Atti persecutori anche tramite l’amica: la Corte di Cassazione è tornata a parlare di stalking.
Ed in particolare gli ermellini affermano che ai fini della integrazione del reato di stalking anche le condotte moleste che il persecutore mette in atto tramite persone vicine affettivamente alla vittima principale sono da ritenersi penalmente rilevanti perché il soggetto agente è consapevole che delle stesse ne verrà informata.
Questa l’importante precisazione della Cassazione contenuta nella sentenza n. 26456/2022 del 08.07.2022.
Il caso
In accoglimento del ricorso della parte civile, la Cassazione ha ritenuto erronea la decisione del giudice di secondo grado: “laddove espunge dal novero delle condotte in rilievo quelle “indirette tenute nei contatti avuti con la (…) chiamando in causa anche la (….):” , assegnando così rilevanza, ai fini della integrazione della condotta tipica prevista dall’art. 612-bis cod. pen., anche alle molestie c.d. “indirette”.
Nel caso di specie, l’imputato aveva tenuto nei confronti della parte civile, diverse e reiterate condotte di atti persecutori: contatti su Facebook, anche indirettamente, tramite una sua amica, a cui inviava messaggi di testo e vocali in cui dichiarava di non essere lui la causa dei tentativi di suicidio della vittima.
Condotte che provocavano alla stessa un continuo stato d’ansia, con attacchi di panico.
La Corte di Appello confermava la condanna dell’imputato per il reato di atti persecutori, ma in riforma della decisione di condanna di primo grado, lo assolveva dal reato di atti persecutori commessi nei confronti di un altro soggetto, revocando le statuizione civili.
L’assoluzione si basava sulla assenza del requisito della reiterazione della condotta.
La sentenza degli Ermellini
La parte civile, ricorrendo in Cassazione, lamentava l’erronea applicazione della norma che contempla il reato di atti persecutori, contestando il mancato riconoscimento del requisito della reiterazione, perché dalla motivazione della sentenza in realtà tale requisito emergeva: messaggi, telefonate, il palesare il proprio ritorno sulla pagina Facebook della persona offesa con like e richieste di amicizia, contatti indiretti anche tramite l’amica intima della persona offesa e il progredire delle molestie e minacce in episodi ulteriori risalenti al 2018 e oggetto di denunce: condotte che contrastavano con la decisione di assoluzione ai danni della ricorrente.
Rilevanti dunque anche le comunicazioni di carattere molesto o minatorio dirette a destinatari diversi dalla persona offesa ma a quest’ultima legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.
La condotta del soggetto agente deve essere pertanto valutata nel suo complesso, assumendo rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa. La Cassazione ha, quindi, ritenuto legittima la valutazione non solo delle minacce o molestie rivolte alla persona offesa dall’imputato ma anche le minacce e le denunce calunniose proposte nei confronti del marito e del padre della persona offesa, in quanto si inserivano nell’unitaria condotta persecutoria (Sent. Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021).
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