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assegno di mantenimento

Rivalutazione ISTAT dell’assegno di mantenimento, come funziona?

13 Febbraio 2023 Da Staff Lascia un commento

Rivalutazione istat dell’assegno di mantenimento, come funziona?

La legge stabilisce che l’assegno di mantenimento dovuto ai figli e/o al coniuge deve essere rivalutato annualmente secondo gli indici gli Istat.

In cosa consiste la rivalutazione ISTAT?

La rivalutazione istat è un meccanismo di adeguamento automatico e annuale dell’importo mensile dell’assegno all’aumento o diminuzione del costo medio della vita. Lo scopo dell’adeguamento è quello di preservare il potere d’acquisto dall’inevitabile svalutazione monetaria.
Dal punto di vista normativo, occorre compiere una distinzione tra assegno di mantenimento a favore dei
figli e a favore del coniuge, se infatti per il primo l’automatismo della rivalutazione è previsto espressamente, sia in sede di separazione che di divorzio, dall’art. 337-ter del codice civile, per l’assegno
di mantenimento a favore del coniuge è bene evidenziare che sebbene tale automatica rivalutazione sia
disciplinata esclusivamente all’art. 5 comma 7 della L. n. 898/1970, e quindi si riferisca specificatamente
alla procedura di divorzio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la stessa sia applicabile anche in sede di separazione.

Di conseguenza il giudice, sia in sede di divorzio che di separazione, ha il potere-dovere di stabilire in sentenza un criterio di indicizzazione automatica dell’assegno, anche senza specifica domanda delle parti.

Come si calcola l’aumento ISTAT?

Per calcolare annualmente la rivalutazione dell’assegno di mantenimento occorre fare riferimento all’ indice di variazione FOI, ossia l’indice dei prezzi delle famiglie di operai e impiegati, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 81 della L. n. 392/1978, il mese successivo a quello a cui si riferisce.

Conseguentemente per calcolare il relativo aumento, occorrerà applicare all’importo mensile dell’assegno deciso dal giudice, la percentuale dell’indice FOI che si riferisca o al mese indicato nel provvedimento dal giudice nell’anno precedente o, in assenza, al mese della sottoscrizione dell’accordo o deposito del ricorso.

Il nuovo importo rappresenterà la somma sulla quale verrà applicato, l’anno successivo, il nuovo indice FOI per determinare la nuova rivalutazione dell’importo e così via per gli anni successivi.
La rivalutazione dovrà pertanto essere compiuta a partire dalla data indicata nel provvedimento di
separazione o divorzio.

Pertanto, se era stato sancito dal giudice un assegno di mantenimento di € 500,00 a partire dal 10 luglio 2020, questa somma doveva essere rivalutata tenendo conto dell’ultimo FOI disponibile al 10 luglio 2021 ossia dovrà essere calcolata con riferimento al mese di luglio di ogni anno, essendo luglio il mese di decorrenza dell’assegno. 

Potrebbe anche interessarti “Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento deve essere più alto”. Leggi qui. 

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Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento deve essere più alto

13 Gennaio 2023 Da Staff Lascia un commento

Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento  per la ex moglie deve essere più alto ciò in quanto tale lavoro va qualificato come contributo alla conduzione familiare.

A stabilire il superiore principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24826 del 17 Agosto 2022.

Ed in particolare, gli Ermellini ritengono che occuparsi della casa, consentendo al coniuge di svolgere la sua attività senza altre incombenze, è un lavoro che merita il dovuto riconoscimento al momento della separazione e del divorzio.

Il giudice non può, infatti, stabilire un assegno che sia solo assistenziale, senza considerare il contributo che la donna da alla formazione del patrimonio comune o del marito. Partendo da questo principio la Cassazione con la sentenza sopra richiamata bacchetta la Corte d’appello che aveva avallato il taglio dell’assegno in favore della ex moglie riducendolo da € 600,00 ad € 250,00.

L’iter logico giuridico seguito dai giudici di merito

I giudici di merito, rilevavano che la signora aveva 52 anni, non aveva problemi di salute e, in più abitava in Sardegna, regione turistica nella quale non mancavano occasioni di lavoro. Alla luce di ciò la Corte territoriale riteneva che non sussistessero nel caso di specie i presupposti affinché la donna fosse totalmente mantenuta dal marito, avendo diritto solo ad una somma che l’aiutasse a raggiungere l’indipendenza economica.

Peraltro in sede istruttoria era emerso che il suo impegno, in assenza di figli, durante il non lungo matrimonio, durato 8 anni, era stato speso solo per la casa.

La decisione della Corte di Cassazione

La donna ritenendo illegittimo il provvedimento che riduceva il suo mantenimento adiva la Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, facendo un ragionamento completamente diverso, ribaltava la decisione della Corte di Appello.

Sul piatto della bilancia, i giudici di legittimità mettono la diversa situazione economica della ex coppia. Il marito con uno stipendio di 1.900 euro, proprietario di un immobile e di due case in nuda proprietà. La signora, di contro, non aveva mai lavorato, per espressa volontà del marito, e non possedeva qualifiche o professionalità da spendere nel mondo del lavoro dopo i 50 anni, nonostante la donna fosse iscritta nelle liste di collocamento.

Secondo gli Ermellini, in ogni caso, la Corte di Appello aveva errato nel non considerare un lavoro a tutti gli effetti il lavoro casalingo.

Ed in particolare, la cura della casa e quindi il lavoro casalingo è da considerarsi un contributo alla conduzione familiare che ha, tra l’altro, permesso all’ex marito di dedicarsi alla sua occupazione.

Alla luce di ciò, la Suprema corte ha annullato con rinvio per un nuovo giudizio avanti la Corte di Appello, invitando la predetta  a decidere per un assegno compensativo, che tenga conto del contributo dato dalla ricorrente alla vita familiare.

Potrebbe anche interessarti “Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. art. 5 della legge 898/1970?”. Leggi qui.

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: assegno di divorzio, assegno di mantenimento, casalinga, divorzio, moglie, moglie casalinga, separazione

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. art. 5 della legge 898/1970?

13 Dicembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. 5 della l. n. 898/1970?

Ad affrontare tale questione è la Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 26672 del 2022, ricorda che ogni assegno divorzile ha una propria natura e torna a ribadire che il giudice può decidere di valorizzare in misura preponderante, tra i vari criteri legali utilizzabili ai fini della quantificazione dello stesso, quello ritenuto più confacente al caso concreto.

Il caso

A seguito della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale poneva a carico dell’ex marito il pagamento di un assegno divorzile in favore della ex moglie pari ad € 1.300,00 mensili. Tale decisione veniva confermata anche in sede di appello in quanto la Corte di merito, pur riconoscendo che la quantificazione dell’assegno divorzile debba tenere conto dei parametri indicati dall’art. 5 della l. n.
898/1970, riteneva di dover dare rilievo al consistente divario reddituale esistente tra le parti, specie in considerazione della malattia da cui era affetta la donna.

Avverso tale statuizione, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione lamentando che la Corte d’Appello non avrebbe effettuato un adeguato bilanciamento di tutti i parametri indicati dalla suddetta norma giuridica soffermandosi unicamente sulla malattia di cui era affetta la ex moglie e sulla disparità reddituale esistente tra gli ex coniugi.
In particolare, secondo il ricorrente, il tetto massimo della misura dell’assegno divorzile era stato sicuramente superato, in quanto l’importo attribuito a titolo dello stesso andava ad aggiungersi alla pensione percepita dalla ex moglie, nonché al godimento integrale, da parte di quest’ultima, della proprietà della casa familiare, di cui era divenuta titolare esclusiva, a seguito della cessione da parte dell’uomo della quota di sua spettanza in adempimento degli accordi di separazione.

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini si soffermano, quindi, sul seguente quesito giuridico: ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile il giudice deve tenere conto di tutti i parametri di cui alla l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, oppure può attribuire valore solo ad alcuni di essi escludendo, quindi, gli altri?

La Suprema Corte, fin da epoca risalente, ha avuto più volte modo di chiarire che i giudici di merito, nel quantificare l’importo dell’assegno divorzile, non è tenuto a prendere in considerazione tutti i criteri indicati dall’art. 5, l. n. 898/1970, essendo, piuttosto, necessario che lo stesso giustifichi in modo adeguato le sue valutazioni.

Pertanto, deve escludersi la necessità di una puntuale e contemporanea considerazione da parte del giudice di tutti i parametri di riferimento indicati nella legge divorzile.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, il giudice di merito può anche prescindere dal
prendere in considerazione taluni parametri e tale scelta discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità.
Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di appello ha deciso, da un lato, di porre al centro il consistente divario reddituale esistente tra le parti e, dall’altro lato, la particolare situazione di salute in cui versava la ex moglie.
Quest’ultima, infatti, poteva contare come introito sull’esclusivo assegno pensionistico e, data la sua grave invalidità, si trovava, in ogni caso, nella condizione di non avere risorse sufficienti per far fronte alle sue necessità di vita condizionate dalla malattia,

In conclusione, secondo la Cassazione, la Corte di merito ha espresso un giudizio consentito e, poiché adeguatamente motivato, neppure sindacabile in sede di legittimità.

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E’rimborsabile il mantenimento in eccedenza versato per il figlio minore?

28 Luglio 2022 Da Staff Lascia un commento

E’ rimborsabile il mantenimento in eccedenza versato volontariamente da un padre rispetto a quello dovuto stabilito in sede di separazione? Vista la natura del mantenimento del figlio minorenne, il padre, se lo richiede ha diritto al rimborso dell’eccedenza versata?

Ebbene, per rispondere al superiore quesito bisogna analizzare la natura dell’assegno di mantenimento.

Natura dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento per i figli minorenni ha natura alimentare, ed è principio ormai consolidato, che le somme versate a quel titolo siano irripetibili, impignorabili e non compensabili, perché destinate ad essere spese per soddisfare basilari esigenze di vita del beneficiario.
Peraltro le somme versate a titolo di mantenimento ordinario non possono essere compensate neppure con le spese straordinarie
Per la superiore ragione, pertanto, la somma versate dal padre in eccedenza rispetto al provvedimento di separazione non è rimborsabile e quindi ripetibile avendo, anch’essa, funzione sostanzialmente alimentare. 
Il principio di cui sopra può trovare un’attenuazione solamente nell’ipotesi in cui venga sostanzialmente
meno la  funzione alimentare del contributo. Ciò come nel caso dell’assegno di mantenimento versato al figlio maggiorenne, corrisposto nonostante l’intervenuta indipendenza economica dell’avente diritto. 
In tal caso il genitore obbligato può agire in giudizio esigendo la ripetizione delle somme versate in
eccesso purché, chiaramente, il Giudice accerti, con provvedimento di modifica delle precedenti statuizioni, che il figlio è divenuto economicamente indipendente a partire da un preciso momento storico.
Ma vieppiù.

Richiesta di aumento del mantenimento

Nel caso in  cui il genitore obbligato, per un lungo periodo, versi una somma maggiore a quella dovuta il genitore collocatario potrebbe addirittura chiedere la modifica delle precedenti condizioni economiche. Ed in particolare potrebbe, richiedere l’incremento del contributo al mantenimento per i figli. Ed invero una tale condotta  lascerebbe intendere la capacità economica del genitore di  poter versare di più di quello dovuto.
La condotta paterna, infatti, potrebbe essere considerata rivelatrice di una migliorata condizione economica da parte del coniuge obbligato, ovvero un’inadeguatezza del contributo a suo tempo fissato, rispetto alle esigenze della prole.

Potrebbe anche interessarti “Obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne: quando viene meno?”. Leggi qui. 

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Indipendenza economica e assegno di divorzio

20 Gennaio 2022 Da Staff Lascia un commento


Se il giudice di merito accerta l’indipendenza economica degli ex coniugi, può ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento. Il giudicante può, inoltre, rigettare la richiesta istruttoria della parte volta a richiedere indagini tramite la polizia tributaria e la verifica di eventuali redditi non dichiarati.

A stabilire il superiore principio di diritto la Cassazione con la recente ordinanza n. 31836 del 4 novembre 2021.

Il caso

Una donna adiva il Tribunale di Prato al fine di chiedere ed ottenere in capo all’ex coniuge l’assegno di mantenimento. Il Tribunale adito, però, rigettava la richiesta non ritenendo sussistenti nel caso di specie i requisiti per ottenere l’assegno di mantenimento.

La donna, insoddisfatta, decideva di ricorrere in appello. I giudici di secondo grado, tuttavia, rigettavano il gravame ritenendo corretta la decisione del giudice di prime cure. Ed in particolare, sottolineava la Corte  che entrambe le parti ritenendo erano titolari di redditi da lavoro con una discrepanza minima tra di loro. Godevano quindi di indipendenza economica.  Peraltro entrambi erano proprietari delle abitazioni in cui vivevano. Ma non solo. Non era neppure stata fornita prova che l’ex marito svolgesse attività lavorativa “in nero”.

La donna ricorreva in Cassazione 

La questione giuridica sottoposta all’attenzione degli Ermellini era la seguente: ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, rileva la differenza reddituale tra gli ex coniugi? Il Giudice può evitare di disporre indagini tramite la polizia tributaria per accertare eventuali redditi “in nero” se entrambi gli ex coniugi godono di indipendenza economica?  

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini dichiaravano inammissibile il ricorso e condannavano la ricorrente alla refusione delle spese del gravame.

Ed in particolare la donna, anche avanti ai giudici di legittimità, lamentava la mancata considerazione della sperequazione reddituale e patrimoniale nonché la mancata valutazione delle disponibilità finanziare di Tizio derivanti da attività “in nero”.
La Corte di Cassazione rilevava come tutte le circostanze oggetto di ricorso erano già state valutate dai giudici di merito, motivo per cui non era possibile procedere ad una rivisitazione delle stesse con conseguente inammissibilità
del motivo.
Sottolineavano gli ermellini che i giudici di merito avevano analiticamente verificato le condizioni reddituali delle parti arrivando a confutare anche gli elementi che avrebbero indicato i maggiori redditi dell’uomo.
Era accertata, altresì, l’indipendenza economica della ricorrente la quale era anche proprietaria dell’abitazione in cui viveva.
Peraltro in sede istruttoria era emerso che nessuno degli ex coniugi  aveva contribuito alla formazione del patrimonio dell’altro.

Funzione assistenziale, perequativa-compensativa dell’assegno di divorzio

Pertanto, considerato che la funzione dell’assegno divorzile è assistenziale, perequativo-compensativa, esso non è dovuto tutte le volte nelle quali viene in luce l’indipendenza economica del richiedente.

Inammissibile la richiesta di indagine mediante polizia tributaria

Anche la valutazione  della doglianza dell’ex coniuge relativa al mancato espletamento di indagini su Tizio
tramite la polizia tributaria veniva dichiarata inammissibile. Ciò in considerazione del principio secondo il quale «il giudice del merito, ove ritenga “aliunde” raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il
riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche
senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio tramite la polizia tributaria» (v. Cass. civ. n 8744/2019;
Cass. civ. n. 14336/2013).

Potrebbe anche interessarti:” Convivenza more uxorio :permane il diritto all’assegno divorzile?”. Leggi qui.

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Convivenza more uxorio: permane il diritto all’assegno divorzile?

2 Dicembre 2021 Da Staff Lascia un commento

Sulla questione se in caso di convivenza con un nuovo compagno, in epoca successiva alla separazione, permanga o meno il diritto di mantenere l’assegno divorzile, si sono susseguiti diversi orientamenti giurisprudenziali.

La questione, rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stata risolta con con la sentenza del 5 novembre 2021 n. 32198.

Decisione delle Sezioni Unite

Secondo i giudici di legittimità, l’instaurazione della convivenza non comporta l’automatica perdita del diritto all’assegno ex art. 5 l.898/1970. Bisogna ricordare che l’assegno ha una funzione composita: assistenziale e compensativa. Nel caso in esame, viene meno la prima ma non la seconda. Infatti, la funzione compensativa è volta al riconoscimento del contributo fornito dal coniuge più debole alla formazione del patrimonio della famiglia. Mentre il nuovo legame, sotto il profilo assistenziale, si sostituisce al precedente.

Pertanto, se il coniuge economicamente più debole ha sacrificato la propria vita lavorativa a favore della famiglia, è ingiusto che perda qualsiasi diritto alla compensazione per i sacrifici fatti solo perché si è ricostruito una vita affettiva.

Quanto sopra non significa però che l’instaurazione di una stabile convivenza non influisca in alcun modo sulla corresponsione dell’assegno. Infatti, la creazione di una nuova famiglia può incidere sul riconoscimento del diritto all’assegno, sulla sua revisione e quantificazione.

Afferma la Suprema Corte che la stabile convivenza di fatto non fa venire meno il diritto alla componente compensativa. Ciò purché il beneficiario fornisca la prova del contributo offerto alla comunione familiare; ossia  della rinuncia alle occasioni lavorative e dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

In breve i principi stabiliti dalla sentenza in esame:

1)L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.

2)Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

3)A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescite professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

4)Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì, della durata del matrimonio.

Potrebbe anche interessarti “Diritto di abitazione al coniuge superstite”. Leggi qui. 

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Convivenza con altro uomo: non viene meno l’assegno di divorzio (Cass. 26628/2021)

22 Ottobre 2021 Da Staff Lascia un commento

 

Convivenza con altro uomo: la Cassazione riconosce l’assegno divorzile anche all’ex coniuge che convive con un’altra persona purché la convivenza non sia caratterizzata da un progetto di vita comune (Cass. civ., Ord. n. 26628 del 2021).

Il caso

Un uomo adiva il Tribunale per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla moglie. Quest’ultima si costituiva in giudizio chiedendo il riconoscimento dell’assegno divorzile. Il Tribunale, accogliendo la richiesta della donna, obbligava il ricorrente a versare alla donna un assegno a titolo di mantenimento della predetta.

L’uomo ricorreva in appello

L’uomo, ritendo ingiusto il provvedimento, ricorreva in Corte di Appello sottolineando l’illegittimità del provvedimento. In particolare la ex moglie aveva intrapreso una stabile relazione e convivenza con altro uomo e pertanto non aveva diritto all’assegno divorzile. Contro tale provvedimento il ricorrente chiedeva quindi la revoca dell’assegno.

La Corte di Appello, tuttavia, accoglieva solo parzialmente le richieste dell’uomo e provvedeva alla riduzione del quantum dovuto in 400 euro, ritenendo che, alla luce della risultanze suddette, fosse eccessiva quella attribuitale dal primo giudice 900 euro. Ciò sulla base del presupposto che la nuova coppia aveva “una limitata condivisione del budget e della vita”.

La Corte di Appello, inoltre,  confermava la spettanza dell’assegno divorzile anche in considerazione dell’incolpevole incapacità lavorativa della donna che, data l’età e l’annosa inesperienza, frutto presuntivo di una scelta coniugale condivisa, le rendeva oggettivamente assai difficile, se non impossibile, il rientro sul mercato del lavoro.

L’uomo ricorreva in Cassazione

La Suprema Corte confermava la decisione adottata dai giudici di merito. Ebbene, gli Ermellini sottolineavano che i giudici territoriali avevano correttamente applicato i principi sanciti dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18278 del 2018.  Si ricorda che tale sentenza prevede “il riconoscimento dell’assegno di divorzio  in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sull’attribuzione che sulla quantificazione dell’assegno“.

Nel caso in esame emergeva che il rapporto di convivenza con l’altro uomo non era caratterizzato da un progetto di vita comune. Tale rapporto è necessario per poter parlare di una vera famiglia di fatto, stante l’assenza di una convivenza stabile e continuativa e la presenza di una “una condivisione limitata del budget e della vita“.

Potrebbe anche interessarti “Tenore di vita e mantenimento”. Leggi qui.

 

 

 

 

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Tenore di vita e mantenimento

5 Agosto 2021 Da Staff Lascia un commento

 

Tenore di vita e mantenimento: ancora un chiarimento sui criteri di determinazione dell’assegno di mantenimento per il coniuge separato arriva dalla Suprema Corte di Cassazione. Gli ermellini, con l’ordinanza n. 21504 del 27 luglio 2021, tornano nuovamente a parlare del noto criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. 

L’opportunità arriva agli Ermellini a seguito di una sentenza del Tribunale di Torino, parzialmente modificata in sede di appello. A seguito di impugnazione avanzata dal soggetto beneficiario dell’assegno si osservava che “la notevole disponibilità economica di Tizio non costituiva certo un automatismo argomentativo sufficiente per giustificare l’aumento richiesto”.

Tuttavia, dalle risultanze istruttorie, ed in particolare da Consulenza Tecnica di Ufficio sul patrimonio e sui redditi del soggetto obbligato, emergeva una notevole capacità economica del marito. Ciò, tenuto conto degli anni di convivenza matrimoniale, giustificava l’aumento dell’assegno a favore della moglie.

Decisione della Corte di Cassazione

Tizio ricorre in Cassazione lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 156, commi 1 e 2.  Ed in particolare lamenta che la Corte d’Appello ha aumentato l’importo dell’assegno di mantenimento del coniuge senza tuttavia considerare il tenore di vita goduto da Caia che giustificasse l’aumento dell’assegno.

Il ricorso di Tizio viene rigettato.

Precisa la Cassazione come la Corte d’Appello ha correttamente applicato l’orientamento consolidato in tema di  separazione personale. Quest’ultima, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale. Sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Ciò perché in caso di separazione rimane “attuale” il dovere di assistenza materiale.

Aggiunge inoltre la Corte di Cassazione che non si può censurare, in sede di legittimità, la valutazione che si riferisce all’adeguatezza dei redditi e del patrimonio rispetto al tenore di vita di cui la moglie ha goduto durante il matrimonio tenuto conto del periodo di convivenza matrimoniale. Tale accertamento spetta esclusivamente ai giudici di merito.

Potrebbe anche interessarti: “Niente mantenimento al coniuge che rifiuta lavori umili (Cass. Ord. 5932 del 4 marzo 2021)”. Leggi qui.

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Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.