Il diritto alla bigenitorialità non può spingersi oltre il rifiuto del minore alla frequentazione del genitore non collocatario, a stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza del 23 aprile scorso n. 11170
Non di rado uno dei genitori si trova avanti il netto rifiuto di un figlio ad incontrarlo. Pertanto capita spesso che i Giudici si trovino ad decidere su richieste di tutela al diritto di frequentazione con il figlio.
Ma fino a che punto può spingersi il potere del Giudice? Si può davvero imporre ad un minore di incontrare il genitore con il quale non convive stabilmente? A dare la soluzione a tale pungente quesito è l’Ecc.ma Corte di Cassazione, Sez. 1, con l’ordinanza del 23.04.2019 n.1170.
Il caso attenzionato dalla Suprema Corte riguardava un padre il quale chiedeva al Tribunale di ottenere, oltre alla modifica delle condizioni economiche e di mantenimento, l’affidamento congiunto della figlia sedicenne.
Il Tribunale, preso atto del rifiuto della figlia di volere intrattenere rapporti con il padre nonché dell’esito della CTU rigettava la domanda. Anche la Corte di Appello adita, confermava quando statuito dal giudice di prima istanza pertanto il padre, per vedere tutelato il proprio diritto alla bigenitorialità ricorreva in Cassazione.
La Corte di Cassazione respingeva definitivamente il ricorso del padre
Gli Ermellini investiti della questione rigettavano il ricorso del padre, allineandosi di fatto con l’orientamento assunto dai giudici di merito. In particolare la Corte di Cassazione sottolineava che il rapporto affettivo, per natura incoercibile, non può essere imposto. Pertanto, conclusivamente, se un figlio non intente intrattenere un rapporto stabile con il genitore non collocatario, questo non può essere obbligato.
La questione
la domanda sorge spontanea: alla luce della superiore soluzione a favore di chi è stato previsto il diritto alla bigenitorialità? E’ il diritto di ciascun genitore di essere presente in maniera significativa nella vita del figlio? Ovvero il diritto del figlio a mantenere (o non mantenere) un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori?
Nell’ordinamento giuridico italiano il diritto alla bigenitorialità è garantito e tutelato dalla legge 54/2006 sull’affido condiviso, nonché dal d.lgs. 154/2013. La superiore normativa si caratterizza per il ruolo centrale riconosciuto al minore e pertanto il bene tutelato è, in primis, il diritto del minore. In particolare il minore ha diritto a mantenere rapporti equilibrati e significativi con entrambi i genitori, nonché di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale e materiale da entrambi.
Da tale assioma deriva la logica conseguenza che, salvo le ipotesi in cui ad ostacolare gli incontri tra genitore e figlio sia il coniuge, il figlio può rifiutarsi di frequentare l’altro genitore. La Suprema Corte stabilisce che la bigenitorialità può essere esercitata anche in accezione negativa. Ciò significa che il minore, con capacita di discernimento, ha diritto a “non mantenere” con un genitore un rapporto continuativo. Con la pronuncia in oggetto, quindi, gli Ermellini hanno messo in luce come il principio alla bigenitorialità sia posto a tutela, innanzitutto, del figlio e non solo dei genitori.
Osservazioni
Il diritto di famiglia, in continua evoluzione, spesso dai confini poco chiari e marcati rende il compito dei giudici ancora più difficile. Tale ruolo diviene particolarmente arduo quando nel caso concreto emerge l’esistenza di una grave conflittualità tra i genitori. Infatti spesso i genitori tendono a far prevalere i propri interessi a discapito di quelli dei figli. Pertanto il giudicante dovrà orientare la propria decisione tenendo in alta considerazione l’interesse morale del minore. Dovrà, altresì, valutare la capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di fatto causata dalla disgregazione del nucleo. Per fare ciò il giudicante, terrà conto del modo in cui i genitori hanno in passato svolto i propri compiti verso i figli.
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