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padre

In tema di atti persecutori, il comportamento petulante del padre non può configurare il reato di stalking nei confronti della madre, se giustificato da fondate preoccupazioni verso la figlia minore

19 Marzo 2021 Da Staff Lascia un commento

In tema di atti persecutori, ex art. 612 bis c.p., è possibile che le preoccupazioni di un padre per le condizioni  della propria figlia minore possano essere tali da escludere il reato di stalking nei confronti della madre della bambina?

Il caso

Tizio, padre di una bambina di quattro anni, veniva denunciato dall’ex convivente, madre della bambina, per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p.

Il padre, infatti, in seguito alla separazione dalla compagna, poneva in essere nei confronti della donna,  alcune condotte consistenti in: continue telefonate, pedinamenti ed appostamenti sotto casa e nei pressi del suo luogo di lavoro.

Questione giuridica

La questione giuridica sottoposta all’attenzione dal Tribunale di Milano ed alla base della sentenza emessa da quest’ultimo è la seguente: quali sono i comportamenti ritenuti idonei ad ingenerare nei confronti della vittima un rilevante stato di ansia tale da configurare il reato di stalking?

Normativa di riferimento

La norma di riferimento in materia di atti persecutori è l’art. 612 bis c.p.

Tale disposizione punisce colui che “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita

L’elemento soggettivo richiesto in capo a chi delinque è il dolo generico; ossia la volontà di porre in essere condotte di minaccia e  molestia nella consapevolezza che le stesse siano idonee a causare gli eventi descritti.

In particolare, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli atti persecutori non devono necessariamente essere tali da dare luogo ad una situazione con risvolti patologici. In tali casi è, al contrario, sufficiente che gli stessi creino un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.

È quindi possibile escludere il reato nel caso in cui il soggetto agente non possegga il suddetto elemento soggettivo? non intendendo il soggetto attivo cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nei confronti della vittima?

Decisione del Tribunale di Milano

Il Tribunale di Milano ha assolto Tizio dal reato di atti persecutori per mancanza dell’elemento soggettivo del reato.

In particolare, dalla ricostruzione della vicenda, emerge che Tizio avesse posto in essere comportamenti invadenti al solo fine di conoscere lo stato di salute della figlioletta.

Peraltro emerge anche che  tali condotte non hanno mai concretamente ingenerato nei confronti della ex compagna  stati di paura e di ansia.

Ed infatti, a conferma di ciò, le indagini effettuate mettono in luce che la donna non ha mai modificato le proprie abitudini di vita per paura degli atteggiamenti dell’ex convivente. Al contrario, la persona offesa si è sempre rivolta nei confronti dell’uomo utilizzando toni amichevoli e conciliativi per chiedergli favori. Tizio, invero, era addirittura in possesso di un mazzo di chiavi della casa in cui la medesima viveva.

Peraltro, a detta del Tribunale, le preoccupazioni del padre sembrano essere state “giustificate” anche da alcuni atteggiamenti della madre della bambina.  La donna, mediante la complicità di alcune amiche, aveva falsificato la firma di Tizio al fine di potere espatriare con la piccola, ingenerando in tal modo in lui il fondato timore per le sorti della loro figlia.

In conclusione, le preoccupazioni di un padre per le condizioni di vita e di salute per la propria figlia minore possono essere tali da escludere l’intenzione di realizzare atti persecutori nei confronti della  madre della bambina.

Il comportamento apprensivo e petulante tale da non ledere la libertà di autodeterminazione della vittima, non costituisce un fatto illecito. Non costituisce un fatto inquadrabile nel delitto di atti persecutori o stalking disciplinato dall’art. 612 bis c.p.

Potrebbe anche interessarti: “Stalking: integra il reato perseguitare la propria ex con la scusa di vedere il figlio”. Leggi qui.

 

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Risarcimento danni: la madre che ha ostacolato la relazione tra il figlio e il padre deve risarcire entrambi

23 Febbraio 2020 Da Staff Lascia un commento

E’ obbligata al risarcimento danni la madre che, con la propria condotta, pregiudica la relazione affettiva del padre e del figlio. Ciò in quanto tale atteggiamento lede sia il diritto del figlio alla bigenitorialità sia quello del padre di poter vivere il proprio ruolo genitoriale.

Il caso

Un uomo presentava ricorso ex art. 709-ter c.p.c. al Tribunale di Cosenza, chiedendo, previo ammonimento della moglie, che venissero adottati provvedimenti a tutela del figlio minore. L’uomo chiedeva inoltre l’affidamento esclusivo del figlio con domicilio presso di sé previa regolamentazione del diritto di visita della madre. Chiedeva, infine, che la donna fosse condannata al risarcimento danni subiti da lui e dal figlio a causa della condotta di alienazione parentale causato dal comportamento della moglie.

La donna, costituitasi in giudizio, si opponeva alle richieste del marito e chiedeva a sua volta l’affidamento esclusivo del figlio. Chiedeva che gli incontri tra padre e figlio avvenissero in spazi protetti. Ma non solo. Denunciava l’uomo per condotte abusanti e maltrattanti sul bambino.

Tuttavia queste ultime accuse si concludevano con un provvedimento di archiviazione.

Decisione del Tribunale

Ebbene, il Tribunale valutate le richieste delle parti, alla luce del quadro probatorio, ed esclusa l’accusa di condotte abusanti e maltrattanti ai danni dell’uomo, riteneva che l’allontanamento del minore dal padre fosse riconducibile esclusivamente dalla condotta della madre. Invero, nel corso del giudizio era emerso che la donna aveva deciso che il figlio non dovesse più incontrare il padre, sebbene il processo penale fosse stato archiviato.

Tali circostanze emergevano tanto dalla consulenza tecnica di ufficio tanto dalle relazioni dei servizi sociali. In particolare la donna con il proprio comportamento aveva impedito gli incontri tra padre e figlio per un periodo continuativo di tre anni. Aveva screditato la figura paterna facendo prevalere il rancore personale al benessere del minore. Con tale comportamento la donna aveva, quindi, causato un grave danno all’uomo e allo stesso figlio.

Pertanto, accertata la lunga emarginazione della figura paterna a causa della condotta posta in essere dalla donna, il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento danni avanzata dal padre quantificata in via equitativa. Mentre disponeva l’affidamento ai servizi sociali del minore a causa delle carenze genitoriali emerse nel corso del procedimento.

Quantificazione del danno da alienazione parentale

Come si quantifica il danno da alienazione parentale? In situazioni del genere, considerata la natura non patrimoniale del danno, le norme di riferimento sono gli articoli 2056 e 1226 c.c. Il Giudice, pertanto, potrà procedere alla liquidazione soltanto in via equitativa. Ciò potrà avvenire, tuttavia, in presenza di due condizioni: l’esistenza del danno impossibile da individuare nel preciso ammontare; obbligo per il giudice di indicare i criteri utilizzati per la determinazione del quantum.

I Tribunale, negli ultimi anni, si sono avvalsi delle tabelle del Tribunale di Milano, ritenute idonee alla quantificazione del danno e alla sua personalizzazione al caso concreto.

Potrebbe anche interessarti”Tenore di vita: i figli hanno diritto al tenore di vita goduto prima del divorzio dei genitori”, leggi qui.

 

 

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Collocamento del figlio presso il padre, in quali casi?

3 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il collocamento del figlio presso il padre  è preferibile in tutti i casi in cui questi risulti essere in grado di offrire stabilità, sicurezza e continuità al minore (Cass. sez. I civile ordinanza  n. 30191/2019 del 20.11.2019).

Il caso

Una minore viene affidata dal Tribunale dell’Aquila ai servizi sociali del paese di residenza, con collocamento presso il padre in via preferenziale. La madre propone reclamo avverso il suddetto provvedimento, sottolineando  la violazione del principio del collocamento del figlio presso la madre

La Corte di Appello rigetta il reclamo

La Corte di appello adita rigetta il ricorso della donna, ritenendo che, nel caso di specie, la madre è molto permissiva e distante emotivamente dalla minore. Di contro, il padre ha dimostrato  di essere in grado di garantire alla figlia uno stile di vita educativo regolare, stabilità, sicurezza e continuità. Inoltre la minore ha un ottimo rapporto con i familiari paterni. Tutti elementi che, valutati unitamente, depongono  a favore del collocamento in via preferenziale presso il padre, che risponde al superiore interesse della minore stessa.

La donna ricorre in Cassazione

La donna, non condividendo la posizione della Corte di Appello, ricorre in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 337 ter, co. 1 e 2 c.c. In particolare la predetta ritiene che i giudici hanno dato un significato incongruo al concetto di “interesse del minore”. Ma soprattutto lamenta la mancata applicazione dell’orientamento giurisprudenziale che privilegia la collocazione dei minori presso la madre. 

La Cassazione rigetta il ricorso

Anche gli Ermellini non accolgono il ricorso della donna. La Corte di Cassazione spiega che, in tema di affidamento dei figli, il giudice deve necessariamente effettuare un giudizio prognostico. Deve cioè valutare le capacità di ciascun genitore  di crescere ed educare i figli nella nuova situazione. Tale valutazione deve essere fatta sulla base di elementi concreti. Deve essere, inoltre, valutato come i genitori hanno svolto il proprio ruolo nel passato; la capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto. Tenendo conto, infine, della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare in grado di offrire al minore (Cass. Civ. n. 18817/2015).

Ovviamente, quanto sopra, deve avvenire nel pieno rispetto del principio della bigenitorialità. Quest’ultima da intendersi quale” presenza comune dei genitori nella vita del figlio tale da garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive”.

Per le ragioni sopra spiegate, pertanto, la Corte di Cassazione ritiene che la Corte di Appello abbia correttamente applicato i principi giurisprudenziali. Infatti il padre, nel caso di specie, risulta il genitore in grado di garantire alla figlia maggiore stabilità. Pertanto il collocamento presso il predetto risponde all’interesse morale e materiale della minore stessa.

Può anche interessarti “Affidamento figlio: il genitore lo può riottenere se dimostra di avere abbandonato la vita trasgressiva”, leggi qui. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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