un Hikikomori avrebbe conseguenze assai deleterie.

Ratio e finalità della normativa

La procedura ha la ratio di tutelare i minori dal disagio minorile e assicurargli istruzione. Tuttavia, alla luce di questo fenomeno sociale, se applicata pedissequamente senza tener conto del fenomeno Hikikomori, può diventare uno strumento di peggioramento della situazione di vita del ragazzo e di tutto il nucleo familiare.

Un altro caso, molto comune, che si può presentare è quello in cui un genitore separato miri ad ottenere l’affido esclusivo del figlio: il disagio del minore, in detti casi, può manifestarsi con semplici problematiche scolastiche, con l’abbandono delle attività sportive e delle frequentazione dei coetanei. Questo crea un crescente allarmismo nei genitori, specie se separati, ove il dialogo e il confronto è carente.

Ruolo dei genitori

Il genitore non collocatario può pensare che il coniuge convivente con il minore sia “inadeguato”. Magari comincia a considerarlo “troppo debole” o “troppo conciliante; non in grado di imporre degli standard educativi base: quale esigere che il figlio vada a scuola, farlo studiare. Questa dinamica genitoriale si crea in tutte le famiglie “Hikikomori” e se i coniugi sono separati, può essere motivo per radicare una causa per affidamento esclusivo. La conseguenza è che si va ad inasprire una situazione di grande fragilità del minore. Quest’ultimo si sentirebbe ancora una volta posto sotto analisi, e potrebbe, “ritirarsi” ulteriormente anche riducendo ancor di più la relazione con i genitori.

Talvolta si evidenzia “l’inadeguatezza genitoriale” quale l’unico elemento da cui dipende il disagio del minore. Così si rischia di cadere nel pericoloso assunto che “modificando l’affido” si risolva la situazione. Sicché si sottovaluta la centralità del disagio del minore che, invece, ha bisogno di essere compreso dai genitori con l’aiuto e la collaborazione di entrambi. E’ doveroso pertanto non perdere mai di vista l’obiettivo primario che è “il superiore interesse del minore”. Bisognerebbe porre in essere le azioni che possano ridurre il suo disagio, e non acuirlo. In tali frangenti è necessario consigliare i genitori ad una visione sistemica del problema, per evitare quella pressione che assilla l’Hikikomori.

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Violenza sessuale e corruzione di minorenne tramite i social

9 Ottobre 2020 Da Staff Lascia un commento

Recentemente la Cassazione con due diverse sentenze, ha affermato che è possibile configurarsi il reato di violenza sessuale ed il reato di corruzione di minorenne anche a mezzo social network.

La nuova nozione di violenza sessuale

Per quanto concernente il reato di violenza sessuale (articolo 609-bis c.p.) fino agli anni novanta l’ordinamento puniva esclusivamente le condotte volte al soddisfacimento della sfera sessuale del soggetto attivo. Nel 1998 gli Ermellini hanno esteso il concetto di violenza sessuale che non può limitarsi alle sole zone genitali. La Cassazione ritiene infatti debbano punirsi anche le condotte di violenza  psicologica.  Inoltre, devono includersi tutti gli atti idonei a ledere la libera determinazione della sessualità del soggetto.

Il primo caso

Un uomo, responsabile di avere inviato diversi messaggi sessualmente espliciti tramite whatsapp, aveva costretto una ragazza ad inviargli fotografie dai contenuti sessualmente espliciti minacciandola di pubblicare la chat su whatsapp.

L’accusa riteneva che la condotta posta in essere fosse riconducile al reato di adescamento di minorenni (articolo 609-undecies c.p.), condotta nota anche come “child grooming”.

La difesa, dal canto suo, sosteneva che non essendo stati compiuti meri atti sessuali, non si potesse configurare il reato di violenza sessuale. Riteneva che l’imputato non avrebbe leso il bene giuridico della libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale e del corretto sviluppo dell’integrità psico-fisica della minore.

La decisione

Con la sentenza n. 25266/2020 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso con cui l’indagato deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione.

I giudici di legittimità hanno ritenuto pienamente integrato il reato di violenza sessuale pur in assenza di contatto fisico con la vittima evidenziando, inoltre, l’elemento della minaccia e la strumentalizzazione della minore età della vittima.

Conclusioni

Con la recente pronuncia si assottiglia la linea di confine tra il reato di adescamento di minorenne e quello di violenza sessuale.

Si evidenzia che la giurisprudenza ha inteso prestare maggiore attenzione ai reati connotati da condotte poste in essere tramite strumenti telematici. A questi infatti si riconosce l’idoneità di prestarsi quali strumenti idonei alla realizzazione dei reati, capaci di arrecare tragici risvolti psicologici e sociologici.

Il reato di corruzione di minorenne

Il reato di corruzione di minorenne (articolo 609 quinquies) è stato introdotto nel codice di rito nel 1996 e riformato successivamente nel 2012.

Dopo la riforma, dottrina e giurisprudenza si sono occupate di definire la natura giuridica del reato e gli elementi costitutivi dello stesso soprattutto quando le vittime sono soggetti deboli o gli autori incapaci di intendere e di volere.

La sentenza della Cassazione

La corte di Cassazione, con la pronuncia dell’11 maggio 2020, ha stabilito che il reato di corruzione di minorenne può porsi in essere anche in assenza di contatto fisico con la vittima. Secondo i giudici di legittimità infatti è possibile commettere reato anche tramite un mezzo di comunicazione telematico.

Il caso

Un uomo inviava ad una minore di anni 14 video pornografici sul suo cellulare inducendola  a compiere atti sessuali e segnatamente a ritrarsi nuda.

Analisi della norma

L’art. 609 quinquies, condanna espressamente “chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali.”

Con il termine “assistere” s’intende letteralmente “essere presente allo svolgimento di un fatto”, come si può assistere ad una lezione, ad una rappresentazione teatrale o alla proiezione di un film.

In relazione al caso di specie è sufficiente che il minore percepisca tali atti sessuali determinandone un turbamento. Non è necessario che questi vengano visti “dal vivo” potendo il minore “assistere” ad un fatto anche tramite un video.

Commettere il reato con le nuove tecnologie

Le nuove tecnologie, oggi, hanno aperto le porte a nuove forme di visione di fatti online, addirittura in formato “streaming”.

Ecco che la locuzione “fa assistere” deve essere letta in relazione al progresso tecnologico che determina numerosi risvolti negativi quali, ad esempio, la commissione di un fatto delittuoso.

Dall’ analisi del concetto di “mostrare” nonché da quello di “atto sessuale” così come ampliato dalle più recenti giurisprudenza, la Corte è giunta a ritenere che “Per il reato di corruzione di minorenne oltre all’esibizione diretta deve ritenersi comportamento rientrante nella norma anche l’esibizione sui social (nel caso WhatsApp) senza contatti fisici. Deve escludersi che le condotte poste in essere mediante mezzi telematici abbiano  connotazioni di minore lesività sulla sfera psichica del minore.”

La sentenza della Cassazione

Pertanto, con la pronuncia dell’11 maggio 2020 n. 14210 , gli Ermellini confermando le sentenze di merito di fatto condannavano l’uomo per il reato di corruzione di minorenne avvenuto tramite il mezzo whatsapp.

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Maternal preference: è ancora il criterio privilegiato per individuare il genitore collocatario?

24 Aprile 2020 Da Staff Lascia un commento

Maternal preference: ai fini di una di una corretta individuazione del genitore collocatario è necessario tener conto dell’interesse morale e materiale del minore. Nel caso in cui, dalle risultanze della C.T.U., emerga che i genitori siano dotati di pari capacità genitoriale, il minore deve permanere prevalentemente presso il padre se quest’ultimo ha maggiore tempo a disposizione rispetto alla madre (Trib. di Bari).

Il caso

Al termine di un rapporto di convivenza un uomo si rivolgeva al Tribunale di Bari chiedendo il collocamento presso di sé del figlio minore. 

L’uomo, militare in congedo, rappresentava al Tribunale di provvedere in prima persona alle esigenze relative alla cura del figlio. Ciò grazie al tempo libero a propria disposizione. Infatti l’ex compagna, svolgendo la professione di commercialista, dedicava gran parte della giornata al lavoro.

Per tali motivi, il padre chiedeva il collocamento prevalente del minore presso di sé e la calendarizzazione degli incontri madre-figlio.

A questo punto la donna si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto della domanda. La predetta affermava di essere l’unica figura genitoriale in grado di tutelare al meglio gli interessi morali e materiali del piccolo. In più rappresentava come l’ex compagno non avesse mai costruito un rapporto confidenziale con il figlio e che fosse incline ad istinti suicidi.

Il Tribunale di Bari, a fronte della complessità della situazione, disponeva una C.T.U. al fine di valutare le capacità genitoriali di entrambe le figure. 

La decisione dei giudici di merito

La consulenza richiesta in sede di giudizio si concludeva con un giudizio di preferenza della madre quale genitore collocatario.

Il consulente partiva dal presupposto che tanto la figura materna, quanto quella paterna, fossero egualmente capaci nell’esercizio della responsabilità genitoriale.

In più, pur riconoscendo la maggiore disponibilità di tempo libero del padre (in congedo dal lavoro), evidenziava come la madre fosse perfettamente in grado di conciliare ruolo materno con lo svolgimento della sua professione. In conclusione, in merito all’individuazione del genitore collocatario riconosceva in capo alla figura materna una indole empatica tale da meglio comprendere gli stati d’animo del bambino.

Tuttavia e nonostante le superiori risultante, il Tribunale definiva la questione in senso contrario. I giudici ritenevano che la conclusione cui era pervenuta la C.T.U. non era confacente al caso concreto.

Per il tribunale l’unico criterio utilizzabile nella scelta del genitore collocatario prevalente è quello del superiore interesse del minore.

A ragion di ciò, riteneva che la migliore sintonia della madre con il figlio non fosse, nel caso di specie, sufficiente a disporre in favore della donna.

Il tribunale, piuttosto, spostava l’attenzione sulla cospicua disponibilità di tempo goduta dal padre e sulla sua concreta idoneità a soddisfare ogni esigenza di vita del minore.

Tali circostanze erano imprescindibili per la decisione. Pertanto, il tribunale disponeva l’affidamento congiunto del minore ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso il padre.

Osservazioni generali

Quali sono le argomentazioni seguite dal tribunale verso la superiore decisione?

Va preliminarmente osservato che, oggi, la decisione relativa al collocamento dei figli minori non è più scontata (a favore della madre – maternal preferance) come in passato.

Innanzitutto l’art. 337-ter c.c. impone che, nell’adozione di provvedimenti relativi al collocamento prevalente di un minore presso uno dei genitori, il superiore interesse del minore deve fungere da criterio guida.

Fino a poco tempo fa, i giudici di merito e di legittimità hanno ritenuto preferibile far coincidere il superiore interesse del minore con la necessità che la figura genitoriale collocataria prevalente fosse quella materna.

Invero il costante mutamento della società odierna, il quale si riversa inesorabilmente anche sui concetti di famiglia e matrimonio, ha determinato l’affievolimento della c.d. maternal preference.

Pertanto non è più possibile affermare, in via del tutto automatica, che un genitore in virtù del suo genere, sia più idoneo rispetto all’altro ad adempiere funzioni genitoriali.

E’ proprio nella consapevolezza che i méneage familiari sono cambiati rispetto al passato che il criterio della maternal preference può dirsi superato.

Inoltre, la Corte di legittimità, con una pluralità di pronunce ha affermato che l’individuazione del genitore collocatario deve avvenire nel rispetto del principio alla bigenitorialità. Chiaramente ciò deve avvenire al termine di un giudizio prognostico volto a valutare le capacità genitoriali. Valutazione da esplicarsi nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole (Cass. civ., sez I, 16 febbraio 2018 n. 3913; Cass. civ., sez I, 20 novembre 2019, n. 30191).

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Famiglia di origine: il minore ha diritto a mantenere con la famiglia di origine rapporti significativi

17 Febbraio 2020 Da Staff Lascia un commento

Famiglia di origine: con la pronuncia in commento la Suprema Corte di Cassazione ha sancito il principio in base al quale criterio guida di ogni scelta in materia di affido, anche temporaneo, nell’ambito di giudizi ex art. 333 c.c., deve essere orientato al mantenimento di un rapporto significativo tra il minore e la famiglia di origine, sia pure quest’ultima “allargata”. (Cass. Civ., n. 28257/19)

Il fatto

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici trae le sue origini da un decreto emesso dal Tribunale per i Minorenni di Venezia. Tale provvedimento disponeva l’allontanamento di tre minori dalla famiglia di origine e il collocamento degli stessi presso un nucleo etero-familiare. La decisione si fondava sull’asserita inadeguatezza dei genitori e dei nonni paterni a curare gli interessi morali e materiali dei piccoli.

La Corte di Appello, in sede di giudizio di secondo grado, confermava il contenuto del provvedimento dei giudici di prime cure.

Per tal motivo, la famiglia ricorreva in Cassazione al fine di aver riconosciuto il diritto a mantenere rapporti significativi con i minori.

Il caso in esame si colloca nell’alveo di giudizi volti all’allontanamento, seppur in via temporanea, di soggetti minori dalle figure genitoriali le cui condotte risultano pregiudizievoli ed ostative all’educazione e all’adeguato sviluppo psico-fisico dei figli.

Dinanzi ad ipotesi di questo tipo, stante il disposto dell’art. 333 c.c., sono due le misure che l’Autorità Giudicante potrebbe ritenere di adottare: l’affido inter-familiare (in favore dei parenti entro il quarto grado) ovvero l’affido etero-familiare.

La decisione della Cassazione

La pronuncia, dunque, punta all’individuazione dell’ordine di preferenza tra le due modalità di affidamento e si pone in linea con l’esigenza, sempre crescente, di riconoscere un ruolo di significativa importanza alla figura dei nonni nei percorsi di affido di questo tipo.

La Corte chiarisce la necessità dell’allontanamento anche temporaneo dei minori dai genitori in casi di trascuratezza, malattia o violenza. Tuttavia la misura dell’affidamento etero-familiare deve assumere la veste di extrema ratio. Ciò al fine di consentire ai membri della c.d. “famiglia allargata” di subentrare e scongiurare l’ulteriore trauma, per i piccoli, di vedersi privati del proprio contesto familiare.

Pertanto, il giudice di merito è preliminarmente tenuto ad accertare l’adeguatezza dei familiari e solo nel caso di comprovata inadeguatezza degli stessi a soddisfare correttamente le esigenze dei minori, si propenderà per la misura dell’affido etero-familiare.

Tornando al caso di specie, la Corte di Cassazione metteva in luce molte criticità dei provvedimenti di merito. In particolare gli ermellini sottolineavano la sommarietà dell’istruttoria: i nonni non erano mai stati sentiti durante il procedimento. Inoltre i giudici di merito non tenevano in debita considerazione che i piccoli  erano già affidati a questi ultimi.

Tali importanti circostanze  inducevano la Corte di Cassazione a cassare il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Venezia  in diversa composizione.

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Chat e minori: i genitori devono vigilarne e monitorarne l’utilizzo.

6 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

Chat e minori: l’utilizzo delle chat da parte dei minori deve essere oggetto di monitoraggio dei genitori (Trib. Min. Caltanissetta 08.10.2019).

Il caso

Un minore utilizzava un’applicazione di messaggistica per minacciare una coetanea. Quest’ultima, a causa di ciò, era costretta a modificare le proprie abitudini di vita per l’ansia e la preoccupazione sorte per le continue minacce. 

Il caso giungeva all’attenzione del Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta

Il Tribunale per i Minorenni, investito della questione, poneva la propria attenzione sui genitori. Nel dettaglio sottolineava le responsabilità dei genitori in merito all’utilizzo della rete internet da parte dei figli. Invero, i giudici nisseni, evidenziavano, in via generale la necessità a che i genitori provvedano ad educare i minori al corretto utilizzo della rete. Cosa che, a tenor degli stessi, può avvenire solo tramite una limitazione quantitativa e qualitativa dell’uso delle chat (e di internet) da parte dei minori.

Pertanto, sebbene l’uso di chat, e in generale di internet, da parte dei minori è sempre più diffuso, allo stesso tempo questi sono esposti a maggiori rischi e pericoli. Infatti, tramite i social i minori esercitano il proprio diritto all’informazione e comunicazione, tutelato a livello nazionale (art. 21 Cost.) ed internazionale (art. 11 Carta dei diritti UE). Ma tale diritto va contemperato con la tutela del minore stesso. Infatti è risaputo che il non corretto utilizzo di tali strumenti può essere gravemente dannoso. Per tale ragione salvaguardare il minore nell’uso della rete telematica è un obiettivo prioritario. Ciò,  indipendentemente dalle capacità e competenze maturate dal minore stesso.

Conclusioni dei giudici nisseni

I giudici investiti della vicenda ritenevano che l’anomalo utilizzo degli strumenti telematici da parte del minore era sintomatico di scarsa vigilanza ed educazione da parte dei genitori.

Di conseguenza il Tribunale avviava un’attività di monitoraggio e supporto del minore e della madre. Ciò al fine di verificare le effettive e reali capacità educative e di vigilanza da parte della donna.

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Genitore straniero condannato: il diniego all’istanza di permanenza nel territorio italiano nell’interesse del figlio

5 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il genitore straniero condannato: il diniego all’istanza di permanenza in Italia, del genitore straniero, non può essere fatto derivare automaticamente dall’esistenza di una pronuncia di condanna (Cass. S.U. sent.  15750 del 12 Giugno 2019).

Normativa di riferimento

Nel nostro ordinamento è possibile, per il genitore straniero, richiedere l’autorizzazione alla permanenza in Italia, per periodi di tempo determinati. Tale eventualità nell’interesse dei minori che si trovano sul territorio italiano.

La norma di riferimento è l’art. 31 Testo Unico Immigrazione (TUI). Tale articolo prevede la tutela del minore cresciuto sul suolo italiano. La richiesta è legittimata purché vi siano motivi di salute, educazione e benessere psicofisico del minore.

Come ottenere l’autorizzazione

Ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione è sufficiente provare i danni che deriverebbero da un allontanamento del minore dal territorio italiano, Non essendo necessaria l’esistenza di una situazione di emergenza ai fini dell’ottenimento del beneficio.

Ma se il genitore ha subito una condanna penale?

E’ lecito chiedersi se il genitore straniero condannato possa ottenere l’autorizzazione o meno. Quindi se in tali casi prevalga o no l’interesse del minore. In tali situazioni Il Giudice dovrà effettuare un’attenta valutazione ed un corretto bilanciamento delle contrapposte esigenze. In ogni caso il bilanciamento riguarderà la tutela del minore e la tutela dell’ordine pubblico e/o della sicurezza pubblica.

Soluzioni giurisprudenziali

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha stabilito il principio di diritto secondo il quale “il diritto del minore alla presenza della figura genitoriale in Italia non è assoluto. Questo va contemperato con le primarie esigenze di tutela dello Stato. Purtuttavia, la sussistenza di condanne penali non è di per sé ostativa alla permanenza in Italia. La condanna non rappresenta un automatismo ostativo al diniego dell’autorizzazione ex art 31 TUI”.

Dunque la citata pronuncia esclude l’esistenza di qualsiasi automatismo tra l’ottenimento del permesso e la sussistenza di una condanna penale. Nei casi simili di conseguenza  il Giudice dovrà effettuare una dettagliata analisi del caso concreto.

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Rivalutazione ISTAT dell’assegno di mantenimento, come funziona?

Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento deve essere più alto

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. art. 5 della legge 898/1970?

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L’Avv. Antonella Arcoleo è iscritta all’albo dei difensori disponibili al patrocinio a spese dello Stato, noto anche come “gratuito patrocinio”, presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo.

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ACCETTA E SALVA
Diritto del lavoro

Lo Studio Legale Arcoleo assiste i propri clienti nei vari ambiti del diritto del lavoro, del diritto sindacale e della previdenza sociale, fornendo consulenza sia in ambito stragiudiziale che giudiziale e con riferimento all’istaurazione, allo svolgimento ed alla cessazione del rapporto di lavoro.

A tal fine, lo Studio si avvale di molteplici apporti specialistici (consulenti del lavoro, commercialisti) anche nelle questioni che investono discipline complementari, per garantire alla clientela un’assistenza ancora più completa grazie ad un miglior coordinamento tra le diverse professionalità.

Diritto penale di famiglia

L’Avv. Antonella Arcoleo coadiuvato  da altri professionisti come avvocati psicologi e mediatori è da sempre impegnato in prima linea per difendere e tutelare i diritti fondamentali della persona in caso di abusi o violenze e offre consulenza e assistenza legale.

Assistenza alle aziende

Lo Studio Legale Arcoleo vanta un’importante esperienza nell’assistenza alle imprese.

Alla base del successo di ogni azienda vi è la particolare attenzione per gli aspetti legali strettamente correlati al business che se correttamente e tempestivamente curati garantiscono alle imprese una sensibile riduzione del contenzioso.

Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.