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affidamento figli

Sindrome della madre malevola: non basta a giustificare l’affido super esclusivo al padre

23 Giugno 2022 Da Staff Lascia un commento

Sindrome della madre malevola non basta a giustificare l’affido super esclusivo al padre.

La sindrome da alienazione parentale (PAS) o la sindrome della madre malevola (MMS) non sono qualificabili quali patologie riconosciute scientificamente e non possono, quindi, giustificare un provvedimento di affido super esclusivo a favore di un coniuge. Così decide la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 17.05.2021 n. 13217.

Il caso

Il Tribunale concedeva l’affido esclusivo della minore al padre, regolamentando le visite della madre. Il padre proponeva reclamo e chiedeva l’affido super esclusivo, oltre a visite della madre protette con l’ausilio degli assistenti sociali.

La madre si opponeva e chiedeva l’affido condiviso, con collocamento prevalente presso di sé. 

La Corte di Appello Territoriale accoglieva il reclamo del padre e disponeva l’affido super esclusivo in suo favore sulla base delle risultanze delle CTU, da cui emergeva che la donna fosse affetta dalla sindrome della madre malevola (cosiddetta MMS).

La madre ricorre in Cassazione contro la decisione della Corte di Appello. 

La decisione della Suprema Corte

Ad avviso della Suprema Corte, il giudice di merito ha disposto l’affidamento super esclusivo a favore del padre non curandosi di quale fosse il migliore sviluppo della personalità del minore. Ed inoltre, non effettuando una prognosi sulle capacità genitoriali della madre, il giudice di merito si è soffermato soltanto su degli episodi insufficienti a fondare il provvedimento di affidamento super esclusivo.

Secondo gli ermellini, la sindrome della madre malevola non è riconosciuta scientificamente. Pertanto la valutazione del giudice avrebbe dovuto essere più ampia e considerare ogni aspetto, compresa la possibilità della madre di intraprendere un percorso di recupero delle proprie capacità genitoriali.

Non è, infatti, corretto attribuire rilevanza ai limiti caratteriali della stessa considerando che ella non ha dimostrato trascuratezza o incuria verso al figlia. 

Secondo la Corte, i fatti ascritti alla ricorrente non presentano una gravità tale da legittimare il provvedimento di super affido, non essendo state accertate irrecuperabili carenze di espressione delle capacità genitoriali.

Il giudice di merito ha, inoltre, trascurato le conseguenze di una simile decisione sulla minore. Decisione che causerebbe una rilevante attenuazione dei rapporti con l’altro genitore che provoca un provvedimento di super affido. 

Il giudice deve evitare di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancora più gravi di quelli che intendono scongiurare.

Il criterio fondamentale è l’interesse del minore

Il giudice è tenuto ad analizzare la condotta genitoriale e acclarare la sussistenza di effettive carenze. Nel caso di specie, si è fatto genericamente riferimento a condotte scorrette tenute dalla donna. Si è fatto riferimento anche alle gravi ripercussioni sulla bambina, senza in realtà indicare i pregiudizi specifici patiti dalla minore. Il giudice deve sempre attenersi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore interesse del minore, privilegiando il genitore che riduce il pregiudizio che il bambino può subire in seguito alla disgregazione della famiglia. Trattasi di un giudizio prognostico incentrato sulle capacità affettive del genitore, non suscettibile di censure in sede di legittimità.

Potrebbe anche interessarti: “Responsabilità genitoriale: decade il genitore che non si cura degli obblighi scolastici dei figli”. Leggi qui. 

 

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Affidamento super esclusivo: può il genitore affidatario prendere tutte le decisioni che riguardano i minori senza consultare l’altro genitore?

12 Marzo 2021 Da Staff Lascia un commento

In tema di affidamento esclusivo dei figli minori, è legittimo il provvedimento con cui si dispone che il genitore non affidatario non contribuisca in alcun modo a prendere le decisioni di maggiore interesse riguardanti la vita dei figli?

Il caso

Una madre adisce la Corte di Cassazione contestando il provvedimento con cui la Corte di Appello territoriale, pur disponendo che la stessa non decadesse dall’esercizio della responsabilità genitoriale, ha disposto un affidamento “super esclusivo o rafforzato” nei confronti del padre.

Questione giuridica

La questione giuridica alla base del provvedimento assunto dalla Corte territoriale e sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione è la seguente: può il genitore cui non siano affidati i figli in via esclusiva e che non sia decaduto dall’esercizio della responsabilità genitoriale essere escluso anche dall’assunzione delle decisioni di maggiore interesse per i figli?

Normativa di riferimento

La norma di riferimento in materia di affidamento ad un solo genitore è l’art. 337 quater c.c. Tale norma stabilisce che “il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.

La norma delinea una soluzione eccezionale, consentita solo in caso di manifesta carenza o inidoneità educativa di uno dei genitori. Ciononostante, il regime di affidamento esclusivo generalmente lascia in capo al genitore non affidatario la possibilità di adottare, insieme all’altro, le decisioni di maggiore importanza per i figli.

È quindi possibile disporre che il genitore non affidatario sia escluso dall’assunzione delle decisioni di maggiore interesse che li riguardano?

Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione (Cass. Civ. Ord. n. 29999/2020) ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza.  Tale  principio conferma quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 337 quater c.c. secondo cui il giudice, nel disporre l’affidamento esclusivo ad un solo genitore, può modulare l’istituto dell’affido secondo la modalità che caso per caso si riveli più pertinente.

Ne consegue che il regime di affidamento esclusivo può anche essere ulteriormente inasprito nella forma dell’affidamento esclusivo rafforzato ( affidamento super esclusivo).  Ciò di fatto impedisce al genitore non affidatario di contribuire all’assunzione delle decisioni di maggiore interesse per i figli.

Un tale regime maggiormente rigoroso può chiaramente essere disposto solo qualora vi siano delle gravi ragioni che lo giustificano. Ad esempio nel caso in cui uno dei due genitori non sia in grado di provvedere ai bisogni affettivi e relazionali dei figli; e ciò anche quando tale genitore non sia decaduto dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Potrebbe anche interessarti: “Affidamento minori: i figli dodicenni o con capacità di discernimento  hanno diritti di essere ascoltati a pena di nullità”. Leggi qui.

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Sindrome da alienazione parentale (PAS), cosa è?

18 Settembre 2020 Da Staff Lascia un commento

La sindrome da alienazione parentale (PAS – Parental Alienation Syndrome) è una dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in separazioni e divorzi altamente conflittuali.

In tale materia è molto  interessante una sentenza Tribunale di Brescia.

In particolare, il Tribunale di Brescia con la sentenza n. 815/2019 ha individuato otto sintomi dai quali è possibile desumere nei figli la sindrome da alienazione parentale. Purtroppo nei casi di separazione o divorzio spesso accade che uno dei genitori metta in atto una campagna denigratoria nei confronti dell’altro. Ciò al fine di tenere il figlio per sé o semplicemente per danneggiare il coniuge, a tutto danno del minore stesso. Nel caso di specie i consulenti incaricati hanno messo in luce che i figli di genitori in conflitto corrono il rischio di sviluppare disturbi della personalità o disturbi d’identità di genere.

Il caso

Una donna chiedeva la separazione con addebito al marito accusato di essere marito e padre assente. L’uomo veniva anche accusato di avere continuamente offeso e denigrato la moglie. Quest’ultima chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno. L’uomo, costituitosi in giudizio, negava le accuse, sostenendo che il fallimento del matrimonio derivava dall’infedeltà della moglie. Peraltro, l’uomo chiedeva il risarcimento del danno subito in quanto la moglie avrebbe ostacolato i rapporti con la figlia.

Durante la pendenza del procedimento di separazione la donna denunciava il marito accusandolo di avere toccato nelle parti intime la figlia minore. A causa di ciò, il diritto di visita veniva disposto in forma protetta.Durante l’istruttoria veniva disposta l’attivazione dei servizi sociali con compiti di sostegno e monitoraggio. Veniva, inoltre, disposta una CTU al fine di appurare i rapporti tra la minore e i genitori.

Conclusa l’istruttoria, il Tribunale di Brescia dichiarava la separazione dei coniugi. Respingeva la domanda di addebito della moglie e accoglieva quella del marito, il quale aveva provato l’infedeltà della donna a cui non veniva riconosciuto l’assegno di mantenimento.

Provvedimenti nell’interesse della figlia

Il Tribunale evidenziava che l’atteggiamento della minore coinvolta nella separazione era peggiorato nel tempo. In particolare la minore manifestava un ostinato rifiuto ad avvicinarsi al padre. In particolare nonostante l’intervento del Servizio Sociale, il rapporto sembrava peggiorare e ciò nonostante il padre manifestasse la propria disponibilità e attenzione nei confronti della figlia. 

Il CTU, il quale riteneva irragionevole l’opposività della minore nei confronti del padre, riconduceva l’atteggiamento alla Sindrome da Alienazione Parentale. Il CTU definiva la PAS “una controversa dinamica psicologica disfunzionale che si attiverebbe sui figli minori coinvolti in contesti di separazione e divorzi.” La sindrome si caratterizza per la compresenza dei seguenti 8 aspetti:

campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante”;

razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali”;

mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo”, mentre l’altro genitore è ” tutto positivo”;

fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore;

appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;

assenza di senso di colpa;

scenari presi a prestito, ossia affermazioni che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente;

estensione delle ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato.

Secondo il CTU  in casi simili “quando un minore rifiuta di frequentare un genitore (…) potrebbe sviluppare un disturbo di identità di genere, o un disturbo di personalità paranoide o antisociale.”

Esiti della CTU

Peraltro, in sede di CTU emergeva che la madre da anni metteva in atto un sistematico atteggiamento di svalutazione del padre. Peraltro, la donna La manifestava di voler esercitare un controllo unilaterale sugli incontri padre-figlia, dichiarando di preferire la figlia in una comunità, piuttosto che con il coniuge. La donna, inoltre, si era dimostrata ostile nei confronti di chiunque si avvicinasse alla figlia solo perché si adoperava nell’avvicinare la minore al padre.  Violava così il diritto della bambina alla bigenitorialità.

Decisione del Tribunale di Brescia

Alla luce di tali gravi atteggiamenti il Tribunale disponeva il collocamento della minore presso il padre che, “si è rivelato un genitore adeguato, dotato di buone competenze e sinceramente interessato a recuperare la relazione con la figlia.” Gli incontri con la madre, invece, dovevano avvenire per tre volte alla settimana alla presenza di un educatore.

Potrebbe anche interessarti “Affido congiunto: è da escludere in caso di alta conflittualità tra i genitori”. Leggi qui.

 
 
 

 

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Maternal preference: è ancora il criterio privilegiato per individuare il genitore collocatario?

24 Aprile 2020 Da Staff Lascia un commento

Maternal preference: ai fini di una di una corretta individuazione del genitore collocatario è necessario tener conto dell’interesse morale e materiale del minore. Nel caso in cui, dalle risultanze della C.T.U., emerga che i genitori siano dotati di pari capacità genitoriale, il minore deve permanere prevalentemente presso il padre se quest’ultimo ha maggiore tempo a disposizione rispetto alla madre (Trib. di Bari).

Il caso

Al termine di un rapporto di convivenza un uomo si rivolgeva al Tribunale di Bari chiedendo il collocamento presso di sé del figlio minore. 

L’uomo, militare in congedo, rappresentava al Tribunale di provvedere in prima persona alle esigenze relative alla cura del figlio. Ciò grazie al tempo libero a propria disposizione. Infatti l’ex compagna, svolgendo la professione di commercialista, dedicava gran parte della giornata al lavoro.

Per tali motivi, il padre chiedeva il collocamento prevalente del minore presso di sé e la calendarizzazione degli incontri madre-figlio.

A questo punto la donna si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto della domanda. La predetta affermava di essere l’unica figura genitoriale in grado di tutelare al meglio gli interessi morali e materiali del piccolo. In più rappresentava come l’ex compagno non avesse mai costruito un rapporto confidenziale con il figlio e che fosse incline ad istinti suicidi.

Il Tribunale di Bari, a fronte della complessità della situazione, disponeva una C.T.U. al fine di valutare le capacità genitoriali di entrambe le figure. 

La decisione dei giudici di merito

La consulenza richiesta in sede di giudizio si concludeva con un giudizio di preferenza della madre quale genitore collocatario.

Il consulente partiva dal presupposto che tanto la figura materna, quanto quella paterna, fossero egualmente capaci nell’esercizio della responsabilità genitoriale.

In più, pur riconoscendo la maggiore disponibilità di tempo libero del padre (in congedo dal lavoro), evidenziava come la madre fosse perfettamente in grado di conciliare ruolo materno con lo svolgimento della sua professione. In conclusione, in merito all’individuazione del genitore collocatario riconosceva in capo alla figura materna una indole empatica tale da meglio comprendere gli stati d’animo del bambino.

Tuttavia e nonostante le superiori risultante, il Tribunale definiva la questione in senso contrario. I giudici ritenevano che la conclusione cui era pervenuta la C.T.U. non era confacente al caso concreto.

Per il tribunale l’unico criterio utilizzabile nella scelta del genitore collocatario prevalente è quello del superiore interesse del minore.

A ragion di ciò, riteneva che la migliore sintonia della madre con il figlio non fosse, nel caso di specie, sufficiente a disporre in favore della donna.

Il tribunale, piuttosto, spostava l’attenzione sulla cospicua disponibilità di tempo goduta dal padre e sulla sua concreta idoneità a soddisfare ogni esigenza di vita del minore.

Tali circostanze erano imprescindibili per la decisione. Pertanto, il tribunale disponeva l’affidamento congiunto del minore ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso il padre.

Osservazioni generali

Quali sono le argomentazioni seguite dal tribunale verso la superiore decisione?

Va preliminarmente osservato che, oggi, la decisione relativa al collocamento dei figli minori non è più scontata (a favore della madre – maternal preferance) come in passato.

Innanzitutto l’art. 337-ter c.c. impone che, nell’adozione di provvedimenti relativi al collocamento prevalente di un minore presso uno dei genitori, il superiore interesse del minore deve fungere da criterio guida.

Fino a poco tempo fa, i giudici di merito e di legittimità hanno ritenuto preferibile far coincidere il superiore interesse del minore con la necessità che la figura genitoriale collocataria prevalente fosse quella materna.

Invero il costante mutamento della società odierna, il quale si riversa inesorabilmente anche sui concetti di famiglia e matrimonio, ha determinato l’affievolimento della c.d. maternal preference.

Pertanto non è più possibile affermare, in via del tutto automatica, che un genitore in virtù del suo genere, sia più idoneo rispetto all’altro ad adempiere funzioni genitoriali.

E’ proprio nella consapevolezza che i méneage familiari sono cambiati rispetto al passato che il criterio della maternal preference può dirsi superato.

Inoltre, la Corte di legittimità, con una pluralità di pronunce ha affermato che l’individuazione del genitore collocatario deve avvenire nel rispetto del principio alla bigenitorialità. Chiaramente ciò deve avvenire al termine di un giudizio prognostico volto a valutare le capacità genitoriali. Valutazione da esplicarsi nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole (Cass. civ., sez I, 16 febbraio 2018 n. 3913; Cass. civ., sez I, 20 novembre 2019, n. 30191).

Potrebbe anche interessarti “Collocamento della prole: a quali condizioni può essere autorizzato il trasferimento di residenza del minore?”. Leggi qui. 

 

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Lasciare le figlie dai nonni: il genitore rischia di perdere il loro affidamento (Cass. Civ. sent. n.1191/2020)

23 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

Il genitore che decide di lasciare le figlie dai nonni, anziché tenerle con sé, rischia di perdere il loro affido. A stabilire tale principio di diritto è la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 1191 del 2020.

Il caso

Una coppia decideva di separarsi ai sensi dell’art. 151 c.c.. Il Tribunale competente, previa pronuncia della separazione, disponeva il collocamento delle figlie minori presso la madre. Obbligava il padre a versare a titolo di mantenimento delle figlie la somma di € 1000,00 mensili, oltre alla compartecipazione alle spese straordinarie. Disponeva, altresì, il diritto di visita per il padre e preso atto della complessa situazione del nucleo, disponeva l’affido delle due figlie minori al Comune. Il Tribunale, pertanto, limitava la responsabilità dei genitori relativamente alle decisioni più importanti da assumere nell’interesse delle figlie che dovevano essere prese dall’Ente affidatario. Quest’ultimo, inoltre, aveva il compito di avviare interventi a supporto delle bambine e della genitorialità. 

La sentenza veniva appellata da entrambi i coniugi

Ebbene, entrambi i coniugi appellavano la sentenza di separazione. Tuttavia, la Corte adita modificava solamente alcuni punti della decisione di primo grado. Nello specifico, accogliendo le doglianze della donna, modificava esclusivamente gli aspetti economici.

Il padre presentava ricorso in Cassazione

L’uomo ricorreva in Cassazione presentando un articolato ricorso fondato su 31 motivi, tutti rigettati. 

Nel dettaglio, per ciò che attiene l’affidamento delle figlie, l’uomo contestava, tanto le relazioni sociali, tanto le modalità del calendario di incontri con le figlie, quanto la limitazione alla propria responsabilità genitoriale.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione

Nella lunga sentenza n. 1191 del 2020 la Corte di Cassazione si soffermava sulla condotta del padre ricorrente. Sebbene questi lamentasse la violazione di legge e in particolare le limitazioni imposte alla propria responsabilità genitoriale, di fatto il predetto non aveva dimostrato di essere un padre presente. Invero la Corte rilevava come il padre avesse l’abitudine di lasciare le figlie dai nonni fino a tarda sera. In particolare i giudici sottolineavano la “scarsa presenza del padre in casa nei periodi in cui avrebbe dovuto tenere con sé le figlie“. Peraltro più volte i servizi sociali avevano relazionato il disagio che ciò causava alle figlie di soli 12 e 4 anni. 

Potrebbe anche interessarti “Collocamento del figlio presso il padre, in quali casi?”, leggi qui. 

 

 

 

 

 

 

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Collocamento del figlio presso il padre, in quali casi?

3 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il collocamento del figlio presso il padre  è preferibile in tutti i casi in cui questi risulti essere in grado di offrire stabilità, sicurezza e continuità al minore (Cass. sez. I civile ordinanza  n. 30191/2019 del 20.11.2019).

Il caso

Una minore viene affidata dal Tribunale dell’Aquila ai servizi sociali del paese di residenza, con collocamento presso il padre in via preferenziale. La madre propone reclamo avverso il suddetto provvedimento, sottolineando  la violazione del principio del collocamento del figlio presso la madre

La Corte di Appello rigetta il reclamo

La Corte di appello adita rigetta il ricorso della donna, ritenendo che, nel caso di specie, la madre è molto permissiva e distante emotivamente dalla minore. Di contro, il padre ha dimostrato  di essere in grado di garantire alla figlia uno stile di vita educativo regolare, stabilità, sicurezza e continuità. Inoltre la minore ha un ottimo rapporto con i familiari paterni. Tutti elementi che, valutati unitamente, depongono  a favore del collocamento in via preferenziale presso il padre, che risponde al superiore interesse della minore stessa.

La donna ricorre in Cassazione

La donna, non condividendo la posizione della Corte di Appello, ricorre in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 337 ter, co. 1 e 2 c.c. In particolare la predetta ritiene che i giudici hanno dato un significato incongruo al concetto di “interesse del minore”. Ma soprattutto lamenta la mancata applicazione dell’orientamento giurisprudenziale che privilegia la collocazione dei minori presso la madre. 

La Cassazione rigetta il ricorso

Anche gli Ermellini non accolgono il ricorso della donna. La Corte di Cassazione spiega che, in tema di affidamento dei figli, il giudice deve necessariamente effettuare un giudizio prognostico. Deve cioè valutare le capacità di ciascun genitore  di crescere ed educare i figli nella nuova situazione. Tale valutazione deve essere fatta sulla base di elementi concreti. Deve essere, inoltre, valutato come i genitori hanno svolto il proprio ruolo nel passato; la capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto. Tenendo conto, infine, della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare in grado di offrire al minore (Cass. Civ. n. 18817/2015).

Ovviamente, quanto sopra, deve avvenire nel pieno rispetto del principio della bigenitorialità. Quest’ultima da intendersi quale” presenza comune dei genitori nella vita del figlio tale da garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive”.

Per le ragioni sopra spiegate, pertanto, la Corte di Cassazione ritiene che la Corte di Appello abbia correttamente applicato i principi giurisprudenziali. Infatti il padre, nel caso di specie, risulta il genitore in grado di garantire alla figlia maggiore stabilità. Pertanto il collocamento presso il predetto risponde all’interesse morale e materiale della minore stessa.

Può anche interessarti “Affidamento figlio: il genitore lo può riottenere se dimostra di avere abbandonato la vita trasgressiva”, leggi qui. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Percorso psicoterapeutico: il Giudice può obbligare un genitore a seguirlo?

29 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Il percorso psicoterapeutico imposto con provvedimento dal Giudice, in caso di controversia tra due genitori in merito all’affidamento dei figli minori, è nullo poiché viola il diritto costituzionale all’autodeterminazione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con una recentissima sentenza (Cass. I civile, ord. n. 18222/2019, dep. il 05.07.2019).

La vicenda  riguarda un procedimento altamente conflittuale di affidamento di una minore.

Il rapporto tra i genitori era tutt’altro che pacifico. Ciò ha indotto il giudice di primo grado a prescrivere alla madre un percorso psicoterapeutico per  superare le difficoltà nel rapporto con la figlia. 

La Corte di Appello ha confermato la decisione del Tribunale. Anche nella parte che prevedeva l’ assistenza domiciliare per la minore e la presa in carico della stessa da parte della Neuro Psichiatria Infantile.

I giudici di secondo grado hanno spiegato che il giudice ha sempre il potere di disporre percorsi di tipo psicologico e terapeutico per il minore quando ritenuti necessari a tutela della sua sana crescita.

La madre, non soddisfatta delle sorti del giudizio, ha fatto ricorso in Cassazione. E ha chiesto che venisse dichiarata la nullità del provvedimento. In particolare la donna sottolineava che nessun giudice può imporre un percorso psicoterapeutico. Ciò infatti condizionerebbe la libertà di autodeterminazione del genitore. Cioè la libertà di decidere autonomamente.

La Suprema Corte ha dato ragione alla donna.

In particolare, gli Ermellini  richiamando precedenti pronunce, hanno riconosciuto che prescrivere ai genitori un percorso psicoterapeutico comporta comunque un condizionamento. E ciò viola gli articoli 13 e 32 comma 2 della Costituzione.

Pertanto la Suprema Corte ha cassato il provvedimento impugnato, e ha rinviato  alla Corte di Appello di Perugia per una nuova disamina dei fatti.

Rinviando, la Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo il quale “la prescrizione è connotata dalla finalità, estranea al giudizio, di realizzare la maturazione personale delle parti, rimessa esclusivamente al loro diritto di autodeterminazione”.

Potrebbe interessarti anche: “Bigenitorialità: principio inattaccabile anche se la mamma soffre di disturbo della personalità”. Leggi qui

 

 

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