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affidamento

Affidamento super esclusivo: può il genitore affidatario prendere tutte le decisioni che riguardano i minori senza consultare l’altro genitore?

12 Marzo 2021 Da Staff Lascia un commento

In tema di affidamento esclusivo dei figli minori, è legittimo il provvedimento con cui si dispone che il genitore non affidatario non contribuisca in alcun modo a prendere le decisioni di maggiore interesse riguardanti la vita dei figli?

Il caso

Una madre adisce la Corte di Cassazione contestando il provvedimento con cui la Corte di Appello territoriale, pur disponendo che la stessa non decadesse dall’esercizio della responsabilità genitoriale, ha disposto un affidamento “super esclusivo o rafforzato” nei confronti del padre.

Questione giuridica

La questione giuridica alla base del provvedimento assunto dalla Corte territoriale e sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione è la seguente: può il genitore cui non siano affidati i figli in via esclusiva e che non sia decaduto dall’esercizio della responsabilità genitoriale essere escluso anche dall’assunzione delle decisioni di maggiore interesse per i figli?

Normativa di riferimento

La norma di riferimento in materia di affidamento ad un solo genitore è l’art. 337 quater c.c. Tale norma stabilisce che “il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.

La norma delinea una soluzione eccezionale, consentita solo in caso di manifesta carenza o inidoneità educativa di uno dei genitori. Ciononostante, il regime di affidamento esclusivo generalmente lascia in capo al genitore non affidatario la possibilità di adottare, insieme all’altro, le decisioni di maggiore importanza per i figli.

È quindi possibile disporre che il genitore non affidatario sia escluso dall’assunzione delle decisioni di maggiore interesse che li riguardano?

Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione (Cass. Civ. Ord. n. 29999/2020) ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza.  Tale  principio conferma quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 337 quater c.c. secondo cui il giudice, nel disporre l’affidamento esclusivo ad un solo genitore, può modulare l’istituto dell’affido secondo la modalità che caso per caso si riveli più pertinente.

Ne consegue che il regime di affidamento esclusivo può anche essere ulteriormente inasprito nella forma dell’affidamento esclusivo rafforzato ( affidamento super esclusivo).  Ciò di fatto impedisce al genitore non affidatario di contribuire all’assunzione delle decisioni di maggiore interesse per i figli.

Un tale regime maggiormente rigoroso può chiaramente essere disposto solo qualora vi siano delle gravi ragioni che lo giustificano. Ad esempio nel caso in cui uno dei due genitori non sia in grado di provvedere ai bisogni affettivi e relazionali dei figli; e ciò anche quando tale genitore non sia decaduto dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Potrebbe anche interessarti: “Affidamento minori: i figli dodicenni o con capacità di discernimento  hanno diritti di essere ascoltati a pena di nullità”. Leggi qui.

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: affidamento, affidamento figli, divorzio, separazione, superiore interesse

Affidamento minori: i figli dodicenni o con capacità di discernimento hanno diritto di essere ascoltati a pena di nullità

11 Febbraio 2021 Da Staff Lascia un commento

In tema di affidamento di figli minori l’art. 337 bis c.c. prescrive l’obbligo di audizione del minore a pena di nullità quando si assumono provvedimenti sulla convivenza dei figli con uno dei genitori (Cass. Civ., Sez. I, 25 gennaio 2021 n.1474).

Il superiore principio di diritto è stato confermato dagli ermellini con la recente ordinanza n. 1474 del 2021. Ebbene, essendo il minore una parte sostanziale del procedimento diretto a stabilire le modalità di affidamento, nonché portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli dei genitori, ha diritto di esporre le proprie ragioni nel corso del processo.

Il caso

Il Tribunale di Pesaro veniva adito nell’ambito di un procedimento volto alla regolamentazione del regime di affidamento e mantenimento di minori. Il Giudicante adito disponeva: l’affidamento congiunto a entrambi i genitori dei minori nati dalla convivenza more uxorio; il collocamento prevalente dei minori presso la madre; il diritto di visita del padre secondo precise modalità.

L’uomo ricorreva in Corte di Appello

L’uomo proponeva reclamo avverso il provvedimento emesso in primo grado. Il predetto riteneva che il giudice avrebbe dovuto ascoltare almeno la figlia undicenne prima di emettere il provvedimento.

La Corte d’Appello rigettava il reclamo e confermava integralmente la decisione di prime cure, ritenendo di non procedere all’audizione dei due figli per contrasto con i loro interessi.

il padre ricorreva in Cassazione

L’uomo ritenendo ingiusto il provvedimento ricorreva avanti la Suprema Corte. In particolare il padre con il proprio atto lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 315-bis, 336-bis e 337-octies c.c., dell’art. 12
della Convenzione di New York e dell’art. 6 Cedu, per non aver la Corte territoriale disposto l’audizione almeno della figlia maggiore, di 11 anni di età e quindi perfettamente capace di esprimersi in  ordine all’affidamento.

La Suprema Corte accoglie il ricorso

Gli ermellini accoglievano le doglianze del padre. Nella propria motivazione sottolineavano che in tutti i procedimenti previsti dall’art. 337-bis c.c., in caso di assunzione di provvedimenti relativi alla convivenza e all’affidamento dei figli ad uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento a pena di nullità. 

Da tale obbligo ne consegue che il giudice deve motivare in
modo specifico e circostanziato la scelta di non procedere  all’audizione- Ciò soprattutto quando l’età del minore si avvicina a quella dei 12 anni, oltre la quale sussiste l’obbligo legale dell’ascolto. Tale onere motivazionale
ricorre non solo quando il giudice ritenga il minore incapace di discernimento o l’esame superfluo oppure in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora, invece che procedere all’ascolto diretto, opti per un ascolto c.d. “delegato”.

Nel caso di specie, il giudice di merito non si era attenuto a tali principi, escludendo l’audizione della figlia della coppia in assenza di adeguata motivazione sulla sua capacità di discernimento.

Sottolineavano gli ermellini che il mancato ascolto, se non sorretto da espressa motivazione su un’assenza di discernimento o sulla sussistenza di altre circostanze tali da giustificarne l’omissione, costituisce violazione del contraddittorio e dei principi del giusto processo.

Per questi motivi, la Corte cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Potrebbe interessarti “Bigenitorialità: diritto da preservare ad ogni costo?”. Leggi qui. 

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Affido congiunto: è da escludere in caso di alta conflittualità tra i genitori

8 Giugno 2020 Da Staff Lascia un commento

E’ corretto negare l’affido congiunto a quei genitori che si sono rivelati incapaci di elaborare il fallimento del proprio progetto di coppia e sono quindi in costante conflitto reciproco, anche in presenza del figlio, incapaci di dialogare o accordarsi nell’interesse superiore del minore senza ricorrere ad avvocati o all’autorità giudiziaria (Cass. civ., ord. n. 5604/2020).

Pertanto l’incapacità di rapportarsi responsabilmente alla genitorialità mette a rischio l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli.

Il caso

Un uomo si rivolgeva al Tribunale di Roma chiedendo l’affido condiviso del figlio minore nato da una relazione more uxorio.

Il Tribunale adito, con decreto, rigettava la richiesta e confermava la sospensione della responsabilità genitoriale già disposta dal Tribunale per i minorenni. Determinava, altresì, il contributo mensile per il mantenimento, dovuto dal padre, e poneva le spese straordinarie a carico di entrambi i genitori nella misura del 50%.

Gli stessi proponevano reclamo nei confronti del decreto: il padre chiedeva nuovamente l’affido condiviso del figlio, oltre che la rideterminazione dell’assegno di mantenimento da esso dovuto; invece, la madre chiedeva la corresponsione di un contributo maggiore.

La CdA di Roma rigettava entrambi i reclami, adducendo le seguenti motivazioni.

In primis, a fondamento di detta decisione, vi era la constatazione di un rapporto altamente conflittuale tra i genitori. Questo elemento escludeva di default la possibilità di un affido congiunto del minore.

Con riguardo agli aspetti economici, la Corte reputava corretta la determinazione dell’assegno di mantenimento stabilita dal Tribunale in primo grado.

Da ultimo la CdA, avendo rilevato il parziale inadempimento del padre nel corrispondere l’assegno, aveva disposto che quest’ultimo fosse versato alla madre direttamente dal datore di lavoro dell’ex compagno (ai sensi dell’art. 156 c.c.).

Il ricorso in Cassazione

L’uomo impugnava la sentenza e ricorreva in Cassazione.

Innanzitutto il ricorrente contestava l’entità del mantenimento da esso dovuto. Lo stesso sottolineava come i giudici di appello non avessero in alcun modo tenuto conto della sua situazione reddituale, né avessero indagato circa le condizioni patrimoniali dell’ex compagna. Secondo il ricorrente, la donna, oltre ad essere proprietaria di svariati immobili, non avrebbe mai cercato di rendersi economicamente autonoma.

Con il secondo motivo di ricorso, l’uomo reiterava la richiesta di affido congiunto del figlio minore. Questi chiariva come il trasferimento dell’ex compagna da Milano a Roma fosse la reale causa dell’inasprimento dei rapporti tra i due genitori: infatti, a detta del ricorrente, il trasferimento del figlio presso un’altra città aveva comportato una lesione al proprio diritto alla bigenitorialità.

L’iter decisionale della Cassazione.

La Corte dichiarava inammissibili entrambi i motivi di ricorso.

Con riguardo al primo motivo la Corte rilevava che, al fine di stabilire l’entità del contributo al mantenimento del figlio posto a carico del genitore non collocatario, occorre osservare il principio di proporzionalità. Ciò significa che la misura dell’assegno deve tenere conto dei redditi di entrambi i genitori, oltre che delle esigenze del minore alla luce del tenore di vita goduto (così Cass. civ., n. 4811/2018).

La Corte rilevava come i giudici di appello avessero ampiamente esaminato i redditi di entrambi i genitori, tenuto conto delle esigenze del bambino. Dunque riteneva che la pronuncia di secondo grado fosse immune da vizi.

Anche l’ordine impartito al datore di lavoro dell’uomo di versare le somme in favore della madre era stato ritenuto insindacabile, in sede di legittimità, poiché adeguatamente motivato.

Nei casi di alta conflittualità…

la Corte precisava che l’esistenza di un rapporto di conflittualità tra le figure genitoriali non preclude l’accesso al regime dell’affido condiviso. Ciò purché si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole. Sicché non deve essere messo in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli (così Cass. civ., n. 6535/2019).

Pertanto, la decisione dei giudici di merito era da ritenersi assolutamente congrua posto il «quadro di genitorialità “assolutamente desolante”» caratterizzante la relazione tra i due soggetti.

Dalla relazione dei Servizi Sociali del Comune di Roma era altresì emerso: l’incapacità degli ex conviventi di elaborare il fallimento del progetto di coppia; il costante rifiuto dei genitori di avviare un percorso di mediazione.

Questi elementi, unitamente considerati, avevano spinto la CdA competente a confermare l’affidamento del bambino al Comune di Roma. Veniva inoltre nominato il Sindaco pro tempore tutore provvisorio e avviato un adeguato supporto psicologico.

Alla luce delle suesposte motivazioni la Suprema Corte di Cassazione rigettava il ricorso dichiarandolo inammissibile.

Potrebbe anche interessarti “Ritardo mantenimento: se l’obbligato ritarda a versare il contributo paga l’Inps”. Leggi qui.

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Stato di abbandono: il minore può essere dichiarato adottabile

2 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

In caso di stato di abbandono di un minore la Corte di Cassazione ha stabilito che “sussiste lo stato di abbandono non solo nelle ipotesi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma altresì nei casi in cui la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave lo sviluppo psico fisico del bambino, in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età e al suo grado di sviluppo” (Cass. civ. ord. n. 32412/2019).

Il fatto

La Corte di Appello, in conformità con la decisione di primo grado, dichiarava lo stato di adottabilità di un minore. In particolare i giudici aditi sostenevano che il minore non godesse di un’adeguata assistenza morale e materiale da parte della madre. Inoltre era emerso che il minore soffrisse di disturbo del linguaggio e la madre era incapace di affrontare il problema. 

Per tali motivi, il bambino veniva collocato in una casa famiglia. In tale contesto si assisteva ad un repentino miglioramento delle sue condizioni psico fisiche. 

La donna, dunque, proponeva ricorso in Cassazione avverso detta decisione, lamentando la mancata valutazione del preminente diritto del minore di vivere con i genitori.

Cosa si intende per adottabilità?

L’art. 1 della l. 184/1983 sancisce il diritto del minore a crescere nella propria famiglia di origine. Ciò comporta che il giudice di merito deve espletare sempre, in via preventiva,  interventi a  sostegno della genitorialità al fine di rimuovere eventuali situazioni pregiudizievoli.  Solo qualora risulti impossibile il pieno recupero delle capacità genitoriali può considerarsi legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità. 

A tal proposito gli Ermellini chiariscono che si ha stato di abbandono quando vi è rifiuto volontario dell’adempimento dei doveri genitoriali. Ma non solo. Anche nei casi in cui la situazione familiare sia pregiudizievole per lo sviluppo psico fisico del minore. Pertanto in assenza di concreti riscontri a nulla rileva la volontà verbale dei genitori di prendersi cura dei figli.

La decisione 

Tornando al caso di specie, la Corte di Appello aveva sottoposto al vaglio la capacità genitoriale della donna (stante l’assenza del padre che non aveva riconosciuto il figlio). La Corte era pervenuta ad un giudizio negativo circa le capacità della stessa ad accudire il minore, considerate le problematiche circostanze emerse in corso di istruttoria.

Pertanto la Corte di Cassazione riteneva inammissibile il ricorso e confermava lo stato di adottabilità del minore. 

Potrebbe anche interessarti “Famiglia di origine: il minore ha diritto a mantenere con la famiglia di origine rapporti significativi” leggi qui. 

 

 

 

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Collocamento del figlio presso il padre, in quali casi?

3 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il collocamento del figlio presso il padre  è preferibile in tutti i casi in cui questi risulti essere in grado di offrire stabilità, sicurezza e continuità al minore (Cass. sez. I civile ordinanza  n. 30191/2019 del 20.11.2019).

Il caso

Una minore viene affidata dal Tribunale dell’Aquila ai servizi sociali del paese di residenza, con collocamento presso il padre in via preferenziale. La madre propone reclamo avverso il suddetto provvedimento, sottolineando  la violazione del principio del collocamento del figlio presso la madre

La Corte di Appello rigetta il reclamo

La Corte di appello adita rigetta il ricorso della donna, ritenendo che, nel caso di specie, la madre è molto permissiva e distante emotivamente dalla minore. Di contro, il padre ha dimostrato  di essere in grado di garantire alla figlia uno stile di vita educativo regolare, stabilità, sicurezza e continuità. Inoltre la minore ha un ottimo rapporto con i familiari paterni. Tutti elementi che, valutati unitamente, depongono  a favore del collocamento in via preferenziale presso il padre, che risponde al superiore interesse della minore stessa.

La donna ricorre in Cassazione

La donna, non condividendo la posizione della Corte di Appello, ricorre in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 337 ter, co. 1 e 2 c.c. In particolare la predetta ritiene che i giudici hanno dato un significato incongruo al concetto di “interesse del minore”. Ma soprattutto lamenta la mancata applicazione dell’orientamento giurisprudenziale che privilegia la collocazione dei minori presso la madre. 

La Cassazione rigetta il ricorso

Anche gli Ermellini non accolgono il ricorso della donna. La Corte di Cassazione spiega che, in tema di affidamento dei figli, il giudice deve necessariamente effettuare un giudizio prognostico. Deve cioè valutare le capacità di ciascun genitore  di crescere ed educare i figli nella nuova situazione. Tale valutazione deve essere fatta sulla base di elementi concreti. Deve essere, inoltre, valutato come i genitori hanno svolto il proprio ruolo nel passato; la capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto. Tenendo conto, infine, della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare in grado di offrire al minore (Cass. Civ. n. 18817/2015).

Ovviamente, quanto sopra, deve avvenire nel pieno rispetto del principio della bigenitorialità. Quest’ultima da intendersi quale” presenza comune dei genitori nella vita del figlio tale da garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive”.

Per le ragioni sopra spiegate, pertanto, la Corte di Cassazione ritiene che la Corte di Appello abbia correttamente applicato i principi giurisprudenziali. Infatti il padre, nel caso di specie, risulta il genitore in grado di garantire alla figlia maggiore stabilità. Pertanto il collocamento presso il predetto risponde all’interesse morale e materiale della minore stessa.

Può anche interessarti “Affidamento figlio: il genitore lo può riottenere se dimostra di avere abbandonato la vita trasgressiva”, leggi qui. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Affidamento figlio: il genitore lo può riottenere se dimostra di avere abbandonato la vita trasgressiva.

10 Ottobre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il genitore può riottenere l’affidamento del figlio se dimostra di avere messo da parte lo stile di vita trasgressivo, fatto di alcool e droga. Infatti il reale cambiamento gli consentono di potere riottenere l’affidamento. A stabilire il predetto principio è stata la Suprema Corte, I sez. civile, con la sentenza n. 24790 depositata il 3 ottobre scorso.

Il caso

Un padre aveva perso l’affidamento del figlio minore a causa delle condotte contrarie ai dovevi di un genitore. In particolare lo stile di vita trasgressivo condotto, causato dall’abuso di alcool e droga, lo rendevano inidoneo al proprio ruolo. Tale circostanza induceva il Tribunale, a tutela del minore, a disporne temporaneamente l’affidamento ad altra famiglia. Veniva dichiarato, altresì, lo stato di adottabilità del ragazzino.

Il padre, presa coscienza e consapevolezza di quanto stava accadendo, impugnava innanzi la Corte di Appello competente il provvedimento che disponeva lo stato di adottabilità del figlio.

La Corte di Appello riconoscendo concretezza agli elementi forniti dal padre revocava lo stato di adottabilità del minore. L’Ecc.ma Corte ammetteva che i progressi posti in essere dall’uomo erano tali da consentire al figlio di fare rientro a casa.

In particolare il ricorrente dimostrava di avere adeguata capacità genitoriale e di essere in grado di supportare il figlio. Tutto ciò grazie al superamento delle problematicità legate all’abuso di alcool e stupefacenti.

La Corte di Appello andava oltre.  Affermava  che la nuova situazione non poteva essere messa in discussione dalla stabilizzazione del minore presso la famiglia affidataria. Neppure i possibili pregiudizi con il rientro nella famiglia di origine potevano avere prevalenza.

Il tutore ricorreva in Cassazione

Il Tutore ricorreva in Cassazione lamentando che il provvedimento adottato dalla Corte fosse in contrasto con l’interesse del minore. In particolare il predetto sosteneva il diritto del fanciullo alla continuità affettiva con la famiglia affidataria.

La Suprema Corte di Cassazione confermava la valutazione effettuata dal Giudice di secondo grado. Per tale ragione, pertanto, il ricorso al Giudice delle leggi si rivelava inutile. Gli Ermellini ribadivano il diritto del padre a riavere con sé il figlio. Infatti l’uomo aveva dato prova di potersene occupare sotto il profilo economico ed affettivo.  L’elemento più importante della vicenda è stata la capacità del padre di superare le problematiche legate alle dipendenze. Grande rilievo ha avuto anche l’atteggiamento positivo manifestato dall’uomo dopo il collocamento presso la famiglia affidataria.

I sopra descritti elementi hanno reso fondato il giudizio in merito alla recuperata capacità genitoriale. Ciò ha correttamente comportato la revoca dello stato di adottabilità del figlio e il rientro graduale presso la famiglia di origine.

Può interessarti anche “Il superiore interesse del minore nel procedimento per riconoscimento del figlio: le linee guida della Cassazione in Cass. I sez. Civ. Sent. n. 17762/2017”. Leggi qui.

 

 

 

 

 

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Alienazione parentale: tolto l’affidamento alla madre che ostacola i rapporti padre figlio

15 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’alienazione parentale alimentata nei confronti dell’altro genitore è sintomo di inadeguatezza del ruolo genitoriale. Per questo il Tribunale di Brescia ha negato l’affidamento condiviso alla madre che ha ostacolato i rapporti padre – figlia. (Trib. Brescia, Sent. 815/2019)

Una coppia decide di separarsi. Nel “limbo” che intercorre tra la presa di coscienza della fine del rapporto matrimoniale e la definizione dal punto di vista legale della separazione, l’uomo se ne va di casa. La figlia della coppia, dell’età di dieci anni, resta a vivere con la madre.

In un primo periodo, nonostante la nuova routine familiare ed il fatto che il papà non vivesse più sotto lo stesso tetto con la figlia, il rapporto tra i due era disteso.

Pian piano però la bambina ha cominciato a manifestare una certa opposizione al padre. Opposizione che si  è trasformata, piano piano, in un ingiustificato rifiuto di incontrarlo.

Nel frattempo il giudizio di separazione è iniziato, e questa circostanza viene portata all’attenzione del Tribunale. Il Giudice, intenzionato a comprendere meglio le dinamiche – ormai radicalmente cambiate – di questo rapporto, nomina un consulente tecnico d’ufficio (CTU).

Dall’analisi svolta il consulente ha ricondotto il comportamento della bambina nella la c.d. Sindrome da Alienazione Parentale.  Si erano inequivocabilmente manifestati gli otto sintomi di questa sindrome (per approfondire quali sono, leggi qui).

Non era dunque stata la ragazzina ad allontanarsi volontariamente dal padre a causa di un suo comportamento. Anzi! Il papà si era sempre dimostrato attento e ai bisogni della figlia, e partecipe alla sua vita.

Purtroppo invece era stata la madre a mettere l’uomo in cattiva luce agli occhi della piccola, di fatto limitando gli incontri tra i due, ed innescando delle dinamiche assolutamente contorte. La donna non solo non aveva fatto nulla per preservare il rapporto padre-figlia, ma di fatto ne aveva minato le fondamenta. 

Questo atteggiamento della donna – secondo il Tribunale – la renderebbe inadeguata al ruolo genitoriale. Per questo i Giudici hanno deciso di affidare la bambina in via esclusiva al padre.

E’ bene però precisare che questa è una sentenza di primo grado, e come tale impugnabile nei successivi gradi di giudizio. Dunque dovremmo attendere per verificarne la definitività.  

Potrebbe interessarti anche: “Collocamento paritario: quando è preferibile per il minore”. Leggi qui

 

 

 

 

 

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Adozione: apertura ai singles, anche di una certa età

10 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’adozione – secondo una recente ordinanza della Cassazione – non è più solo ad appannaggio delle coppie sposate più giovani. Via libera anche ai single e  alle coppie non sposate, anche se non più giovanissimi. (Cass. ord. 17100/2019)

Una coppia ha avuto un bambino affetto da un grave handicap. Purtroppo, a pochi mesi dalla nascita lo hanno allontanato. E comunque si sono dimostrati assolutamente inidonei a ricoprire il ruolo genitoriale. Per questo il Tribunale per i Minorenni li ha dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale. Nel 2010 ha poi affidato il bambino ad una infermiera professionale di 62 anni, che per tutto questo tempo, con l’aiuto della giovane figlia, si è presa cura del piccolo.

Da ultimo, il Tribunale per i Minorenni ha deciso che il bambino, ormai di 8 anni, andasse in adozione alla donna. 

Inspiegabilmente, i genitori si sono opposti a questa decisione. Sostenevano infatti di non avere mai acconsentito all’adozione del figlioletto. Reputandolo una sorta di loro “proprietà”, lo rivolevano indietro. Ed hanno avanzato dubbi sulla legittimità di questa adozione che vedeva coinvolta una donna single e troppo anziana. Infatti, a loro dire, tra l’infermiera e il minore ci sono più di 45 anni di differenza (limite consentito dall’art. 6 L. 184/1983). 

La questione è arrivata fino in Cassazione.

Ma la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della coppia, confermando l’adozione in favore della donna sessantaduenne.

Gli Ermellini hanno fondato la loro decisione, partendo dall’esame dell’art. 44 lettera d) della L. 184/1983. Secondo la Cassazione, questa norma, che regola l’adozione in casi particolari, sarebbe da considerarsi una “clausola di chiusura del sistema” che riguarda le adozioni.

La norma infatti consente questo tipo di adozione tutte le volte in cui si vuole salvaguardare la continuità affettiva ed educativa tra il minore e chi se ne è preso cura. Deve però verificarsi il presupposto dell’impossibilità a ricorrere all’affidamento preadottivo. Ciò vuol dire che non ci devono essere  aspiranti genitori che vogliano adottare il bambino in maniera “piena”.

Quindi non occorre che il minore versi in stato di abbandono. Occorre però verificare che vi sia interesse dell’adottato al riconoscimento di una relazione affettiva già instaurata e consolidata con chi se ne prende cura.

Quanto poi al limite massimo di differenza di età (non rispettato), la Cassazione ha fatto delle precisazioni. L’adozione in casi particolari, in fatti, non lo prevede. Richiede solo che l’adottante sia più grande dell’adottato di almeno 18 anni. Ciò vuol dire che, rispettato detto limite d’età (e le altre condizioni sopra indicate), anche i single e le coppie non sposate possono adottare.

Ovviamente – ribadisce la Suprema Corte – occorre accertare che sia rispettato l’interesse del minore.

 

Potrebbe interessarti anche: “La dichiarazione dello stato di adottabilità come soluzione estrema: lo dice la Cassazione”. Leggi qui

 

 

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Diritto del lavoro

Lo Studio Legale Arcoleo assiste i propri clienti nei vari ambiti del diritto del lavoro, del diritto sindacale e della previdenza sociale, fornendo consulenza sia in ambito stragiudiziale che giudiziale e con riferimento all’istaurazione, allo svolgimento ed alla cessazione del rapporto di lavoro.

A tal fine, lo Studio si avvale di molteplici apporti specialistici (consulenti del lavoro, commercialisti) anche nelle questioni che investono discipline complementari, per garantire alla clientela un’assistenza ancora più completa grazie ad un miglior coordinamento tra le diverse professionalità.

Diritto penale di famiglia

L’Avv. Antonella Arcoleo coadiuvato  da altri professionisti come avvocati psicologi e mediatori è da sempre impegnato in prima linea per difendere e tutelare i diritti fondamentali della persona in caso di abusi o violenze e offre consulenza e assistenza legale.

Assistenza alle aziende

Lo Studio Legale Arcoleo vanta un’importante esperienza nell’assistenza alle imprese.

Alla base del successo di ogni azienda vi è la particolare attenzione per gli aspetti legali strettamente correlati al business che se correttamente e tempestivamente curati garantiscono alle imprese una sensibile riduzione del contenzioso.

Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.