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assegno divorzile

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. art. 5 della legge 898/1970?

13 Dicembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. 5 della l. n. 898/1970?

Ad affrontare tale questione è la Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 26672 del 2022, ricorda che ogni assegno divorzile ha una propria natura e torna a ribadire che il giudice può decidere di valorizzare in misura preponderante, tra i vari criteri legali utilizzabili ai fini della quantificazione dello stesso, quello ritenuto più confacente al caso concreto.

Il caso

A seguito della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale poneva a carico dell’ex marito il pagamento di un assegno divorzile in favore della ex moglie pari ad € 1.300,00 mensili. Tale decisione veniva confermata anche in sede di appello in quanto la Corte di merito, pur riconoscendo che la quantificazione dell’assegno divorzile debba tenere conto dei parametri indicati dall’art. 5 della l. n.
898/1970, riteneva di dover dare rilievo al consistente divario reddituale esistente tra le parti, specie in considerazione della malattia da cui era affetta la donna.

Avverso tale statuizione, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione lamentando che la Corte d’Appello non avrebbe effettuato un adeguato bilanciamento di tutti i parametri indicati dalla suddetta norma giuridica soffermandosi unicamente sulla malattia di cui era affetta la ex moglie e sulla disparità reddituale esistente tra gli ex coniugi.
In particolare, secondo il ricorrente, il tetto massimo della misura dell’assegno divorzile era stato sicuramente superato, in quanto l’importo attribuito a titolo dello stesso andava ad aggiungersi alla pensione percepita dalla ex moglie, nonché al godimento integrale, da parte di quest’ultima, della proprietà della casa familiare, di cui era divenuta titolare esclusiva, a seguito della cessione da parte dell’uomo della quota di sua spettanza in adempimento degli accordi di separazione.

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini si soffermano, quindi, sul seguente quesito giuridico: ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile il giudice deve tenere conto di tutti i parametri di cui alla l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, oppure può attribuire valore solo ad alcuni di essi escludendo, quindi, gli altri?

La Suprema Corte, fin da epoca risalente, ha avuto più volte modo di chiarire che i giudici di merito, nel quantificare l’importo dell’assegno divorzile, non è tenuto a prendere in considerazione tutti i criteri indicati dall’art. 5, l. n. 898/1970, essendo, piuttosto, necessario che lo stesso giustifichi in modo adeguato le sue valutazioni.

Pertanto, deve escludersi la necessità di una puntuale e contemporanea considerazione da parte del giudice di tutti i parametri di riferimento indicati nella legge divorzile.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, il giudice di merito può anche prescindere dal
prendere in considerazione taluni parametri e tale scelta discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità.
Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di appello ha deciso, da un lato, di porre al centro il consistente divario reddituale esistente tra le parti e, dall’altro lato, la particolare situazione di salute in cui versava la ex moglie.
Quest’ultima, infatti, poteva contare come introito sull’esclusivo assegno pensionistico e, data la sua grave invalidità, si trovava, in ogni caso, nella condizione di non avere risorse sufficienti per far fronte alle sue necessità di vita condizionate dalla malattia,

In conclusione, secondo la Cassazione, la Corte di merito ha espresso un giudizio consentito e, poiché adeguatamente motivato, neppure sindacabile in sede di legittimità.

Potrebbe anche interessarti “Assegno divorzile diminuito se la ex moglie sceglie il part-time”. Leggi qui. 

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Assegno divorzile diminuito se la ex moglie sceglie il part-time

14 Aprile 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno divorzile diminuito se la ex moglie sceglie il part-time. 

Nella quantificazione dell’assegno divorzile occorre fare riferimento ai parametri dettati dall’art. 5 comma 6 L. 898/1970. Ed in particolare, nella valutazione della disparità reddituale tra le parti, assume rilievo la scelta della ex moglie di optare per il part-time pur essendo titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. A stabilire il superiore principio di diritto è la Corte di Cassazione con ordinanza del 23 agosto 2021 n. 23381.

Il caso

In base alla sentenza di divorzio, l’ex marito deve corrispondere in favore della moglie un assegno divorzile pari a € 900,00 mensili. L’uomo impugna la decisione e, in sede di gravame, la misura dell’assegno divorzile viene ridotta a € 600,00 mensili.

L’ex marito ritiene, tuttavia, che la disparità economica sussistente tra le parti sia ascrivibile unicamente alla scelta della ex moglie di lavorare a tempo parziale pur essendo titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Decide così di ricorrere in Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

La Suprema Corte ritiene che la sentenza impugnata non abbia correttamente applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. In relazione alla determinazione dell’assegno divorzile, non è sufficiente considerare la mera disparità economica tra le parti. 

La scelta del lavoro part-time incide, infatti, in maniera significativa sul reddito dell’ex coniuge. Ma, nel caso di specie,  la Corte di merito non ha indagato sulle ragioni di tale scelta. Ed in particolare ad avviso degli Ermellini, il giudice di merito avrebbe dovuto accertare il momento in cui la donna ha scelto di svolgere un’attività lavorativa. Lo stesso, cioè, avrebbe dovuto indagare se la decisione a favore del tempo parziale sia avvenuta in autonomia o sia invece dipesa dalla necessità di far fronte ei bisogni della famiglia. 

La Suprema Corte, pertanto, rinviava a una diversa composizione della Corte di Appello perché provveda alla determinazione dell’assegno divorzile dopo avere adeguatamente considerato gli aspetti sopra citati. 

Accertare se il part-time sia una scelta autonoma o concordata

Il giudice, quindi, deve accertare il momento in cui tale scelta lavorativa è stata effettuata; deve decidere  se sia il frutto di una decisione autonoma o se dipenda da un accordo tra i coniugi nell’ambito della gestione della famiglia. In tale ultima ipotesi, infatti, la scelta dell’ex moglie rileva sia sotto il profilo del sacrificio reddituale da ella patito, sia sotto il profilo del contributo dato alla famiglia.

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Assegno di divorzio: spetta anche in caso di matrimonio non consumato?

18 Febbraio 2022 Da Staff Lascia un commento

Ad avviso della Corte di Cassazione, anche in caso di matrimonio “bianco” è ammissibile il riconoscimento dell’assegno di divorzio. Ciò qualora tra i due ex coniugi sussista un rilevante divario economico. Facendo leva sulla finalità assistenziale che caratterizza tale contributo, la Suprema Corte, con ordinanza n. 21818 del 2021, ha affermato che non rilevano, ai fini della concessione dell’assegno, né la durata né la mancata consumazione del matrimonio. 

Il caso

Un uomo adiva il Tribunale territorialmente competente al fine di chiedere la separazione dalla moglie. Ciò dopo 12 anni di vita insieme a causa del venir meno della comunione spirituale ed attesa l’intollerabilità della convivenza.

La moglie, dal canto suo, si costituiva in giudizio proponendo domanda riconvenzionale volta ad ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio a causa della mancata consumazione dello stesso ai sensi della L. n. 8989 del 1970, art. 3, n. 2, lett. f). 

La moglie chiedeva, inoltre, la corresponsione di un assegno divorzile pari ad € 2500,00 mensili. 

Il Tribunale, preliminarmente, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo poi, pur accogliendole, riduceva le pretese economiche della moglie fissando l’assegno divorzile in € 1250,00 mensili.

L’uomo impugnava la sentenza innanzi alla Corte di Appello la quale rigettava il gravame confermando la sentenza di primo grado.

Avverso tale pronuncia, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione adducendo che la mancata consumazione del matrimonio rappresentasse una condizione tale da non giustificare la corresponsione dell’assegno divorzile. 

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso presentato dall’uomo. Ed in particolare gli ermellini ritenevano che la mancata consumazione del matrimonio non influisca in alcun modo sul riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge. La decisione si fonda sulla natura assistenziale, nonché perequativa- compensativa dell’assegno, in ossequio al rispetto del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost.

Secondo gli Ermellini, infatti, qualora uno dei due coniugi sia economicamente più debole, a quest’ultimo va riconosciuto un assegno. Tale assegno deve far conseguire un livello reddituale che tenga conto del contributo dallo stesso fornito nel corso della vita familiare e delle aspettative professionali che ha sacrificato durante gli anni di matrimonio. 

Funzione dell’assegno di divorzio

Tale sostegno economico non è volto a ricostruire il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio: bensì al riconoscimento del ruolo di coniuge, oltre che del contributo da questo fornito nella formazione del patrimonio familiare e di quello personale dell’ex coniuge.

La Suprema Corte ha, pertanto, precisato come sia necessario tenere conto dell’apporto economico che il coniuge economicamente più debole ha apportato nella crescita familiare, anche economica. Ed in particolare, nel caso concreto si è tenuto conto del contributo dato dalla moglie all’andamento della famiglia mediante lo svolgimento del lavoro di insegnante.

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Convivenza more uxorio: permane il diritto all’assegno divorzile?

2 Dicembre 2021 Da Staff Lascia un commento

Sulla questione se in caso di convivenza con un nuovo compagno, in epoca successiva alla separazione, permanga o meno il diritto di mantenere l’assegno divorzile, si sono susseguiti diversi orientamenti giurisprudenziali.

La questione, rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stata risolta con con la sentenza del 5 novembre 2021 n. 32198.

Decisione delle Sezioni Unite

Secondo i giudici di legittimità, l’instaurazione della convivenza non comporta l’automatica perdita del diritto all’assegno ex art. 5 l.898/1970. Bisogna ricordare che l’assegno ha una funzione composita: assistenziale e compensativa. Nel caso in esame, viene meno la prima ma non la seconda. Infatti, la funzione compensativa è volta al riconoscimento del contributo fornito dal coniuge più debole alla formazione del patrimonio della famiglia. Mentre il nuovo legame, sotto il profilo assistenziale, si sostituisce al precedente.

Pertanto, se il coniuge economicamente più debole ha sacrificato la propria vita lavorativa a favore della famiglia, è ingiusto che perda qualsiasi diritto alla compensazione per i sacrifici fatti solo perché si è ricostruito una vita affettiva.

Quanto sopra non significa però che l’instaurazione di una stabile convivenza non influisca in alcun modo sulla corresponsione dell’assegno. Infatti, la creazione di una nuova famiglia può incidere sul riconoscimento del diritto all’assegno, sulla sua revisione e quantificazione.

Afferma la Suprema Corte che la stabile convivenza di fatto non fa venire meno il diritto alla componente compensativa. Ciò purché il beneficiario fornisca la prova del contributo offerto alla comunione familiare; ossia  della rinuncia alle occasioni lavorative e dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

In breve i principi stabiliti dalla sentenza in esame:

1)L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.

2)Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

3)A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescite professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

4)Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì, della durata del matrimonio.

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Nulli gli accordi economici pattuiti in sede di separazione ai fini del divorzio (Cass., ord. n. 11012/2021)

29 Aprile 2021 Da Staff Lascia un commento

La Cassazione ritiene nulli gli accordi pattuiti dai coniugi in sede di separazione anche ai fini della disciplina dei rapporti economici nel divorzio (Cass., ord. n. 11012/2021)

Il caso

Un uomo impugnava la pronuncia emessa dalla Corte di Appello avanti la Corte di Cassazione per violazione degli artt. 5, l. n. 898/1970 e 10, l. n. 74/1987.  In particolare la Corte di Appello, accogliendo le richieste di un ex marito, revocava l’obbligo a carico dell’uomo di corrispondere il contributo al mantenimento per il figlio, ma confermava l’assegno divorzile disposto in favore della donna. Secondo il ricorrente, l’accordo concluso in sede di separazione consensuale
e volto a disciplinare gli accordi economici del divorzio era da intendersi nullo per illiceità della causa. Ciò in quanto il diritto all’assegno divorzile, avendo natura assistenziale, è una posizione soggettiva non disponibile. Peraltro, la Corte di Appello non aveva considerato che per effetto degli accordi della separazione consensuale, la moglie aveva percepito una consistente parte del patrimonio immobiliare in comunione. Sicché il marito aveva così subito un importante e consistente decremento reddituale. 

Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione accoglie ricorso dell’uomo richiamando l’orientamento giurisprudenziale che ritiene nulli gli accordi conclusi in sede di separazione in vista del futuro divorzio.
Gli ermellini sottolineano che nel caso di specie la pronuncia impugnata non ha tenuto separati il profilo dei rapporti patrimoniali già pendenti tra le parti e l’eventuale regolamentazione delle ragioni di debito-credito da quello della
spettanza dell’assegno divorzile. Conseguentemente la Corte sarda ha dunque, errando, ritenuto leciti i patti tra i coniugi volti alla disciplina dei rapporti economici del divorzio. Alla luce di quanto sopra gli ermellini accolgono  il ricorso e annullano la pronuncia impugnata con rinvio alla Corte di Appello per una nuova valutazione.

Principio di diritto 

«In tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di separazione, i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti eventuali ragioni di debito-crediti portate da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di un assegno dell’uno a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante”, il giudice del divorzio, chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile dovrà preliminarmente provvedere alla qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea  alla disciplina inderogabile dei rapporti tra coniugi in materia familiare, perché giustificata per altra causa e se abbia fondamento il diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in ragione della crisi familiare)» (Cass., ord. n. 11012/2021).

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Tenore di vita addio

11 Dicembre 2020 Da Staff Lascia un commento

 

La Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema del tenore di vita in materia di assegno di divorzio con l’ordinanza n. 28104 del 9 dicembre 2020.

Gli Ermellini, accogliendo uno dei motivi del ricorso, hanno affermato che i giudici di merito devono attenersi ai principi dettati dalla sentenza n. 18287/2020 che afferma il superamento del tenore di vita come parametro da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.

Il caso

Il Tribunale di Treviso prima e la Corte di Appello poi hanno riconosciuto a favore di una moglie, in sede di divorzio, un assegno di divorzio a carico del marito pari ad € 300,00 mensili.

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo ricorre in Cassazione presentando 4 motivi di doglianza:

  • con il primo contesta l’omessa comparazione dei redditi di entrambi i coniugi;
  • con il secondo lamenta la mancata considerazione da parte del giudice di quanto affermato dalla sent. n. 11504/2020, parametrando l’assegno divorzile dovuto alla moglie al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio durato 28 anni e alla disparità economica esistente tra le parti.
  • Con il terzo lamenta come il giudice non abbia preso in considerazione il fatto che il proprio reddito mensile ammonti a € 1430 e che lo stesso è gravato da diverse spese che deve sostenere per motivi di salute;
  • con il quarto infine fa presente che la mancata applicazione da parte del giudice dei principi sanciti dalla Cassazione n. 11504/2020 si fonda su presunzione prive di fondamento logico.
La Corte di Cassazione ritiene fondato il ricorso

La Corte di Cassazione accoglie il terzo motivo del ricorso presentato dall’uomo. Cassa la sentenza di merito e rinvia per un nuovo esame della causa rassegnando i principi da seguire.

Ebbene, gli Ermellini sottolineano che le Sezioni Unite, con sentenza nr. 18287 del 11.07.2018, hanno attribuito una funzione assistenziale, compensativa e perequativa ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno di divorzio. Pertanto,  Il riconoscimento di tale assegno. richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.  Il giudizio, quindi, dovrà avvenire valutando comparativamente le condizioni economico-patrimoniali delle parti. Dovrà, altresì, tenersi in considerazione il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune. Ma non solo. Dovrà, inoltre, tenersi in considerazione il contributo personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del coniugio ed all’età dell’avente diritto.

Erroneo considerare ancora il tenore di vita

Gli Ermellini sottolineano inoltre che l’assegno divorzile, non è finalizzato alla ricostituzione del tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio ma è volto all’individuazione e al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Di conseguenza, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno divorzile, deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l’ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare una esistenza libera e dignitosa ed un’adeguata autosufficienza economica, nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti.

Per cui, conferma la Cassazione, che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non può più essere preso come riferimento per determinare l’assegno di divorzio.

Peraltro i giudici di legittimità rilevano poi come nel caso di specie la sentenza impugnata non ha indicato neppure la misura del reddito del marito. Ciò dimostra che la situazione economica delle parti non è stata affatto valutata.

Alla luce di quanto sopra gli Ermellini accolgono il ricorso dell’uomo, invitando il giudice del rinvio a tenere conto dei principi enunciati e  dell’importo assai modesto del marito, trascurato dai precedenti giudici di merito.

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Niente trattamento di fine rapporto per l’ex non titolare dell’assegno divorzile

6 Luglio 2020 Da Staff Lascia un commento

Una quota del trattamento di fine rapporto non può essere riconosciuta all’ex che non ha diritto a percepire l’assegno divorzile.

A stabilire il superiore principio di diritto la Suprema Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 12056/2020.

Con tale pronuncia la Corte di Cassazione ha confermato il proprio precedente orientamento.

Il caso

La vicenda in esame trae la sua origine dalla richiesta avanzata da un’ex moglie volta ad ottenere una quota del trattamento di fine rapporto (TFR) spettante all’ex coniuge. 

Nel corso del giudizio di primo grado, in sede di dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i giudici respingevano tanto la domanda volta ad ottenere l’assegno divorzile, quanto quella volta ad ottenere una quota del trattamento di fine rapporto spettante all’uomo. 

Parimenti, la Corte di Appello si uniformava alla decisione di primo grado. La predetta Autorità rigettava la domanda della donna volta ad ottenere l’assegno divorzile e nulla diceva, invece circa la richiesta della quota di trattamento di fine rapporto. 

La donna, soccombente in entrambe le sedi di merito, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione proponendo un solo motivo di doglianza.

la ricorrente lamentava l’omessa pronuncia, da parte della CDA, circa la domanda finalizzata ad ottenere una quota del trattamento di fine rapporto. In particolare, il giudice adito aveva ritenuto che mancasse il relativo e specifico motivo di appello. A parere della ricorrente, purtuttavia, quest’ultimo era stato proposto implicitamente. 

La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione, in linea con la giurisprudenza in materia, respingeva il ricorso. L’Ecc.ma Corte sottolineava che non essendo la donna titolare dell’assegno di divorzio, non avrebbe potuto avanzare domanda per ottenere una quota del TFR dell’ex coniuge.

Dunque, l’omessa pronuncia della Corte d’Appello sul motivo riferibile alla richiesta del TFR non aveva nessuna rilevanza. 

Per tale ragione, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso. 

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Pensione di reversibilità: come avviene la ripartizione tra ex coniuge e coniuge convivente?

30 Giugno 2020 Da Staff Lascia un commento

In tema di pensione di reversibilità, la Suprema Corte di Cassazione fa il punto circa i criteri da utilizzare per procedere alla ripartizione della stessa tra coniuge divorziato e il coniuge superstite.

In particolare, l’attribuzione delle quote della pensione di reversibilità (art. 9 l. 898/1970), a favore dell’ex coniuge divorziato e del coniuge convivente, va effettuata sulla base del criterio legale della durata dei rispettivi rapporti. A quest’ultimo criterio si aggiungono ulteriori correttivi (Cass. civ., ord. n. 11520/2020).

Il fatto

A seguito del decesso del marito, la seconda moglie conveniva in giudizio l’INPS per ripartire le quote della pensione di reversibilità tra sé e la ex coniuge.

Sia in primo grado che in appello, i giudici assegnavano al coniuge divorziato una quota pari all’ 80% della pensione di reversibilità erogata dall’INPS. Al coniuge superstite assegnavano il restante 20% del trattamento.

Per i giudici di merito, una ripartizione di questo tipo era giustificata dal raffronto tra la durata dei rapporti matrimoniali. Invero, con la prima moglie 36 anni nel corso del quale erano nati 4 figli. Con la seconda moglie 16 anni e senza prole. 

Dunque, è chiaro che nella decisione i giudici di merito avevano adottato il criterio legale della durata dei rispettivi rapporti di coniugio. Tale ultimo criterio, tuttavia, temperato da correttivi di carattere equitativo. 

La seconda moglie ricorreva in Cassazione

Quest’ultima presentava ricorso in Cassazione per i seguenti motivi:

  • Innanzitutto la donna lamentava la diversità di trattamento, nella materia in esame, riservata alle coppie sposate e alle coppie di fatto. Dunque, denunciava l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 della L. 898/1970. 
  • Con il secondo motivo lamentava la mancata adozione, da parte dei giudici di merito, di un criterio sostanziale nell’attribuzione delle quote spettanti. Infatti, la donna sottolineava come non fosse stato dato alcun valore al fatto che essa si fosse presa cura del marito fino alla morte.
La decisione della Corte di Cassazione 

Con riguardo al primo motivo la giurisprudenza di legittimità è chiara. 

Infatti, in tema di attribuzione delle quote della pensione di reversibilità (ex art. 9 della l. 898/1970) in favore dell’ex coniuge divorziato e del coniuge già convivente e superstite, la ripartizione del trattamento economico va effettuata sulla base di più criteri. Innanzitutto, sulla base del criterio legale della durata dei rispettivi matrimoni. In più occorre ponderare ulteriori elementi quali: l’entità dell’assegno; le condizioni economiche dei coniugi; la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. 

Con riguardo a questo ultimo aspetto, occorre ricordare la sentenza n. 491/2000 della Corte Costituzionale. Invero, “la diversità tra famiglia di fatto e  famiglia fondata sul matrimonio è basata sulla constatazione che la prima è un rapporto di fatto, privo dei caratteri di stabilità e certezza e della corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono soltanto dal matrimonio e sono propri della seconda”.

Una ricostruzione che la Cassazione decideva di abbracciare in toto, anche sulla base delle previsioni della Legge Cirinnà (l. 76/2016). Il legislatore, infatti, ha previsto l’applicabilità, per le unioni civili, di tutta una serie di norme di cui alla legge 898/1970 (compreso l’art. 9) nei limiti della compatibilità. 

Invece, per le convivenze di fatto rileverebbe esclusivamente lo stato di bisogno.

Quindi per la Cassazione, dal punto di vista delle conseguenze patrimoniali (e della correlazione con il diritto previdenziale), le situazioni restano distinte.

Alla luce della ricostruzione riportata, la Suprema Corte valutava come del tutto infondato il primo motivo. 

Anche il secondo motivo di ricorso risultava essere infondato: in sede di giudizio in Cassazione è preclusa qualsivoglia rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito.

Per i superiori motivi la Suprema Corte rigettava il ricorso. 

Potrebbe anche interessarti “Pensione di reversibilità: spetta anche all’ex coniuge passato a nuove nozze?”. Leggi qui.

 

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ACCETTA E SALVA
Diritto del lavoro

Lo Studio Legale Arcoleo assiste i propri clienti nei vari ambiti del diritto del lavoro, del diritto sindacale e della previdenza sociale, fornendo consulenza sia in ambito stragiudiziale che giudiziale e con riferimento all’istaurazione, allo svolgimento ed alla cessazione del rapporto di lavoro.

A tal fine, lo Studio si avvale di molteplici apporti specialistici (consulenti del lavoro, commercialisti) anche nelle questioni che investono discipline complementari, per garantire alla clientela un’assistenza ancora più completa grazie ad un miglior coordinamento tra le diverse professionalità.

Diritto penale di famiglia

L’Avv. Antonella Arcoleo coadiuvato  da altri professionisti come avvocati psicologi e mediatori è da sempre impegnato in prima linea per difendere e tutelare i diritti fondamentali della persona in caso di abusi o violenze e offre consulenza e assistenza legale.

Assistenza alle aziende

Lo Studio Legale Arcoleo vanta un’importante esperienza nell’assistenza alle imprese.

Alla base del successo di ogni azienda vi è la particolare attenzione per gli aspetti legali strettamente correlati al business che se correttamente e tempestivamente curati garantiscono alle imprese una sensibile riduzione del contenzioso.

Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.