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adozione

Sopravvenuta adozione: possibile riduzione del mantenimento dovuto dal padre naturale

17 Aprile 2020 Da Staff Lascia un commento

“La sopravvenuta adozione dei figli da parte del nuovo marito della madre, […], costituisce circostanza fattuale da valutarsi, ai fini della modificazione dell’entità di tale mantenimento, ove risulti che l’adottante, benché privo del corrispondente obbligo giuridico, comunque provveda continuamente, e non occasionalmente, alle esigenze e necessità quotidiane degli adottati” (Cass. civ., sentenza del 27.03.2020, n. 7555).

Il fatto

La travagliata vicenda in esame vede quali protagonisti due ex coniugi.

A seguito di giudizio di divorzio, nel regolamentare la contribuzione del padre in favore delle figlie, il Tribunale di Terni omologava l’accordo raggiunto dalle parti. Questo prevedeva, tra le altre cose, l’obbligo in capo al padre di corrispondere un assegno di mantenimento per le figlie nella misura di € 700,00 per la primogenita e di € 500,00 per la secondogenita.

Successivamente, il padre ricorreva per ottenere la modifica delle precedenti condizioni. In particolare, l’uomo chiedeva la revoca o la diminuzione dell’assegno. Ciò per due ragioni sopravvenute: le nuove nozze della ex moglie e l’adozione delle figlie da parte del nuovo marito della donna.

Il giudice adito accoglieva le richieste dell’uomo. Nello specifico revocava l’assegno in favore della figlia maggiorenne e riduceva quello dell’altra figlia.

Tale decisione, tuttavia, veniva impugnata. La Corte di Appello adita ribaltava la precedente decisione. Quest’ultima, in particolare, obbligava nuovamente l’uomo a corrispondere ad entrambe le figlie un assegno di mantenimento nella misura di € 700,00 ciascuna.

L’uomo ricorreva in Cassazione

L’ex marito ricorreva in Cassazione adducendo i seguenti motivi.

  1. Innanzitutto, lamentava l’inesistenza di un dovere generalizzato di mantenere il figlio maggiorenne. Sottolineava, inoltre, l’inesistenza di rapporto significativi con entrambe le figlie.
  2. Quale secondo motivo di doglianza, l’uomo adduceva la falsa applicazione dell’art. 291 c.c. La CdA, nel fissare entità del mantenimento, non avrebbe tenuto conto di un importante fattore: il nuovo marito della ex moglie, benché non obbligato al mantenimento delle due ragazze maggiorenni adottate, si era sempre mostrato pronto ad occuparsi delle figlie adottive. Pertanto la sopravvenuta adozione era una nuova condizione di cui i Giudici di Appello non avevano tenuto conto.
L’adozione del maggiorenne

Prevista e disciplinata dagli artt. 291 ss del codice civile, l’adozione del maggiorenne si distingue dalla consueta adozione del minore per condizioni e finalità. Il maggiore di età conferisce all’adottato lo status di figlio adottivo. Quest’ultimo va ad aggiungersi, e non a sostituirsi, al suo stato familiare precedente. Oggi, tale forma di adozione ha come finalità, non tanto la nascita di obblighi giuridici tra adottante e adottato, quanto piuttosto quella di supplire ad un’esigenza di solidarietà formalizzando un rapporto stabile di assistenza.

La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione, con sentenza n. 7555 del 2020, da ragione all’uomo. In particolare gli Ermellini stabiliscono che nei procedimenti volti alla revisione del contributo al mantenimento di figli maggiorenni, il giudice deve verificare se e come le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio raggiunto. La Suprema Corte sostiene che la sopravvenuta adozione del figlio maggiorenne da parte del nuovo marito della madre inevitabilmente ha determinato una nuova circostanza. In particolare, nel caso in esame, si è verificato l’inserimento delle figlie in un contesto familiare “nuovo”, frutto del matrimonio tra la madre e l’adottante.

La circostanza che il nuovo marito, benché non obbligato in tal senso dalla legge, provveda continuamente a soddisfare le esigenze quotidiane dell’adottato, certamente è condizione fattuale che deve essere valutata dal giudice in sede di revisione delle condizioni del mantenimento dovuto dal genitore naturale.

In un’ipotesi di questo tipo, l’entità dell’assegno di mantenimento potrebbe variare per effetto del contributo economico fornito anche dall’adottante alle necessità dell’adottato.

Sicché il fine perseguito dalla Cassazione non coincide con l’esigenza di liberare il padre dall’obbligo di mantenimento in  favore delle figlie. Tuttavia, è innegabile che la misura dell’assegno non può non risentire dell’intervenuta adozione da parte del nuovo marito. 

Alla luce di quanto fin qui detto, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito e rinviato la causa alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione per un nuovo esame del caso in questione. 

Potrebbe anche interessarti “Tenore di vita: i figli hanno diritto al tenore di vita goduto prima del divorzio dei genitori”. Leggi qui. 

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Stato di abbandono: il minore può essere dichiarato adottabile

2 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

In caso di stato di abbandono di un minore la Corte di Cassazione ha stabilito che “sussiste lo stato di abbandono non solo nelle ipotesi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma altresì nei casi in cui la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave lo sviluppo psico fisico del bambino, in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età e al suo grado di sviluppo” (Cass. civ. ord. n. 32412/2019).

Il fatto

La Corte di Appello, in conformità con la decisione di primo grado, dichiarava lo stato di adottabilità di un minore. In particolare i giudici aditi sostenevano che il minore non godesse di un’adeguata assistenza morale e materiale da parte della madre. Inoltre era emerso che il minore soffrisse di disturbo del linguaggio e la madre era incapace di affrontare il problema. 

Per tali motivi, il bambino veniva collocato in una casa famiglia. In tale contesto si assisteva ad un repentino miglioramento delle sue condizioni psico fisiche. 

La donna, dunque, proponeva ricorso in Cassazione avverso detta decisione, lamentando la mancata valutazione del preminente diritto del minore di vivere con i genitori.

Cosa si intende per adottabilità?

L’art. 1 della l. 184/1983 sancisce il diritto del minore a crescere nella propria famiglia di origine. Ciò comporta che il giudice di merito deve espletare sempre, in via preventiva,  interventi a  sostegno della genitorialità al fine di rimuovere eventuali situazioni pregiudizievoli.  Solo qualora risulti impossibile il pieno recupero delle capacità genitoriali può considerarsi legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità. 

A tal proposito gli Ermellini chiariscono che si ha stato di abbandono quando vi è rifiuto volontario dell’adempimento dei doveri genitoriali. Ma non solo. Anche nei casi in cui la situazione familiare sia pregiudizievole per lo sviluppo psico fisico del minore. Pertanto in assenza di concreti riscontri a nulla rileva la volontà verbale dei genitori di prendersi cura dei figli.

La decisione 

Tornando al caso di specie, la Corte di Appello aveva sottoposto al vaglio la capacità genitoriale della donna (stante l’assenza del padre che non aveva riconosciuto il figlio). La Corte era pervenuta ad un giudizio negativo circa le capacità della stessa ad accudire il minore, considerate le problematiche circostanze emerse in corso di istruttoria.

Pertanto la Corte di Cassazione riteneva inammissibile il ricorso e confermava lo stato di adottabilità del minore. 

Potrebbe anche interessarti “Famiglia di origine: il minore ha diritto a mantenere con la famiglia di origine rapporti significativi” leggi qui. 

 

 

 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: abbandono minore, adozione, affidamento, famiglia adottiva, famiglia di origine, minore, Stato di adottabilita

Adozione: apertura ai singles, anche di una certa età

10 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’adozione – secondo una recente ordinanza della Cassazione – non è più solo ad appannaggio delle coppie sposate più giovani. Via libera anche ai single e  alle coppie non sposate, anche se non più giovanissimi. (Cass. ord. 17100/2019)

Una coppia ha avuto un bambino affetto da un grave handicap. Purtroppo, a pochi mesi dalla nascita lo hanno allontanato. E comunque si sono dimostrati assolutamente inidonei a ricoprire il ruolo genitoriale. Per questo il Tribunale per i Minorenni li ha dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale. Nel 2010 ha poi affidato il bambino ad una infermiera professionale di 62 anni, che per tutto questo tempo, con l’aiuto della giovane figlia, si è presa cura del piccolo.

Da ultimo, il Tribunale per i Minorenni ha deciso che il bambino, ormai di 8 anni, andasse in adozione alla donna. 

Inspiegabilmente, i genitori si sono opposti a questa decisione. Sostenevano infatti di non avere mai acconsentito all’adozione del figlioletto. Reputandolo una sorta di loro “proprietà”, lo rivolevano indietro. Ed hanno avanzato dubbi sulla legittimità di questa adozione che vedeva coinvolta una donna single e troppo anziana. Infatti, a loro dire, tra l’infermiera e il minore ci sono più di 45 anni di differenza (limite consentito dall’art. 6 L. 184/1983). 

La questione è arrivata fino in Cassazione.

Ma la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della coppia, confermando l’adozione in favore della donna sessantaduenne.

Gli Ermellini hanno fondato la loro decisione, partendo dall’esame dell’art. 44 lettera d) della L. 184/1983. Secondo la Cassazione, questa norma, che regola l’adozione in casi particolari, sarebbe da considerarsi una “clausola di chiusura del sistema” che riguarda le adozioni.

La norma infatti consente questo tipo di adozione tutte le volte in cui si vuole salvaguardare la continuità affettiva ed educativa tra il minore e chi se ne è preso cura. Deve però verificarsi il presupposto dell’impossibilità a ricorrere all’affidamento preadottivo. Ciò vuol dire che non ci devono essere  aspiranti genitori che vogliano adottare il bambino in maniera “piena”.

Quindi non occorre che il minore versi in stato di abbandono. Occorre però verificare che vi sia interesse dell’adottato al riconoscimento di una relazione affettiva già instaurata e consolidata con chi se ne prende cura.

Quanto poi al limite massimo di differenza di età (non rispettato), la Cassazione ha fatto delle precisazioni. L’adozione in casi particolari, in fatti, non lo prevede. Richiede solo che l’adottante sia più grande dell’adottato di almeno 18 anni. Ciò vuol dire che, rispettato detto limite d’età (e le altre condizioni sopra indicate), anche i single e le coppie non sposate possono adottare.

Ovviamente – ribadisce la Suprema Corte – occorre accertare che sia rispettato l’interesse del minore.

 

Potrebbe interessarti anche: “La dichiarazione dello stato di adottabilità come soluzione estrema: lo dice la Cassazione”. Leggi qui

 

 

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: adozione, adozione in casi particolari, affidamento, bambini, continuità dei rapporti affettivi, coppie non sposate, età, handicap, interesse del minore, minori, single

La dichiarazione dello stato di adottabilità come soluzione estrema: lo dice la Cassazione

6 Giugno 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

La dichiarazione dello stato di adottabilità è legittima quando i genitori non sono capaci di riacquistare le capacità genitoriali in tempi compatibili con le esigenze del minore. Esigenza che consiste nel vivere in un contesto familiare stabile, e non in comunità. (Cass. Civ. Sez. I, Ord. n. 652 del 14/01/2019).

Una coppia ha fatto ricorso in Cassazione contro la dichiarazione dello stato di adottabilità dei loro figli pronunciata dal Tribunale per i Minorenni e confermata dalla Corte d’Appello.

Quest’ultima, in particolare, ha riconosciuto l’amore che la coppia prova per i bambini. Ciò nonostante si è espressa negativamente sulla possibilità che i genitori potessero riacquistare le capacità genitoriali.

I minori, infatti, erano in casa famiglia da quasi quattro anni e non potevano più aspettare. Avevano bisogno di figure genitoriali e di una situazione familiare stabile. Secondo la Corte territoriale l’adozione era l’unica soluzione per il bene dei bambini.

Contro questa decisione i genitori hanno però sostenuto che i giudici non avessero adottato tutte le misure adatte per assicurare il rientro a casa dei figli.

La Suprema Corte, dal canto suo, ha ritenuto fondate le motivazioni della coppia genitoriale. E ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione. E ha spiegato questa decisione ribadendo dei principi importanti.

In primo luogo ha ricordato che il minore ha il diritto di vivere nella famiglia d’origine (L. 184 del 1983 art. 1). Questa infatti è l’ambiente più idoneo per il suo sviluppo psico-fisico.

Quindi, prima di decidere sullo stato di adottabilità i giudici devono tentare un intervento di sostegno per rimuovere le situazioni di difficoltà o di disagio familiare.

E se questo tentativo dovesse fallire? Non è ancora detta l’ultima parola!

Infatti se ci sono possibilità di recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con le esigenze del minore, l’eventuale dichiarazione dello stato di adottabilità è illegittima.

La situazione di abbandono – che è presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità –non deve riferirsi a circostanze pregresse, ma a quelle attuali. Ma vi è di più. Lo stato di abbandono è scongiurabile in caso positiva possibilità di recupero del rapporto genitoriale nell’immediato futuro.

Quindi la dichiarazione dello stato di adottabilità dovrebbe essere valutata come soluzione estrema. A questa soluzione bisognerebbe ricorrere solo se nessun rimedio appaia adeguato ad assicurare il rientro del minore nella sua famiglia in tempi ragionevoli.

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Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: adozione, Casa famiglia, Comunità, Interventi di recupero, Rientro a casa dei figli, situazione di abbandono, Soluzione estrema, Stato di abbandono, Stato di adottabilita

Sì al diritto di visita dei nonni, anche dopo l’adozione del nipote.

18 Aprile 2019 Da Studio Legale Arcoleo 1 commento

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che i nonni hanno diritto a mantenere relazioni significative con il nipote, anche se questo è stato adottato da un’altra famiglia. (CEDU, sez. III, caso Bogonosovy c. Russia, 5 marzo 2019)

L’adozione del minore da parte di terzi, di regola, comporta la cessazione dei legami con la famiglia d’origine. Tuttavia, nel caso in cui i nonni facciano espressa richiesta di mantenere il vincolo affettivo con il nipote, lo Stato deve adottare adeguate misure in tal senso e garantire loro il diritto di visita. E’ quanto stabilito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

La vicenda riguarda una bambina russa che, a seguito della morte della madre, era stata adottata. La coppia adottiva aveva tempestivamente interrotto i legami con i nonni della piccola, generando in essi un non indifferente stato di preoccupazione.

A nulla portarono le richieste di rimozione degli ostacoli al diritto di visita o, addirittura, di annullamento della sentenza di adozione. Questo ha spinto il nonno -nel frattempo rimasto vedovo- desideroso di mantenere un rapporto con la nipotina, a rivolgersi alla Corte di Strasburgo.

Una precisazione è, pur tuttavia, doverosa.

La legge russa, di base, prevede e riconosce ai nonni il diritto di visita (seppur precluda a questi ultimi l’adozione dei nipoti). Invero, nel caso di specie, lo Stato negò alla coppia di anziani la possibilità di mantenere un legame affettivo con la piccola perché la sentenza di adozione definitiva non disciplinava tale profilo.

In buona sostanza, la legge russa, pur riconoscendo il diritto di visita dei nonni, non dice nulla circa l’iter da seguire per garantire la relazione “nonno-nipote”, nel caso in cui la sentenza di adozione ometta di regolamentare questo aspetto.

Il caso venne, quindi, portato all’attenzione della CEDU. Questa riscontrava, nell’operato dei giudici nazionali, una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Ad avviso dei giudici della Corte, le Corti interne, avrebbero dovuto valutare la richiesta della coppia di mantenere una relazione “post-adozione” e regolare adeguatamente il diritto di visita.

Infatti, il rapporto “nonno-nipote” rientra nel concetto di vita familiare, di cui all’art. 8 CEDU, qualora vi siano legami familiari sufficientemente stretti tra loro. Queste figure contribuiscono indiscutibilmente allo sviluppo psico-fisico del minore, tanto da dare vita ad un legame forte ed indissolubile.

Non è necessaria la sussistenza di una convivenza. Anche i contatti frequenti sono sufficienti a creare relazioni significative tanto da far rientrare questo tipo di rapporti nella predetta categoria (“vita familiare”).

Nel caso in esame, il nonno si era preso cura della bambina per cinque anni, durante l’intera malattia della madre fino al trasferimento presso i genitori adottivi.

In conclusione, questa arbitraria applicazione della legge, secondo la Corte, configura una lesione alla serenità familiare della piccola.

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: adozione, CEDU, diritto di visita, genitori, legami, nipoti, nonni, pronuncia, Russia, vincoli affettivi

L’ adottato ha diritto di conoscere le sorelle biologiche?

15 Marzo 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’ adottato ultra venticinquenne può chiedere al Tribunale per i Minorenni di conoscere l’identità dei fratelli biologici. Questi però dovranno, preventivamente, esprimere la loro volontà al riguardo. Infatti occorre bilanciare l’interesse di chi vuole conoscere l’identità dei familiari biologici e quello di chi, questo interesse, può soddisfarlo. (Cass. sent. n. 6963 del 20 marzo 2018)

Un bambino ha trovato, in tenera età, una famiglia adottiva. Nel tempo ha maturato il desiderio di conoscere le sorelle biologiche, a loro volta andate in adozione in famiglie diverse. Divenuto adulto, dunque, si è rivolto al Tribunale per i Minorenni, per conoscere le generalità delle proprie sorelle, proponendo istanza, in forza dell’art. 28 c. 5 della L. 183/1984. La norma prevede che l’ adottato possa accedere ad “informazioni che riguardano le sue origini e l’identità dei propri genitori biologici”  al raggiungimento dei 25 anni.

Il Tribunale per i Minorenni prima e la Corte d’Appello territoriale poi, hanno rigettato la domanda del giovane. I Giudici hanno sostenuto che, secondo la legge citata, l’ adottato avrebbe potuto accedere unicamente alle informazioni relative ai genitori biologici e non anche a quelle sulle sorelle biologiche, intendendo così tutelare il loro diritto alla riservatezza.

Il ragazzo ha proposto ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione che, accogliendo la richiesta del giovane, ha sancito dei principi importanti di bilanciamento tra i vari interessi.

Sulla scorta di precedenti e autorevoli orientamenti , che sconfessavano una volta per tutte l’intangibilità tout court del diritto all’anonimato, la Cassazione, nella pronuncia in commento ha adattato al caso specifico un metodo elaborato nel 2013 dalla Corte Costituzionale e successivamente condiviso anche dalle Sezioni Unite.

A tal fine la Suprema Corte ha precisato che l’inciso “informazioni che riguardano le proprie origini” dell’art. 28 c. 5 L. 183/1984 ha un significato ampio. L’espressione deve dunque ricomprendere non solo le informazioni riguardanti i genitori biologici, ma anche quelle dei congiunti più stretti come i fratelli.

Tuttavia, immediatamente dopo, ha proceduto ad una distinzione netta tra la posizione dei genitori biologici e quella dei fratelli biologici.

E difatti, nei confronti dei genitori, vi sarebbe un vero e proprio diritto dell’ adottato ad accedere alle informazioni sulle proprie origini. Invece, nei confronti dei fratelli, occorre fare un bilanciamento degli interessi tra chi desidera conoscere le proprie origini e chi può soddisfare questo desiderio.  Bilanciamento che viene assicurato facendo ricorso al metodo cui si accennava sopra. Ovvero chiedendo preventivamente ai fratelli la loro eventuale disponibilità a rendere note le informazioni sulla propria identità. In caso di mancanza di disponibilità in tal senso, si dovrà rinunciare al desiderio di conoscere i propri congiunti.

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Indennità di maternità anche ai papà

25 Settembre 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

La Corte di Cassazione rassicura i papà: l’indennità di maternità è un loro diritto.  Se scelgono di rimanere a casa con il figlio adottivo la percepiranno, siano questi lavoratori dipendenti o liberi professionisti (Cass. Civ., sez. lav., 27/04/18, n. 10282)

Si chiama “indennità di maternità” e si legge “diritto del genitore” e della famiglia a scegliere per il meglio dei piccoli. 

A reclamare a gran voce il proprio diritto di papà è un avvocato di Bari, padre adottivo di un bimbo brasiliano. Grazie alla sua determinazione, la Cassazione ha riconosciuto il diritto del padre, in alternativa alla madre, di percepire l’indennità di maternità.

Ogni coppia di genitori che sceglie di adottare un bambino potrà ora decidere se a stare a casa con il figlio sarà la mamma o il papà. E in ognuno dei casi è prevista un’indennità di maternità. La Suprema Corte, infatti ribadisce proprio quest’anno che non c’è discriminazione: entrambi i genitori devono poter curare il figlio adottivo.

Inoltre, ricorda il giudice, non importa che il genitore sia lavoratore dipendente o autonomo: l’indennità di maternità è un diritto. Come sempre, la cosa più importante e preziosa è il benessere del bambino o della bambina, il loro supremo interesse.

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