Con l’ordinanza n. 13217 del maggio del 2021, la Corte di Cassazione torna a fornire una guida da seguire nel caso in cui un genitore chieda in giudizio l’affido del figlio minore nelle forme dell’affidamento super esclusivo.
Il caso
Nel caso di specie la richiesta trovava fondamento nella circostanza che l’altro genitore (la madre nel caso de quo) era stata dichiarata, in sede di consulenza tecnica di ufficio sull’incapacità genitoriale, affetta dalla “sindrome della madre malevole” o c.d. pas.
La corte di Cassazione cassava la sentenza della Corte di Appello, con rinvio ad altra corte territoriale, accogliendo le doglianze della madre.
Decisione dei giudici di merito
Il Giudice di secondo grado aveva ritenuto sussistenti i presupposti per l’affido super esclusivo al padre. Dalla C.T.U era emersa un’elevata conflittualità dei genitori, un grave problema di comunicazione tra i due e una grave carenza nelle capacità genitoriali della donna. Dai colloqui clinici era emersa la volontà della madre di tenere la bambina solo per sé, escludendo la figura genitoriale paterna; una forte resistenza a cambiare le proprie convinzioni e l’influenza negativa della famiglia materna, con prospettive rischiose per la bambina.
Da qui era nata la necessità di collocare la minore presso il padre, ritenuto genitore capace di darle serenità ed equilibrio.
Tali conclusioni venivano confermate anche dalla seconda consulenza tecnica. Tale ultima consulenza aveva rilevato la necessità di affidare la minore solo al padre. Ciò poiché la madre risultava affetta da “sindrome della madre malevola” che la portava ad escludere totalmente la figura paterna dalla vita della figlia. La Corte aveva così fondato su detto accertamento tecnico la propria decisione, ritenendo gli esito della CTU attendibili perché basate su “risultanze cliniche, oggetto di specifico accertamento di fatto.”
La donna ricorreva in Cassazione
La madre ricorreva in Cassazione, i cui Giudici accoglievano il ricorso ritenendo fondati i quattro motivi del ricorso. Gli ermellini chiarivano che, quando un genitore denuncia comportamenti dell’altra figura genitoriale riconducibili alla c.d. sindrome da alienazione parentale, per procedere alla modifica delle condizioni di affidamento, il giudice è tenuto ad accertare la veridicità di detti comportamenti.
Un genitore infatti è ritenuto idoneo anche per la capacità di preservare i rapporti della prole con l’altro genitore. Ciò tutela il diritto del minore alla bigenitorialità e a una crescita sana ed equilibrata. Nell’aderire alle conclusioni di un accertamento peritale il giudice non poteva limitarsi a richiamare le conclusioni dei consulenti. Egli è chiamato ad accertare la validità scientifica delle risultanze. Ciò al fine di evitare che “soluzioni prive del necessario conforto scientifico risultino alla fine potenzialmente produttive di danni ancora più gravi di quelli che intendono scongiurare.”
La Corte rilevava pertanto che le conclusioni sulle capacità genitoriale della madre non risultavano chiare. In molti punti apparivano generiche. Sebbene la ricorrente avesse in effetti ostacolato in qualche occasione il rapporto padre e figlia doveva tenersi in conto come fosse pure stato accertato che la madre manteneva comunque una condotta di accudimento nei confronti della minore.
Per la Cassazione “i fatti ascritti dalla Corte territoriale alla ricorrente non presentano la gravità legittimante la pronuncia impugnata, in mancanza di accertate, irrecuperabili carenze d’espressione delle capacità genitoriali” tali da giustificare il super affido al padre in un’età in cui, per la bambina, la figura materna è così importante.
Per queste ragioni si giungeva alla pronuncia di cassazione con rinvio ad altra Corte territoriale, per trattare nuovamente la questione.
Potrebbe anche interessarti: “Affido super esclusivo: può il genitore affidatario prendere tutte le decisioni che riguardano i minori senza consultare l’altro genitore?”. Leggi qui
Lascia un commento