Figli nati da genitori non coniugati: valido l’accordo sul mantenimento solo se risponde all’interesse della prole.
I genitori non coniugati, alla cessazione della convivenza, possono raggiungere un accordo circa il mantenimento dei figli. Tale pattuizione è valida anche in assenza di un previo controllo giudiziale. Si tratta di un negozio espressione dell’autonomia privata che, tuttavia, trova un limite invalicabile nella effettiva corrispondenza delle pattuizioni nell’interesse morale e materiale dei figli.
Il giudice eventualmente adito dalle parti può, quindi, integrare o modificare l’accordo. Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza dell’11 gennaio 2022 n. 663.
Il caso
Dopo aver cessato la convivenza more uxorio, le parti concludevano un accordo avente ad oggetto il mantenimento del figlio minore nato dalla loro relazione. In forza del predetto, il padre trasferiva la proprietà di un immobile al figlio ottenendo in cambio l’esonero dagli obblighi di contribuzione, fatta eccezione per le spese scolastiche e di abbigliamento.
La madre, però, successivamente agiva in giudizio contro l’ex convivente per ottenere la condanna del padre a corrisponderle un contributo mensile a titolo di mantenimento del minore.
Il giudice, preso atto dell’accordo stipulato tra le parti, dichiarava inammissibile la richiesta della madre, precisando che il padre si sarebbe dovuto limitare a contribuire alle spese straordinarie sostenute nell’interesse del figlio nella misura del 50%
La donna ricorreva in appello
In sede di gravame, però, la Corte d’Appello accoglieva il reclamo della madre e stabiliva un contributo al mantenimento a carico del padre nella misura di € 250,00 mensili. Ciò in quanto, secondo il giudice di merito, l’accordo negoziale tra le parti era da considerarsi inefficace a causa di un controllo giudiziario dello stesso. Ed inoltre, il trasferimento di proprietà effettuato dal padre risultava insufficiente al soddisfacimento delle esigenze del figlio, ormai divenuto adolescente.
Si giunge così in Cassazione.
La decisione della Suprema Corte
Gli ermellini rigettavano il ricorso presentato dal padre avverso il provvedimento di secondo grado. La Suprema Corte stabiliva che, in tema di mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio, anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori è valido ed efficace poiché espressione dell’autonomia privata.
Secondo gli ermellini, però, l’autonomia contrattuale delle parti assolve all’unico obiettivo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione dovuta per legge. Trattasi, cioè, dell’obbligo posto in capo a entrambi i genitori di rispettare i doveri sanciti dall’art. 147 c.c. nei confronti dei figli.
E’ per tale ragione che l’autonomia negoziale dei genitori incontra un limite nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni contenute nell’accordo all’interesse morale e materiale della prole.
Il giudice non è vincolato dalle richieste o dagli accordi tra i genitori
Per la Suprema Corte, il giudice è libero di adottare tutti quei provvedimenti che reputa più idonei alla tutela dell’interesse della prole ai sensi dell’art. 337 ter c.c.
Da ciò discende che il giudice non è in alcun modo vincolato alle richieste avanzate dai genitori o agli accordi sottoscritti tra gli stessi. Per tale motivo, l’esistenza di un accordo negoziale tra i genitori non è impeditiva di una diversa regolamentazione qualora il giudice la ritenga corrispondente all’interesse del minore.
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