Cassazione civile, sez. I, ord. 17 giugno 2024 n. 16691
Con l’ordinanza n. 16691/2024 la Corte di Cassazione ha affermato che “l’assegnazione della casa familiare deve comprendere anche tutti gli arredi che contribuiscono a rappresentare l’habitat familiare” e non viene meno anche in caso di assenze dei figli, giustificate dalla frequentazione universitaria fuori residenza, se permane un collegamento stabile dei medesimi con l’abitazione del genitore.
La pronuncia della Suprema Corte trae origine da un ricorso proposto da una donna nell’ambito di un procedimento per lo scioglimento degli effetti civili di un matrimonio e si pone in continuità con la giurisprudenza precedente..
In primo grado, il Tribunale di Trieste riconosceva la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dell’assegno divorzile alla moglie, quantificato in € 1.200,00, e condannava il padre a contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti.
La Corte di Appello tuttavia, accogliendo il ricorso dell’ex marito, revocava il contributo al mantenimento di uno dei figli in ragione della raggiunta autosufficienza economica, revocava altresì l’assegnazione della casa familiare in ragione della lontananza dalla casa familiare della figlia – studentessa universitaria fuori sede – definiva come “legislativamente non prevista” l’assegnazione degli arredi e e, da ultimo, revocava l’assegno divorzile ritenendo la donna dotata di redditi adeguati al proprio sostentamento.
L’ex moglie presentava ricorso per Cassazione con quattro motivi di impugnazione che venivano ritenuti tutti fondati.
Con il terzo motivo, la donna lamentava quanto affermato dal giudice di secondo grado in merito alla revoca dell’assegnazione della casa familiare precisando che gli arredi devono essere considerati parte integrante dell’habitat domestico tutelato ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. Sul punto, inoltre, la donna eccepiva che la Corte aveva omesso di considerare la non autosufficienza economica della figlia e aveva disatteso il principio secondo cui la convivenza con i figli ai fini dell’assegnazione non cessa automaticamente se si frequenta un ateneo a distanza, laddove la casa familiare rimanga comunque il luogo cui fare sistematicamente e periodicamente ritorno.
La Suprema Corte, trattando congiuntamente questi motivi, ha confermato che l’assegnazione della casa familiare ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. si estende anche ai mobili e agli arredi poiché i figli – minori o maggiorenni non autosufficienti – hanno diritto a conservare l’habitat familiare in cui sono cresciuti composto delle mura, degli arredi, dei comfort e dei servizi che durante la convivenza hanno caratterizzato lo standard di vita familiare.
In particolare, la Corte ha aderito alla nozione di “casa familiare” così come offerta dalla Corte Costituzionale, quale “ambiente domestico”, costituente un centro di affetti, interessi e consuetudini di vita, ambiente che concorre allo sviluppo e alla formazione della personalità della prole. La “casa” viene così “funzionalizzata” alla tutela dei figli e del loro interesse a permanere nel proprio “focolare domestico”, una tutela che gode di copertura costituzionale ai sensi degli artt. 29, 30 e 31 Cost., essendo strumento di protezione dell’interesse della prole. In altri termini, la “casa familiare” – la cui utilizzazione è dall’art. 155, quarto comma, c.c. riservata in via preferenziale al coniuge cui vengono affidati i figli – non è rappresentata dal solo immobile, ma deve essere considerata come espressiva di tutto ciò che, durante la convivenza concorreva ad identificare il “centro di aggregazione e di unificazione della famiglia”, e quindi come un’entità complessiva che ricomprende tendenzialmente anche i beni mobili che ne costituiscono l’arredo (Cass., 9 dicembre 1983, n. 7303).
Tuttavia, se è vero che l’assegnazione della casa familiare si estende, di norma, a mobili ed arredi, è pur vero che nulla vieta ai coniugi di pattuire che alcuni mobili, tanto più se di proprietà esclusiva di uno di loro, siano prelevati dalla casa familiare. Di fatti, il coniuge non assegnatario si trova costretto a cercare una nuova ed adeguata sistemazione abitativa ed è logico che attinga in qualche misura, con l’accordo dell’altro, ai mobili della casa familiare.
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