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indipendenza economica

Assegno divorzile diminuito se la ex moglie sceglie il part-time

14 Aprile 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno divorzile diminuito se la ex moglie sceglie il part-time. 

Nella quantificazione dell’assegno divorzile occorre fare riferimento ai parametri dettati dall’art. 5 comma 6 L. 898/1970. Ed in particolare, nella valutazione della disparità reddituale tra le parti, assume rilievo la scelta della ex moglie di optare per il part-time pur essendo titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. A stabilire il superiore principio di diritto è la Corte di Cassazione con ordinanza del 23 agosto 2021 n. 23381.

Il caso

In base alla sentenza di divorzio, l’ex marito deve corrispondere in favore della moglie un assegno divorzile pari a € 900,00 mensili. L’uomo impugna la decisione e, in sede di gravame, la misura dell’assegno divorzile viene ridotta a € 600,00 mensili.

L’ex marito ritiene, tuttavia, che la disparità economica sussistente tra le parti sia ascrivibile unicamente alla scelta della ex moglie di lavorare a tempo parziale pur essendo titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Decide così di ricorrere in Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

La Suprema Corte ritiene che la sentenza impugnata non abbia correttamente applicato i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. In relazione alla determinazione dell’assegno divorzile, non è sufficiente considerare la mera disparità economica tra le parti. 

La scelta del lavoro part-time incide, infatti, in maniera significativa sul reddito dell’ex coniuge. Ma, nel caso di specie,  la Corte di merito non ha indagato sulle ragioni di tale scelta. Ed in particolare ad avviso degli Ermellini, il giudice di merito avrebbe dovuto accertare il momento in cui la donna ha scelto di svolgere un’attività lavorativa. Lo stesso, cioè, avrebbe dovuto indagare se la decisione a favore del tempo parziale sia avvenuta in autonomia o sia invece dipesa dalla necessità di far fronte ei bisogni della famiglia. 

La Suprema Corte, pertanto, rinviava a una diversa composizione della Corte di Appello perché provveda alla determinazione dell’assegno divorzile dopo avere adeguatamente considerato gli aspetti sopra citati. 

Accertare se il part-time sia una scelta autonoma o concordata

Il giudice, quindi, deve accertare il momento in cui tale scelta lavorativa è stata effettuata; deve decidere  se sia il frutto di una decisione autonoma o se dipenda da un accordo tra i coniugi nell’ambito della gestione della famiglia. In tale ultima ipotesi, infatti, la scelta dell’ex moglie rileva sia sotto il profilo del sacrificio reddituale da ella patito, sia sotto il profilo del contributo dato alla famiglia.

Potrebbe anche interessarti: “Assegno di divorzio: spetta anche in caso di matrimonio non consumato?”. Leggi qui.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: assegno divorzile, divorzio, indipendenza economica, lavoro part-time, mantenimento coniuge, separazione, sperequazione economica

Obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne: quando viene meno?

7 Febbraio 2022 Da Staff Lascia un commento

L’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne quando viene meno?

Ebbene questa è una domanda che spesso i genitori si pongono. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

 L’assegno di mantenimento ex art. 147 c.c. non persegue una funzione assistenziale incondizionata ed
illimitata dei figli maggiorenni disoccupati. Ne consegue, quindi, che i genitori non possono farsi carico dei figli vita natural durante. 

Ed invero, l’obbligo di mantenimento viene meno qualora il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio dipenda dalla mancanza di un impegno effettivo da parte dello stesso verso un progetto formativo che lo conduca all’acquisizione di competenze professionali tali da consentirgli l’ingresso nel mondo del lavoro. A stabilire il suddetto principio di diritto la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 18785 del 2 luglio 2021.

Analizziamo nel dettaglio gli aspetti del caso di specie.

Il caso

Un padre proponeva reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Messina al fine di contestare il
provvedimento con cui il Tribunale di Messina aveva confermato a suo carico l’obbligo di
mantenimento della figlia maggiorenne. La Corte territoriale accoglieva il reclamo revocando
l’obbligo del padre di mantenere la figlia in considerazione dell’età avanzata della stessa
(ormai ventiseienne), la scarsa propensione agli studi ed il rifiuto nel proseguire l’attività
commerciale di famiglia. La madre della ragazza ricorreva, tuttavia, in Cassazione per contestare la predetta decisione.

La decisione della Suprema Corte

Chiamati a pronunciarsi sul delicato tema del diritto al mantenimento della prole
maggiorenne che manifesti una scarsa propensione agli studi e che rifiuti ingiustificatamente
di svolgere un’attività lavorativa, gli Ermellini confermavano l’orientamento esposto dalla
Corte territoriale circa la revoca dell’assegno di mantenimento in favore della figlia
maggiorenne.
La suprema Corte, in particolare, rilevava a sostegno della decisione l’inerzia colpevole della
figlia e la mancanza di un progetto formativo, evidenziando, al contempo, come il diritto del
figlio maggiorenne al mantenimento si giustifichi unicamente nella misura in cui lo stesso
persegua un progetto formativo coerente con le sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni tale
da condurlo ad un ingresso lavorativo nella società.

Funzione educativa del mantenimento

Pertanto, la Corte di Cassazione circoscrive la portata dell’obbligo genitoriale al
perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo del figlio, escludendo, al
contempo, che la funzione assistenziale dell’assegno di mantenimento possa protrarsi
incondizionatamente e senza limiti di durata ove il figlio non segua un percorso virtuoso.

Potrebbe anche interessarti: “Mantenimento per il figlio che lascia il lavoro per studiare”. Leggi qui. 

 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: divorzio, figlio maggiorenne, indipendenza economica, mantenimento figlio maggiorenne, separazione

Indipendenza economica e assegno di divorzio

20 Gennaio 2022 Da Staff Lascia un commento


Se il giudice di merito accerta l’indipendenza economica degli ex coniugi, può ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento. Il giudicante può, inoltre, rigettare la richiesta istruttoria della parte volta a richiedere indagini tramite la polizia tributaria e la verifica di eventuali redditi non dichiarati.

A stabilire il superiore principio di diritto la Cassazione con la recente ordinanza n. 31836 del 4 novembre 2021.

Il caso

Una donna adiva il Tribunale di Prato al fine di chiedere ed ottenere in capo all’ex coniuge l’assegno di mantenimento. Il Tribunale adito, però, rigettava la richiesta non ritenendo sussistenti nel caso di specie i requisiti per ottenere l’assegno di mantenimento.

La donna, insoddisfatta, decideva di ricorrere in appello. I giudici di secondo grado, tuttavia, rigettavano il gravame ritenendo corretta la decisione del giudice di prime cure. Ed in particolare, sottolineava la Corte  che entrambe le parti ritenendo erano titolari di redditi da lavoro con una discrepanza minima tra di loro. Godevano quindi di indipendenza economica.  Peraltro entrambi erano proprietari delle abitazioni in cui vivevano. Ma non solo. Non era neppure stata fornita prova che l’ex marito svolgesse attività lavorativa “in nero”.

La donna ricorreva in Cassazione 

La questione giuridica sottoposta all’attenzione degli Ermellini era la seguente: ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, rileva la differenza reddituale tra gli ex coniugi? Il Giudice può evitare di disporre indagini tramite la polizia tributaria per accertare eventuali redditi “in nero” se entrambi gli ex coniugi godono di indipendenza economica?  

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini dichiaravano inammissibile il ricorso e condannavano la ricorrente alla refusione delle spese del gravame.

Ed in particolare la donna, anche avanti ai giudici di legittimità, lamentava la mancata considerazione della sperequazione reddituale e patrimoniale nonché la mancata valutazione delle disponibilità finanziare di Tizio derivanti da attività “in nero”.
La Corte di Cassazione rilevava come tutte le circostanze oggetto di ricorso erano già state valutate dai giudici di merito, motivo per cui non era possibile procedere ad una rivisitazione delle stesse con conseguente inammissibilità
del motivo.
Sottolineavano gli ermellini che i giudici di merito avevano analiticamente verificato le condizioni reddituali delle parti arrivando a confutare anche gli elementi che avrebbero indicato i maggiori redditi dell’uomo.
Era accertata, altresì, l’indipendenza economica della ricorrente la quale era anche proprietaria dell’abitazione in cui viveva.
Peraltro in sede istruttoria era emerso che nessuno degli ex coniugi  aveva contribuito alla formazione del patrimonio dell’altro.

Funzione assistenziale, perequativa-compensativa dell’assegno di divorzio

Pertanto, considerato che la funzione dell’assegno divorzile è assistenziale, perequativo-compensativa, esso non è dovuto tutte le volte nelle quali viene in luce l’indipendenza economica del richiedente.

Inammissibile la richiesta di indagine mediante polizia tributaria

Anche la valutazione  della doglianza dell’ex coniuge relativa al mancato espletamento di indagini su Tizio
tramite la polizia tributaria veniva dichiarata inammissibile. Ciò in considerazione del principio secondo il quale «il giudice del merito, ove ritenga “aliunde” raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il
riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche
senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio tramite la polizia tributaria» (v. Cass. civ. n 8744/2019;
Cass. civ. n. 14336/2013).

Potrebbe anche interessarti:” Convivenza more uxorio :permane il diritto all’assegno divorzile?”. Leggi qui.

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Figlio laureato? niente mantenimento

7 Gennaio 2021 Da Staff Lascia un commento

Al figlio laureato che non prova di essersi attivato per cercare un lavoro, ridimensionando le sue aspirazioni, non spetta il mantenimento. Tale principio, affermato con l’ordinanza n. 17183 del 2020, è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29779 del 2020. 

Il caso 

Una donna decideva di divorziare dal marito. In giudizio la corte di Appello, riformando la sentenza di primo grado, poneva a carico del marito l’obbligo di contribuire al mantenimento di uno solo dei due figli. Veniva pertanto revocato l’assegno disposto dal Tribunale a favore del figlio laureato.

Sicché la donna, insoddisfatta della pronuncia, ricorreva in Cassazione sollevando due doglianze:

1- con il primo motivo lamentava che il giudice territoriale non aveva correttamente valutato la situazione economica delle parti. Ed in particolare aveva considerato autonomo il figlio maggiore solo in ragione dell’età.

2-con il secondo motivo, lamentava l’omessa valutazione di tutte le circostanze dedotte nel ricorso introduttivo che se correttamente valutate avrebbero dovuto condurre la Corte a un diverso giudizio.

Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso della donna con l’ordinanza n. 29779 del 2020. Gli Ermellini condividendo in pieno le argomentazioni dei giudici di merito ritenevano non sussistenti i requisiti per il riconoscimento del contributo al mantenimento del figlio maggiore.

Più dettagliatamente, in corso di causa  non era emerso che il figlio laureato, ormai ventisettenne si fosse adoperato per cercare un lavoro confacente ai propri studi.

Uniformemente al principio sancito con l’ordinanza  17183 del 2020, la Corte di Cassazione affermava che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento ex art. 337 septies cod. civ. a carico dei genitori soltanto se “ultimato il percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni”.

Ebbene, il nuovo orientamento affermatosi in giurisprudenza  sostiene che Il giudice non deve disporre l’assegno di mantenimento a favore del maggiorenne sul solo presupposto che manchi la sua indipendenza economica. Viene meno qualsiasi automatismo tra diritto al mantenimento e stato di inoccupazione o disoccupazione. 

E’ il figlio che dovrà provare, una volta maggiorenne, di non avere ancora raggiunto l’autosufficienza economica per ragioni giustificate e allo stesso non addebitabili. Spetterà a lui dimostrare di essere ancora impegnato con profitto in un corso di studi o di essersi attivato per trovare un lavoro.

Potrebbe anche interessarti “Mantenimento figlio maggiorenne, quando cessa?”. Leggi qui. 

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