In tema di atti persecutori, ex art. 612 bis c.p., è possibile che le preoccupazioni di un padre per le condizioni della propria figlia minore possano essere tali da escludere il reato di stalking nei confronti della madre della bambina?
Il caso
Tizio, padre di una bambina di quattro anni, veniva denunciato dall’ex convivente, madre della bambina, per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.
Il padre, infatti, in seguito alla separazione dalla compagna, poneva in essere nei confronti della donna, alcune condotte consistenti in: continue telefonate, pedinamenti ed appostamenti sotto casa e nei pressi del suo luogo di lavoro.
Questione giuridica
La questione giuridica sottoposta all’attenzione dal Tribunale di Milano ed alla base della sentenza emessa da quest’ultimo è la seguente: quali sono i comportamenti ritenuti idonei ad ingenerare nei confronti della vittima un rilevante stato di ansia tale da configurare il reato di stalking?
Normativa di riferimento
La norma di riferimento in materia di atti persecutori è l’art. 612 bis c.p.
Tale disposizione punisce colui che “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita
L’elemento soggettivo richiesto in capo a chi delinque è il dolo generico; ossia la volontà di porre in essere condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza che le stesse siano idonee a causare gli eventi descritti.
In particolare, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli atti persecutori non devono necessariamente essere tali da dare luogo ad una situazione con risvolti patologici. In tali casi è, al contrario, sufficiente che gli stessi creino un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.
È quindi possibile escludere il reato nel caso in cui il soggetto agente non possegga il suddetto elemento soggettivo? non intendendo il soggetto attivo cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nei confronti della vittima?
Decisione del Tribunale di Milano
Il Tribunale di Milano ha assolto Tizio dal reato di atti persecutori per mancanza dell’elemento soggettivo del reato.
In particolare, dalla ricostruzione della vicenda, emerge che Tizio avesse posto in essere comportamenti invadenti al solo fine di conoscere lo stato di salute della figlioletta.
Peraltro emerge anche che tali condotte non hanno mai concretamente ingenerato nei confronti della ex compagna stati di paura e di ansia.
Ed infatti, a conferma di ciò, le indagini effettuate mettono in luce che la donna non ha mai modificato le proprie abitudini di vita per paura degli atteggiamenti dell’ex convivente. Al contrario, la persona offesa si è sempre rivolta nei confronti dell’uomo utilizzando toni amichevoli e conciliativi per chiedergli favori. Tizio, invero, era addirittura in possesso di un mazzo di chiavi della casa in cui la medesima viveva.
Peraltro, a detta del Tribunale, le preoccupazioni del padre sembrano essere state “giustificate” anche da alcuni atteggiamenti della madre della bambina. La donna, mediante la complicità di alcune amiche, aveva falsificato la firma di Tizio al fine di potere espatriare con la piccola, ingenerando in tal modo in lui il fondato timore per le sorti della loro figlia.
In conclusione, le preoccupazioni di un padre per le condizioni di vita e di salute per la propria figlia minore possono essere tali da escludere l’intenzione di realizzare atti persecutori nei confronti della madre della bambina.
Il comportamento apprensivo e petulante tale da non ledere la libertà di autodeterminazione della vittima, non costituisce un fatto illecito. Non costituisce un fatto inquadrabile nel delitto di atti persecutori o stalking disciplinato dall’art. 612 bis c.p.
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