Revoca dell’assegno divorzile se la ex moglie ha capacità lavorativa e sostiene spese voluttuarie (Cass. civ., sez. I, ord.,18 gennaio 2023, n. 1482)
Il caso
Il Tribunale di Velletri pronunciando la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi,
poneva a carico dell’uomo l’obbligo di versare alla ex moglie un assegno mensile di € 100 oltre ad € 450
quale contributo al mantenimento del figlio, maggiorenne ma non economicamente autosufficiente.
La donna proponeva appello in quanto gli importi erano ridotti rispetto a quelli stabiliti in sede di separazione. L’ex marito, oltre a resistere in appello, presentava appello incidentale chiedendo la revoca dell’assegno divorzile e quello per il mantenimento del figlio.
La decisione della Corte di Appello
I Giudici di secondo grado, disponendo la revoca dell’assegno, ribaltavano la decisione del giudice di primo grado. Ed in particolare, osservavano che alcun obbligo economico doveva essere previsto a carico del padre poiché il figlio aveva abbandonato l’occupazione offertagli dal predetto e poiché la ex moglie disponeva di redditi e capacità lavorativa. Per tali ragioni veniva rigettato l’appello principale ed accolto quello incidentale, con conseguente revoca degli obblighi economici previsti in capo all’ex coniuge.
La donna proponeva ricorso per Cassazione
La Suprema Corte, però, dichiarava inammissibile in ricorso confermando così la decisione dei Giudici di merito.
In particolare, la donna aveva articolato quattro motivi sostenendo che il Tribunale non aveva valorizzato il suo contributo alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale e al pagamento del relativo mutuo. Per di più la ricorrente lamentava una errata lettura delle risultanze del suo conto corrente e della situazione reddituale dell’ex marito, oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo inerente la richiesta di restituzione di somme dalla stessa elargite.
Gli Ermellini, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, richiamano il principio enunciato dalle Sezioni Unite per cui “il riconoscimento dell’assegno di divorzio (…) richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive” ed occorre una “valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto” (v. Cass. sez. un., n. 18287/2018; in questo senso v. anche Cass. civ., n. 1882/2019; Cass. civ., n. 21228/2019; Cass. civ., n. 5603/2020; Cass. civ., n. 4215/2021; Cass. civ, n. 13724/2021; Cass. civ., n. 11796/2021).
L’assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa e presuppone
l’accertamento di uno “squilibrio effettivo e di non modesta entità” delle condizioni economiche delle parte attrice comunque non è finalizzato alla ricostituzione del “tenore di vita endoconiugale” (v. Cass. civ., n.
21926/2019).
Considerazioni
Nel caso di specie emerge che la donna al momento della fine del matrimonio aveva una disponibilità economica risultante dal conto corrente che le permetteva di sostenere sia i costi dell’abitazione presa in locazione sia spese voluttuarie, oltre ad avere una propria capacità lavorativa tali da renderla economicamente autonoma.
Peraltro, le censure della ricorrente miravano così ad ottenere un riesame del merito della causa: di qui
l’inammissibilità del ricorso non potendosi “surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata.
Per tali ragioni il ricorso viene dichiarato inammissibile e la donna condannata al pagamento delle spese processuali.
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