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responsabilità genitoriale

Vaccinare un minore: decide il Tribunale se i genitori non sono d’accordo

9 Giugno 2021 Da Staff Lascia un commento

La possibilità di vaccinare anche i minori contro il Covid19 ha innescato conflitti tra i genitori che in merito alla questione hanno posizioni diverse.
Non di rado succede che i genitori, soprattutto quelli separati o in fase di separazione, litigano anche sulla necessità di vaccinare o meno il figlio minore.
Ciò accade perché per sottoporre a vaccinazione i minori di età gli appositi centri chiedono il consenso di entrambi i genitori.

E’ opportuno ricordare in questa sede che l’art. 337 ter c.c. dispone che la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Pertanto le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore devono essere assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.

Chi decide in caso di contrasto tra genitori non separati?

Anche i genitori che stanno insieme possono avere un diverso orientamento sull’opportunità di vaccinare o no la prole. In tali casi, considerata l’importanza delle questione (rispetto ad un semplice disaccordo, la cui soluzione, ex art. 337 ter, co. 3 c.c., sarebbe affidata al tribunale ordinario) la decisione circa la somministrazione (o non somministrazione) è demandata al Tribunale per i Minorenni. Inoltre, se la mancata vaccinazione può rappresentare un grave pregiudizio il genitore no-vax potrebbe essere destinatario di un provvedimento molto grave, limitativo della responsabilità genitoriale.

Chi decide in caso di contrasto tra genitori separati?

Nel caso in cui i genitori in disaccordo sono in fase di di separazione sarà competente della decisione il giudice della separazione. Il genitore dovrà quindi presentare un apposito ricorso per ottenere l’autorizzazione a che il minore possa essere sottoposto a vaccino. Il giudice deciderà nel prioritario e preminente interesse del minore.

Tornando al vaccino anti Covid-19, pur non essendo obbligatorio, il giudice visto il  grave pregiudizio e la grave diffusione del virus a livello nazionale, potrebbe sostenere la tesi del genitore pro vaccino. 

Gli adolescenti possono decidere in autonomia?

La volontà degli adolescenti ha un grande peso in tutte quelle decisioni che li riguardano in prima persona. I ragazzi prossimi alla maggiore età, pur essendo ancora minorenni, infatti, sono in grado di compiere scelte di vita: si pensi, ad esempio, alla possibilità di interrompere il percorso scolastico, svolgere attività lavorativa, o addirittura sposarsi (in presenza di determinate condizioni) e riconoscere figli.

Una considerazione di questo tipo potrebbe valere anche per i vaccini anti covid-19.

Persone non in grado di autodeterminarsi

Sulle vaccinazioni delle persone non in grado di autodeterminarsi o comunque ricoverate in strutture sanitarie assistite sarà necessario presentare un ricorso al Giudice tutelare del Tribunale in cui risiede l’interessato. 

Potrebbe anche interessarti: “Affido super esclusivo? no se a fondarlo è la PAS”. Leggi qui.

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: conflitto tra i genitori, conflittualità, covid19, figli minori, responsabilità genitoriale, vaccino

Tatuaggio su minorenni: basta il consenso di un solo genitore?

9 Aprile 2021 Da Staff Lascia un commento

Può un minorenne fare un tatuaggio con il solo consenso della madre?

Il caso 

Un padre scopriva tramite facebook che la figlia minorenne aveva fatto un tatuaggio a sua insaputa e senza il suo consenso, allorché chiedeva come potere agire nei riguardi della ex moglie per non essere stato consultato.

La questione giuridica 

La norma di riferimento da cui partire per affrontare la superiore questione è l’art. 337-ter c.c. Tale norma afferma che “La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice”.

In virtù di tale norma, pertanto, le scelte importanti attinenti i figli  devono essere prese da entrambi i genitori. In caso di disaccordo quindi l’unica via perseguibile è quella di rivolgersi al Giudice.

“il tatuaggio”  è una decisione di maggior interesse?

Ebbene, fare un tatuaggio sul corpo di un minore rientra tra le decisioni di maggiore interesse per cui è necessario il consenso di entrambi i genitori. A tale conclusione si giunge considerando le gravi conseguenze penali nelle quali potrebbe incorrere il tatuatore che esegue su un minore un tatuaggio in assenza del consenso dei genitori.  Ed invero La Corte di Cassazione ha affermato che il professionista rischierebbe un’imputazione per “lesioni volontarie”.

Nel caso di specie emerge che il padre non è stato messo al corrente circa la volontà della figlia minorenne di volersi fare un tatuaggio. La ex moglie non si è premurata di acquisire il consenso dell’uomo prima di concedere il proprio. 
Tale atteggiamento dunque è in evidente contrasto con le regole dell’affidamento condiviso. 

Quali rimedi può esperire l’altro genitore in tali circostanze?

Il genitore che è stato estromesso da una decisione di “maggior interesse” per il figlio può sicuramente adire l’autorità giudiziaria. L’ordinamento prevede meccanismi risarcitori o sanzionatori, la cui applicazione è modulata tenendo conto delle caratteristiche del caso.
Ed in particolare l’art. 709-ter c.p.c. individua tre tipologie di misure afflittive: l’ammonizione, il risarcimento dei
danni nei confronti del minore e dell’altro genitore, la condanna al pagamento di una sanzione
amministrativa pecuniaria.

Ammonimento

L’ammonimento consiste nell’invito rivolto al genitore di astenersi dal porre in essere condotte che possano pregiudicare il rapporto tra l’altro genitore e i figli nonché per aver violato le regole dell’affido condiviso.

Risarcimento danni

Il risarcimento danni consiste nell’obbligo di versare al genitore leso una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato.

Pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria

Il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende è, invece, una sanzione di natura amministrativa  comminata nell’ipotesi di reiterate violazioni alle prescrizioni giudiziali.

Potrebbe anche interessarti “Affidamento super esclusivo: può il genitore affidatario prendere tutte le decisioni che riguardano i minori senza consultare l’altro genitore?”. Leggi qui.

 

 

 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: affidamento condiviso, decisioni di maggiore interesse, divorzio, responsabilità genitoriale, separazione

Bigenitorialità: diritto da preservare a qualsiasi costo?

24 Agosto 2020 Da Staff Lascia un commento

In una recente sentenza, la Cassazione affronta il tema del diritto alla bigenitorialità, chiedendosi se questo sia un diritto da preservare a tutti i costi o se sia necessario porre delle condizioni.

Con pronuncia n. 9143/2020, i Giudici di legittimità statuiscono il principio secondo il quale il giudizio di previsione da compiere sui genitori in ordine alla capacità degli stessi di crescere ed educare il figlio, non può prescindere dal rispetto e dalla tutela alla bigenitorialità. Ciò significa che, pur dovendosi tenere conto del modo in cui i genitori svolgono il proprio ruolo, prestano la propria educazione, attenzione e disponibilità al figlio, non può trascurarsi l’esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell’ esistenza del figlio.

Il diritto alla bigenitorialità è in grado di garantire al figlio una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi. Consente poi a questi di adempiere al comune dovere di cooperare nell’ assistenza, educazione ed istruzione del minore.

Il caso

Un uomo  depositava avanti al Tribunale per i minorenni di Lecce ricorso ex art. 333 c.c. al fine di ottenere la riorganizzazione delle competenze genitoriali. Chiedeva altresì l’esclusione della madre dall’esercizio della responsabilità genitoriale sul figlio. Questa, secondo il ricorrente, aveva poste in essere condotte ostacolanti per il padre. Sentita in sede di giudizio, la donna asseriva che il figlio rifiutava il padre a causa dei numerosi episodi di violenza a cui questo aveva assistito.

Con decreto dell’11 luglio 2019 il Tribunale per i minorenni di Lecce, sulla scorta di un’elevata conflittualità dei genitori, disponeva il collocamento del padre e del figlio presso un’idonea comunità educativa.

Lo stesso provvedimento, a seguito di reclamo da parte della madre, veniva poi confermato dalla Corte d’Appello di Lecce. Per confermare la precedente decisione, il Collegio aveva tenuto conto del persistente rifiuto del minore ad incontrare il padre nonché di un continuo condizionamento sia da parte delle figure parentali che della madre. Per tali ragioni riteneva opportuno che il minore e il padre affermassero la loro relazione. Affermava, inoltre, che non avevano alcun rilievo i comportamenti penalmente illeciti  rilevati dalla donna non esistendo alcun accertamento giudiziario in merito. 

Avverso la decisione della Corte d’Appello, la madre proponeva ricorso per Cassazione. 

La questione giuridica

La questione affrontata dai Giudici di merito attiene al tema della tutela al diritto alla bigenitorialità, ossia della necessaria compresenza dei genitori nella vita dei figli. Ma sino a che punto tale diritto deve essere garantito?

Il ragionamento della Corte di Cassazione

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione riporta alcuni dei principi fondamentali in tema di provvedimenti riguardanti i figli. Gli Ermellini ritengono corretto il diritto del minore ad un costante e proficuo rapporto con ambedue le figure genitoriali. Nel caso di specie questo era stato limitato dall’atteggiamento ostativo della madre che, a sua volta, aveva generato nel figlio un senso di rifiuto verso il genitore non convivente.

E’ compito del Giudice adottare il provvedimento che ponga al centro dell’attenzione il minore assicurando a questo un costante e proficuo rapporto con entrambi i genitori. Ciò si traduce nel diritto del minore ad un equo e sereno rapporto con il padre e con la madre. Ciò, nonostante i genitori siano coinvolti in procedimenti penali o in qualsivoglia doglianza di altra natura. Il principio cardine è quello del best interest of child inteso proprio come primazia degli interessi e dei diritti del minore.

La soluzione

Nel caso di specie gli Ermellini hanno ritenuto infondate le accuse della madre confermando di fatto la decisione dei Giudici di merito. In particolare, la Corte di Cassazione ha sottolineato che i Giudici territoriali, in linea di principio, abbiano adeguatamente considerato i bisogni del minore. Alla luce di ciò, tuttavia, la decisione degli Ermellini nel caso in esame sembrerebbe lasciare sullo sfondo l’interesse del minore dinanzi alla bigenitorialità. Ed invero, la decisione adottata non ha considerato il potenziale trauma nel bambino privato delle proprie abitudini di vita. 

Potrebbe anche interessarti:”Collocamento della prole: a quali condizioni può essere autorizzato il trasferimento del minore?”. Leggi qui.

 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: collocamento figli minori, collocamento presso il padre, collocamento presso la madre, divorzio, figli, genitori, responsabilità genitoriale, separazione, separazione genitori

Famiglia di origine: il minore ha diritto a mantenere con la famiglia di origine rapporti significativi

17 Febbraio 2020 Da Staff Lascia un commento

Famiglia di origine: con la pronuncia in commento la Suprema Corte di Cassazione ha sancito il principio in base al quale criterio guida di ogni scelta in materia di affido, anche temporaneo, nell’ambito di giudizi ex art. 333 c.c., deve essere orientato al mantenimento di un rapporto significativo tra il minore e la famiglia di origine, sia pure quest’ultima “allargata”. (Cass. Civ., n. 28257/19)

Il fatto

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici trae le sue origini da un decreto emesso dal Tribunale per i Minorenni di Venezia. Tale provvedimento disponeva l’allontanamento di tre minori dalla famiglia di origine e il collocamento degli stessi presso un nucleo etero-familiare. La decisione si fondava sull’asserita inadeguatezza dei genitori e dei nonni paterni a curare gli interessi morali e materiali dei piccoli.

La Corte di Appello, in sede di giudizio di secondo grado, confermava il contenuto del provvedimento dei giudici di prime cure.

Per tal motivo, la famiglia ricorreva in Cassazione al fine di aver riconosciuto il diritto a mantenere rapporti significativi con i minori.

Il caso in esame si colloca nell’alveo di giudizi volti all’allontanamento, seppur in via temporanea, di soggetti minori dalle figure genitoriali le cui condotte risultano pregiudizievoli ed ostative all’educazione e all’adeguato sviluppo psico-fisico dei figli.

Dinanzi ad ipotesi di questo tipo, stante il disposto dell’art. 333 c.c., sono due le misure che l’Autorità Giudicante potrebbe ritenere di adottare: l’affido inter-familiare (in favore dei parenti entro il quarto grado) ovvero l’affido etero-familiare.

La decisione della Cassazione

La pronuncia, dunque, punta all’individuazione dell’ordine di preferenza tra le due modalità di affidamento e si pone in linea con l’esigenza, sempre crescente, di riconoscere un ruolo di significativa importanza alla figura dei nonni nei percorsi di affido di questo tipo.

La Corte chiarisce la necessità dell’allontanamento anche temporaneo dei minori dai genitori in casi di trascuratezza, malattia o violenza. Tuttavia la misura dell’affidamento etero-familiare deve assumere la veste di extrema ratio. Ciò al fine di consentire ai membri della c.d. “famiglia allargata” di subentrare e scongiurare l’ulteriore trauma, per i piccoli, di vedersi privati del proprio contesto familiare.

Pertanto, il giudice di merito è preliminarmente tenuto ad accertare l’adeguatezza dei familiari e solo nel caso di comprovata inadeguatezza degli stessi a soddisfare correttamente le esigenze dei minori, si propenderà per la misura dell’affido etero-familiare.

Tornando al caso di specie, la Corte di Cassazione metteva in luce molte criticità dei provvedimenti di merito. In particolare gli ermellini sottolineavano la sommarietà dell’istruttoria: i nonni non erano mai stati sentiti durante il procedimento. Inoltre i giudici di merito non tenevano in debita considerazione che i piccoli  erano già affidati a questi ultimi.

Tali importanti circostanze  inducevano la Corte di Cassazione a cassare il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Venezia  in diversa composizione.

Potrebbe anche interessarti “Dichiarazione di adottabilità dei figli minori se i genitori sono in carcere”, leggi qui. 

 

 

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Lasciare le figlie dai nonni: il genitore rischia di perdere il loro affidamento (Cass. Civ. sent. n.1191/2020)

23 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

Il genitore che decide di lasciare le figlie dai nonni, anziché tenerle con sé, rischia di perdere il loro affido. A stabilire tale principio di diritto è la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 1191 del 2020.

Il caso

Una coppia decideva di separarsi ai sensi dell’art. 151 c.c.. Il Tribunale competente, previa pronuncia della separazione, disponeva il collocamento delle figlie minori presso la madre. Obbligava il padre a versare a titolo di mantenimento delle figlie la somma di € 1000,00 mensili, oltre alla compartecipazione alle spese straordinarie. Disponeva, altresì, il diritto di visita per il padre e preso atto della complessa situazione del nucleo, disponeva l’affido delle due figlie minori al Comune. Il Tribunale, pertanto, limitava la responsabilità dei genitori relativamente alle decisioni più importanti da assumere nell’interesse delle figlie che dovevano essere prese dall’Ente affidatario. Quest’ultimo, inoltre, aveva il compito di avviare interventi a supporto delle bambine e della genitorialità. 

La sentenza veniva appellata da entrambi i coniugi

Ebbene, entrambi i coniugi appellavano la sentenza di separazione. Tuttavia, la Corte adita modificava solamente alcuni punti della decisione di primo grado. Nello specifico, accogliendo le doglianze della donna, modificava esclusivamente gli aspetti economici.

Il padre presentava ricorso in Cassazione

L’uomo ricorreva in Cassazione presentando un articolato ricorso fondato su 31 motivi, tutti rigettati. 

Nel dettaglio, per ciò che attiene l’affidamento delle figlie, l’uomo contestava, tanto le relazioni sociali, tanto le modalità del calendario di incontri con le figlie, quanto la limitazione alla propria responsabilità genitoriale.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione

Nella lunga sentenza n. 1191 del 2020 la Corte di Cassazione si soffermava sulla condotta del padre ricorrente. Sebbene questi lamentasse la violazione di legge e in particolare le limitazioni imposte alla propria responsabilità genitoriale, di fatto il predetto non aveva dimostrato di essere un padre presente. Invero la Corte rilevava come il padre avesse l’abitudine di lasciare le figlie dai nonni fino a tarda sera. In particolare i giudici sottolineavano la “scarsa presenza del padre in casa nei periodi in cui avrebbe dovuto tenere con sé le figlie“. Peraltro più volte i servizi sociali avevano relazionato il disagio che ciò causava alle figlie di soli 12 e 4 anni. 

Potrebbe anche interessarti “Collocamento del figlio presso il padre, in quali casi?”, leggi qui. 

 

 

 

 

 

 

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Attività sportiva figli: chi decide?

13 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

Lo svolgimento di un’attività sportiva è fondamentale per la crescita e il corretto sviluppo dei giovani. Lo sport, oltre ad avere benefici a livello fisico, ha indubbi vantaggi a livello psicologico e sociale. Una sana attività sportiva aiuta lo sviluppo ed è, al contempo, occasione di divertimento e socializzazione.  Peraltro, favorisce l’apprendimento dei valori di vita quali il rispetto delle regole, l’impegno, la responsabilità. Lo svolgimento di un’attività sportiva è talmente importante da essere stata riconosciuta, dalle Nazioni Unite, quale diritto fondamentale. Ebbene, secondo l’art. 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia “Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica […]”.

Chi decide lo sport da fare praticare al minore?

Non è insolito che i genitori, soprattutto se separati o divorziati, non siano d’accordo su quale sport il figlio minore deve praticare. La tematica è particolarmente delicata proprio in virtù del ruolo di primaria importanza che l’attività sportiva occupa nel processo di crescita dello stesso. Chi esercita la responsabilità genitoriale ha certamente diritto di esprimere la propria opinione in merito alla gestione delle attività ludico-ricreative del figlio. Ciò, ovviamente,  non deve tradursi  in una imposizione unilaterale.

Il minore può scegliere lo sport da praticare?

Certo che si! il minore ha diritto di manifestare le proprie preferenze. Ciò anche e soprattutto in relazione alle proprie capacità, inclinazioni ed aspirazioni. Il minore non dovrebbe mai essere costretto alla pratica di un determinato sport, ma dovrebbe essere libero di potere scegliere. A tal proposito esiste un vero e proprio diritto all’ascolto del figlio minore codificato nell’art. 336-bis c.c. I problemi sorgono quando al minore non viene lasciata tale libertà di scelta. Ma soprattutto quando vi è contrasto tra i genitori. In tale caso sarà il Giudice a decidere, laddove adito, a dirimere il contrasto. Peraltro in materia non esiste una regolamentazione in materia di tesseramento minorile.

Ma cosa è il tesseramento minorile?

Ciascuna Federazione sportiva fonda la propria organizzazione su un sistema di affiliazioni e tesseramenti. Pertanto il tesseramento non è altro che l’atto formale di ingresso nell’ordinamento sportivo. Con il tesseramento il soggetto entra a far parte di una società sportiva, la quale a sua volta, è affiliata ad una federazione. A seguito del tesseramento l’atleta è abilitato all’esercizio della relativa attività sportiva in competizioni e manifestazioni dalla stessa organizzate. l’atleta si lega dunque in modo esclusivo ad una società e conseguentemente acquista lo status di soggetto di diritto sportivo. Questo comporta l’acquisto della titolarità di diritti e doveri nei confronti degli altri atleti, associazione e federazione.

Normativa in merito di tesseramento minorile

Nel nostro ordinamento la normativa in tema di tesseramento sportivo minorile è stata per molto tempo alquanto scarna. Ad oggi le varie Federazioni hanno optato per soluzioni eterogenee, soprattutto in tema di legittimazione attiva.

Alcune di esse ritengono sufficiente il consenso di un solo genitore; altre richiedono espressamente il consenso di entrambi i genitori; altre ancora si riferiscono genericamente alla figura esercente la responsabilità genitoriale.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra rappresentato, sarebbe auspicabile un aggiornamento delle norme che disciplinano l’accesso alle attività sportive per i minori. Tale novella dovrebbe tener presente i principi in materia di autodeterminazione del minore di età e il suo diritto di scelta. Così facendo in caso di conflitto tra i genitori, sarebbe utile l’espletamento di una valutazione psicofisica del minore da effettuare periodicamente. 

Attualmente, premesso che i genitori dovrebbero sempre agire nell’interesse del minore, è necessario, quindi,  fare riferimento alle regole dettate dalle singole Federazioni per stabilire chi ha il potere di far tesserare il figlio.

Potrebbe anche interessarti “Obbligo mantenimento dei figli, quando cessa?”, leggi qui.



 

 

 

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Chat e minori: i genitori devono vigilarne e monitorarne l’utilizzo.

6 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

Chat e minori: l’utilizzo delle chat da parte dei minori deve essere oggetto di monitoraggio dei genitori (Trib. Min. Caltanissetta 08.10.2019).

Il caso

Un minore utilizzava un’applicazione di messaggistica per minacciare una coetanea. Quest’ultima, a causa di ciò, era costretta a modificare le proprie abitudini di vita per l’ansia e la preoccupazione sorte per le continue minacce. 

Il caso giungeva all’attenzione del Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta

Il Tribunale per i Minorenni, investito della questione, poneva la propria attenzione sui genitori. Nel dettaglio sottolineava le responsabilità dei genitori in merito all’utilizzo della rete internet da parte dei figli. Invero, i giudici nisseni, evidenziavano, in via generale la necessità a che i genitori provvedano ad educare i minori al corretto utilizzo della rete. Cosa che, a tenor degli stessi, può avvenire solo tramite una limitazione quantitativa e qualitativa dell’uso delle chat (e di internet) da parte dei minori.

Pertanto, sebbene l’uso di chat, e in generale di internet, da parte dei minori è sempre più diffuso, allo stesso tempo questi sono esposti a maggiori rischi e pericoli. Infatti, tramite i social i minori esercitano il proprio diritto all’informazione e comunicazione, tutelato a livello nazionale (art. 21 Cost.) ed internazionale (art. 11 Carta dei diritti UE). Ma tale diritto va contemperato con la tutela del minore stesso. Infatti è risaputo che il non corretto utilizzo di tali strumenti può essere gravemente dannoso. Per tale ragione salvaguardare il minore nell’uso della rete telematica è un obiettivo prioritario. Ciò,  indipendentemente dalle capacità e competenze maturate dal minore stesso.

Conclusioni dei giudici nisseni

I giudici investiti della vicenda ritenevano che l’anomalo utilizzo degli strumenti telematici da parte del minore era sintomatico di scarsa vigilanza ed educazione da parte dei genitori.

Di conseguenza il Tribunale avviava un’attività di monitoraggio e supporto del minore e della madre. Ciò al fine di verificare le effettive e reali capacità educative e di vigilanza da parte della donna.

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Autonomia adolescenziale e responsabilità genitoriale, i confini.

7 Novembre 2019 Da Staff Lascia un commento

L’autonomia adolescenziale e la responsabilità genitoriale sono due diversi aspetti della stessa questione. Spesso infatti ci si chiede quando termini la responsabilità di un genitore ed inizi l’autonomia degli adolescenti.

Cosa si intende per responsabilità genitoriale?

La responsabilità genitoriale è denominata così a partire dal regolamento europeo n. 2201/2003, cosiddetto Bruxelles II bis. È l’insieme dei doveri che un genitore ha verso il proprio figlio. Si tratta del dovere del primo di educare, istruire, mantenere e assistere il figlio e del diritto di questo di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con tutti i parenti.

È un dovere esercitabile da entrambi i genitori congiuntamente, a meno che non vi siano provvedimenti che dispongono diversamente.

La responsabilità genitoriale comporta anche il dovere del genitore di vigilare sul figlio minore. Infatti il padre e la madre sono responsabili per i danni dagli stessi commessi a terzi, eccetto nei casi previsti dalla legge. A stabilire tale dovere di vigilanza è proprio l’art. 2048 c.c.

Autonomia adolescenziale, cosa è?

Avere una età inferiore agli anni 18 non significa necessariamente non potere prendere delle decisione o fare delle scelte. Ed infatti,  il nostro ordinamento garantisce con più norme proprio l’autonomia del minore.

È necessario che il minore abbia un’ età ritenuta consona, non inferiore ai 12 anni, salvo eccezionali ipotesi. In questo caso potrà effettuare autonomamente delle scelte di vita potendo persino chiedere di essere supportato dai genitori moralmente e materialmente.

La Costituzione prevede il diritto del minorenne a lavorare, a promuovere l’azione di disconoscimento della paternità (articoli 2 e 244 c.c.) e il diritto ad interrompere la gravidanza (articolo 12 l. 194/1978). Non di minore rilevanza è il diritto a scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (articolo 1 l. 281/1986).

Non da meno il minore ha diritto ad essere sentito nel corso dei procedimenti che lo riguardano.

Il delicato equilibrio

È dunque necessario trovare il giusto equilibrio tra queste due facce della stessa medaglia. La responsabilità del genitore trova il suo principale limite proprio nella autonomia del figlio. Una linea di confine così sottile che alle volte è difficile da rimarcare. A tal proposito il Tribunale di Caltanissetta, chiamato a decidere un caso in materia, ha di recente affermato che occorre garantire “la tutela del minore alla libertà nelle proprie scelte di vita, sempre che le stesse siano lecite e non pregiudizievoli”. Pertanto i giudici nisseni individuano questo limite nella liceità delle scelte del minore capace di discernimento.

Si tratta, ovviamente, di un concetto in continuo sviluppo destinato ad adeguarsi con la moderna società. I genitori, oggi più di ieri, sono tenuti a supportare le scelte dei  figli a costo, alle volte, di non potere esercitare la propria volontà.

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