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Stalking

Atti persecutori anche tramite l’amica

26 Agosto 2022 Da Staff Lascia un commento

Atti persecutori anche tramite l’amica: la Corte di Cassazione è tornata a parlare di stalking.

Ed in particolare gli ermellini affermano che ai fini della integrazione del reato di stalking anche le condotte moleste che il persecutore mette in atto tramite persone vicine affettivamente alla vittima principale sono da ritenersi penalmente rilevanti perché il soggetto agente è consapevole che delle stesse ne verrà informata.

Questa l’importante precisazione della Cassazione contenuta nella sentenza n. 26456/2022 del 08.07.2022.

Il caso

In accoglimento del ricorso della parte civile, la Cassazione ha ritenuto erronea la decisione del giudice di secondo grado: “laddove espunge dal novero delle condotte in rilievo quelle “indirette tenute nei contatti avuti con la (…) chiamando in causa anche la (….):” , assegnando così rilevanza, ai fini della integrazione della condotta tipica prevista dall’art. 612-bis cod. pen., anche alle molestie c.d. “indirette”.

Nel caso di specie, l’imputato aveva tenuto nei confronti della parte civile, diverse e reiterate condotte di atti persecutori: contatti su Facebook, anche indirettamente, tramite una sua amica, a cui inviava messaggi di testo e vocali in cui dichiarava di non essere lui la causa dei tentativi di suicidio della vittima.

Condotte che provocavano alla stessa un continuo stato d’ansia, con attacchi di panico.

La Corte di Appello confermava la condanna dell’imputato per il reato di atti persecutori, ma in riforma della decisione di condanna di primo grado, lo assolveva dal reato di atti persecutori commessi nei confronti di un altro soggetto, revocando le statuizione civili.

L’assoluzione si basava sulla assenza del requisito della reiterazione della condotta.

La sentenza degli Ermellini

La parte civile, ricorrendo in Cassazione, lamentava l’erronea applicazione della norma che contempla il reato di atti persecutori, contestando il mancato riconoscimento del requisito della reiterazione, perché dalla motivazione della sentenza in realtà tale requisito emergeva: messaggi, telefonate, il palesare il proprio ritorno sulla pagina Facebook della persona offesa con like e richieste di amicizia, contatti indiretti anche tramite l’amica intima della persona offesa e il progredire delle molestie e minacce in episodi ulteriori risalenti al 2018 e oggetto di denunce: condotte che contrastavano con la decisione di assoluzione ai danni della ricorrente.

Rilevanti dunque anche le comunicazioni di carattere molesto o minatorio dirette a destinatari diversi dalla persona offesa ma a quest’ultima legati da un rapporto qualificato di vicinanza, ove l’agente agisca nella ragionevole convinzione che la vittima ne venga informata e nella consapevolezza della idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.

La condotta del soggetto agente deve essere pertanto valutata nel suo complesso, assumendo rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro la persona offesa. La Cassazione ha, quindi, ritenuto legittima la valutazione non solo delle minacce o molestie rivolte alla persona offesa dall’imputato ma anche le minacce e le denunce calunniose proposte nei confronti del marito e del padre della persona offesa, in quanto si inserivano nell’unitaria condotta persecutoria (Sent. Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021).

Potrebbe anche interessarti: “Problemi con i condomini? Potreste essere vittime di stalking condominiale”. Leggi qui.

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: pedinamenti, reato, Stalking

In tema di atti persecutori, il comportamento petulante del padre non può configurare il reato di stalking nei confronti della madre, se giustificato da fondate preoccupazioni verso la figlia minore

19 Marzo 2021 Da Staff Lascia un commento

In tema di atti persecutori, ex art. 612 bis c.p., è possibile che le preoccupazioni di un padre per le condizioni  della propria figlia minore possano essere tali da escludere il reato di stalking nei confronti della madre della bambina?

Il caso

Tizio, padre di una bambina di quattro anni, veniva denunciato dall’ex convivente, madre della bambina, per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.

Il padre, infatti, in seguito alla separazione dalla compagna, poneva in essere nei confronti della donna,  alcune condotte consistenti in: continue telefonate, pedinamenti ed appostamenti sotto casa e nei pressi del suo luogo di lavoro.

Questione giuridica

La questione giuridica sottoposta all’attenzione dal Tribunale di Milano ed alla base della sentenza emessa da quest’ultimo è la seguente: quali sono i comportamenti ritenuti idonei ad ingenerare nei confronti della vittima un rilevante stato di ansia tale da configurare il reato di stalking?

Normativa di riferimento

La norma di riferimento in materia di atti persecutori è l’art. 612 bis c.p.

Tale disposizione punisce colui che “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita

L’elemento soggettivo richiesto in capo a chi delinque è il dolo generico; ossia la volontà di porre in essere condotte di minaccia e  molestia nella consapevolezza che le stesse siano idonee a causare gli eventi descritti.

In particolare, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli atti persecutori non devono necessariamente essere tali da dare luogo ad una situazione con risvolti patologici. In tali casi è, al contrario, sufficiente che gli stessi creino un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.

È quindi possibile escludere il reato nel caso in cui il soggetto agente non possegga il suddetto elemento soggettivo? non intendendo il soggetto attivo cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nei confronti della vittima?

Decisione del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano ha assolto Tizio dal reato di atti persecutori per mancanza dell’elemento soggettivo del reato.

In particolare, dalla ricostruzione della vicenda, emerge che Tizio avesse posto in essere comportamenti invadenti al solo fine di conoscere lo stato di salute della figlioletta.

Peraltro emerge anche che  tali condotte non hanno mai concretamente ingenerato nei confronti della ex compagna  stati di paura e di ansia.

Ed infatti, a conferma di ciò, le indagini effettuate mettono in luce che la donna non ha mai modificato le proprie abitudini di vita per paura degli atteggiamenti dell’ex convivente. Al contrario, la persona offesa si è sempre rivolta nei confronti dell’uomo utilizzando toni amichevoli e conciliativi per chiedergli favori. Tizio, invero, era addirittura in possesso di un mazzo di chiavi della casa in cui la medesima viveva.

Peraltro, a detta del Tribunale, le preoccupazioni del padre sembrano essere state “giustificate” anche da alcuni atteggiamenti della madre della bambina.  La donna, mediante la complicità di alcune amiche, aveva falsificato la firma di Tizio al fine di potere espatriare con la piccola, ingenerando in tal modo in lui il fondato timore per le sorti della loro figlia.

In conclusione, le preoccupazioni di un padre per le condizioni di vita e di salute per la propria figlia minore possono essere tali da escludere l’intenzione di realizzare atti persecutori nei confronti della  madre della bambina.

Il comportamento apprensivo e petulante tale da non ledere la libertà di autodeterminazione della vittima, non costituisce un fatto illecito. Non costituisce un fatto inquadrabile nel delitto di atti persecutori o stalking disciplinato dall’art. 612 bis c.p.

Potrebbe anche interessarti: “Stalking: integra il reato perseguitare la propria ex con la scusa di vedere il figlio”. Leggi qui.

 

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È stalking anche se la vittima mantiene rapporti civili con l’ex che la perseguita

5 Settembre 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

 Il reato di stalking esiste anche se la vittima cerca di chiudere pacificamente la relazione con l’ex: sono altri gli elementi presi in considerazione. Per esempio la potenziale lesività dei comportamenti dello stalker e il fatto che le azioni di quest’ultimo possano destabilizzare l’equilibrio psico-fisico di una “persona media” (Cass. Pen. V Sez. Pen. 22 febbraio 2018 n. 8744)

L’art. 612 bis del codice penale chiarisce in cosa consiste il reato di atti persecutori, più noto come “stalking”. Il reato esiste quando un soggetto ha dei comportamenti  persecutori e ripetuti nel tempo, quali telefonate, messaggi, appostamenti, pedinamenti. Comportamenti che creano nella vittima uno stato di ansia e paura e/o che la costringono a cambiare le sue abitudini di vita o che le incutano timore per la sua incolumità o quella di persone a lei care.

Lo conferma un caso affrontato da Tribunale e Corte di Appello di Milano arrivato in Cassazione. Dopo la rottura, una ragazza aveva cercato di mantenere rapporti civili con il suo ex fidanzato. Non solo non aveva mai interrotto le comunicazioni ma, aveva lei stessa ammesso, di essere stata talvolta potenzialmente ambigua. Era questo il caso di un messaggio che esordiva con “ti amo, ti odio, ti voglio”.

Lui dal canto suo non riusciva ad accettare la scelta di lei e continuava a cercarla. Pur senza essere mai aggressivo o violento,  lo stalker dichiarava di volerla sposare a tutti i costi, spingendosi sino ad incontrare i genitori di lei e chiederne la mano.

Dietro consiglio della polizia, la donna aveva provato a mediare con l’ex, chiedendo anche l’aiuto delle suore che la ospitavano. Quando nemmeno questo aveva funzionato, si era decisa a denunciarlo per stalking: non una ma quattro volte in sette mesi! Mesi durante i quali, cercando di sfuggire al suo persecutore, aveva anche cambiato email, numero, abitazione.

Il tribunale di Milano ha assolto l’uomo, accettando la tesi del difensore, secondo cui non c’era stalking poiché era chiaro che l’imputato non avrebbe mai danneggiato la vittima, così lei ha deciso di rivolgersi alla Corte di Appello.

La Suprema Corte ha condannato l’ex invadente poiché ha preso in considerazione le possibili conseguenze dei comportamenti dell’uomo, vero e proprio stalking poiché, nonostante l’atteggiamento conciliante della vittima, questa si era trovata in un tale stato di ansia da cambiare abitudini e stile di vita per sottrarsi alla persecuzione.

Il reato di stalking dunque, esiste quando un soggetto ha comportamenti anche solo potenzialmente lesivi, e che hanno in se stessi una carica ansiogena tale da destabilizzare l’equilibrio psicofisico di una persona media, a prescindere dalla concreta reazione della vittima.

Pertanto la Cassazione ha confermato la condanna della Corte d’Appello e ha condannato l’uomo al risarcimento del danno morale e delle spese processuali. L’assenza di aggressività dei comportamenti dell’imputato ha comunque avuto peso nella quantificazione dei danni, che è stata fatta al ribasso, ma non è valsa alla sua assoluzione.

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: ansia, danno morale, persecuzione, stalker, Stalking

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