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mantenimento

I nonni devono mantenere i nipoti se i genitori non possono farlo

14 Novembre 2022 Da Staff Lascia un commento

I nonni devono mantenere i nipoti se i genitori non possono farlo. A confermare il
summenzionato principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza
interlocutoria n. 30368/2022.

Il caso

Nell’ambito del giudizio di primo grado, il Tribunale poneva a carico dei nonni l’obbligo
di corrispondere in favore della madre del minore la somma mensile pari ad € 200,00
a titolo di contributo al mantenimento dello stesso. Tale somma, in particolare,
doveva essere corrisposta in sostituzione al mantenimento cui avrebbe dovuto
provvedere il padre attesa l’impossibilità per la madre del minore di far fronte da sola
a tutte le spese necessarie per il mantenimento del minore.
La nonna paterna in capo a cui veniva corrisposto tale obbligo impugnava la decisione
del Tribunale ma i giudici di secondo grado rigettavano la sua richiesta e così il caso
giungeva sino alla Corte di Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

Esaminato il ricorso, i giudici della Corte di Cassazione rilevano che, secondo l’art. 316
bis c.c., i nonni sono gli ascendenti più prossimi ai minori che devono provvedere al
loro mantenimento nel caso in cui i genitori non riescano a farlo.
Ed infatti, sul punto, gli Ermellini sono chiari disponendo che
“l’obbligazione solidaristica, sussidiaria e subordinata grava proporzionalmente su tutti gli
ascendenti di pari grado indipendentemente da chi sia il genitore che ha creato
l’insorgenza dello stato di insufficienza dei mezzi economici”.
Questo obbligo, secondo la Suprema Corte, va inteso non solo nel senso
che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a
quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa
rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il
proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di
mantenerli ma solo ed esclusivamente qualora i genitori non siano in grado di
adempiere al loro diretto e personale obbligo.

Potrebbe anche interessarti: “E’ rimborsabile il mantenimento in eccedenza versato per il figlio?”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: divorzio, figli non autosufficienti, mantenimento, mantenimento ascendenti, mantenimento figli, separazione

Assegno di divorzio, se l’ex coniuge è malato prevale la disparità patrimoniale

16 Settembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno di divorzio: se l’ex coniuge è malato prevale la disparità patrimoniale.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, nella definizione del quantum dell’assegno
di mantenimento, il giudice può attribuire maggiore rilevanza ad alcuni dei parametri
previsti dall’art. 5, comma 6, della L. n. 898/1970, trascurandone altri.
A stabilire il summenzionato principio di diritto è la Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 26672 del 9 settembre 2022.


Il caso

Un uomo veniva condannato al pagamento, in favore della ex moglie, di un assegno
divorzile pari ad € 1.300,00 mensili da rivalutarsi annualmente secondo gli indici
ISTAT.
Il predetto proponeva ricorso in Cassazione facendo leva sul fatto che la ex moglie, sia
pure affetta già nel corso del matrimonio da una grave malattia, percepiva una
modesta pensione e, pertanto, non avesse diritto a percepire un assegno divorzile
così elevato.


La decisione della Suprema Corte

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’ex marito
stabilendo il principio secondo cui, nel caso concreto, andasse privilegiato l’aspetto
della disparità patrimoniale. Ciò soprattutto in virtù del fatto che la ex moglie soffrisse
già da anni di una grave malattia, c.d. infiammazione demielinizzante, oltre a
percepire una modestissima pensione.
Ebbene, per la Suprema Corte, nella quantificazione dell’assegno di divorzio, il giudice
non è obbligato a tenere contemporaneamente in considerazione tutti i parametri di
riferimento indicati dall’art. 5 della legge sul divorzio.
Il giudice, infatti, secondo gli Ermellini, può anche prescindere da alcuni di detti
parametri purché, beninteso, giustifichi e motivi adeguatamente le proprie
valutazioni. Trattasi, in tal caso, di una “scelta discrezionale non sindacabile in sede di
legittimità”.
È proprio quanto effettuato, nel caso concreto, dal giudice di merito, il quale ha
attribuito maggiore rilievo ad alcuni dei summenzionati parametri in luogo di altri.
La sentenza impugnata, infatti, dopo avere evidenziato che le parti erano state
sposate per 11 anni, ha evidenziato che la donna era afflitta da tempo da una malattia degenerativa; con un decorso caratterizzato nel tempo da ricadute che hanno compromesso i sistemi neurologici motori, cerebrali, sensitivi e sfinterici.
Tale aspetto, pertanto, fa sì che i parametri relativi all’apporto di contributo personale ed
economico alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio personale o
comune debbano considerarsi, nel caso di specie, irrilevanti.

Per tale motivo, la Suprema
Corte ha respinto le motivazioni presentate dal ricorrente e confermato l’ammontare
dell’assegno divorzile nei confronti dell’ex moglie.

Potrebbe anche interessarti: “Assegno di mantenimento diminuiti se la moglie sceglie il part-time”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: divorzio, mantenimento, mantenimento coniuge, moglie malata, separazione

E’rimborsabile il mantenimento in eccedenza versato per il figlio minore?

28 Luglio 2022 Da Staff Lascia un commento

E’ rimborsabile il mantenimento in eccedenza versato volontariamente da un padre rispetto a quello dovuto stabilito in sede di separazione? Vista la natura del mantenimento del figlio minorenne, il padre, se lo richiede ha diritto al rimborso dell’eccedenza versata?

Ebbene, per rispondere al superiore quesito bisogna analizzare la natura dell’assegno di mantenimento.

Natura dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento per i figli minorenni ha natura alimentare, ed è principio ormai consolidato, che le somme versate a quel titolo siano irripetibili, impignorabili e non compensabili, perché destinate ad essere spese per soddisfare basilari esigenze di vita del beneficiario.
Peraltro le somme versate a titolo di mantenimento ordinario non possono essere compensate neppure con le spese straordinarie
Per la superiore ragione, pertanto, la somma versate dal padre in eccedenza rispetto al provvedimento di separazione non è rimborsabile e quindi ripetibile avendo, anch’essa, funzione sostanzialmente alimentare. 
Il principio di cui sopra può trovare un’attenuazione solamente nell’ipotesi in cui venga sostanzialmente
meno la  funzione alimentare del contributo. Ciò come nel caso dell’assegno di mantenimento versato al figlio maggiorenne, corrisposto nonostante l’intervenuta indipendenza economica dell’avente diritto. 
In tal caso il genitore obbligato può agire in giudizio esigendo la ripetizione delle somme versate in
eccesso purché, chiaramente, il Giudice accerti, con provvedimento di modifica delle precedenti statuizioni, che il figlio è divenuto economicamente indipendente a partire da un preciso momento storico.
Ma vieppiù.

Richiesta di aumento del mantenimento

Nel caso in  cui il genitore obbligato, per un lungo periodo, versi una somma maggiore a quella dovuta il genitore collocatario potrebbe addirittura chiedere la modifica delle precedenti condizioni economiche. Ed in particolare potrebbe, richiedere l’incremento del contributo al mantenimento per i figli. Ed invero una tale condotta  lascerebbe intendere la capacità economica del genitore di  poter versare di più di quello dovuto.
La condotta paterna, infatti, potrebbe essere considerata rivelatrice di una migliorata condizione economica da parte del coniuge obbligato, ovvero un’inadeguatezza del contributo a suo tempo fissato, rispetto alle esigenze della prole.

Potrebbe anche interessarti “Obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne: quando viene meno?”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: assegno di mantenimento, mantenimento, mantenimento figlio maggiorenne, mantenimento figlio minorenne

Assegno di divorzio: spetta anche in caso di matrimonio non consumato?

18 Febbraio 2022 Da Staff Lascia un commento

Ad avviso della Corte di Cassazione, anche in caso di matrimonio “bianco” è ammissibile il riconoscimento dell’assegno di divorzio. Ciò qualora tra i due ex coniugi sussista un rilevante divario economico. Facendo leva sulla finalità assistenziale che caratterizza tale contributo, la Suprema Corte, con ordinanza n. 21818 del 2021, ha affermato che non rilevano, ai fini della concessione dell’assegno, né la durata né la mancata consumazione del matrimonio. 

Il caso

Un uomo adiva il Tribunale territorialmente competente al fine di chiedere la separazione dalla moglie. Ciò dopo 12 anni di vita insieme a causa del venir meno della comunione spirituale ed attesa l’intollerabilità della convivenza.

La moglie, dal canto suo, si costituiva in giudizio proponendo domanda riconvenzionale volta ad ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio a causa della mancata consumazione dello stesso ai sensi della L. n. 8989 del 1970, art. 3, n. 2, lett. f). 

La moglie chiedeva, inoltre, la corresponsione di un assegno divorzile pari ad € 2500,00 mensili. 

Il Tribunale, preliminarmente, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo poi, pur accogliendole, riduceva le pretese economiche della moglie fissando l’assegno divorzile in € 1250,00 mensili.

L’uomo impugnava la sentenza innanzi alla Corte di Appello la quale rigettava il gravame confermando la sentenza di primo grado.

Avverso tale pronuncia, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione adducendo che la mancata consumazione del matrimonio rappresentasse una condizione tale da non giustificare la corresponsione dell’assegno divorzile. 

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso presentato dall’uomo. Ed in particolare gli ermellini ritenevano che la mancata consumazione del matrimonio non influisca in alcun modo sul riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge. La decisione si fonda sulla natura assistenziale, nonché perequativa- compensativa dell’assegno, in ossequio al rispetto del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost.

Secondo gli Ermellini, infatti, qualora uno dei due coniugi sia economicamente più debole, a quest’ultimo va riconosciuto un assegno. Tale assegno deve far conseguire un livello reddituale che tenga conto del contributo dallo stesso fornito nel corso della vita familiare e delle aspettative professionali che ha sacrificato durante gli anni di matrimonio. 

Funzione dell’assegno di divorzio

Tale sostegno economico non è volto a ricostruire il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio: bensì al riconoscimento del ruolo di coniuge, oltre che del contributo da questo fornito nella formazione del patrimonio familiare e di quello personale dell’ex coniuge.

La Suprema Corte ha, pertanto, precisato come sia necessario tenere conto dell’apporto economico che il coniuge economicamente più debole ha apportato nella crescita familiare, anche economica. Ed in particolare, nel caso concreto si è tenuto conto del contributo dato dalla moglie all’andamento della famiglia mediante lo svolgimento del lavoro di insegnante.

Potrebbe anche interessarti “Indipendenza economica e assegno di divorzio”. Leggi qui. 

 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: assegno divorzile, divorzio, mantenimento, mantenimento moglie, matrimonio non consumato, separazione

Mantenimento per il figlio che lascia il lavoro per studiare

3 Settembre 2021 Da Staff Lascia un commento

Ebbene si, i genitori devono versare il mantenimento per i figli che vogliono riprendere gli studi. A stabilire il superiore principio di diritto è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23318/2021.

Il caso

Il Tribunale obbligava un uomo, in sede di divorzio, a versare alla figlia un assegno mensile di 600 euro. Veniva inoltre obbligato a compartecipare nella misura dei 4/5 alle spese straordinarie per la ragazza.

L’uomo, ritenendo ingiusta la decisione, ricorreva in Appello. La Corte di Appello, tuttavia, precisava che l’obbligo di mantenimento in favore dei figli non viene meno con la maggiore età, ma solo con il raggiungimento della indipendenza economica. In particolare i giudici di secondo grado evidenziavano che la giovane, dopo una breve e poco soddisfacente esperienza lavorativa , aveva deciso d’iscriversi all’Università. Peraltro dall’istruttoria emergeva che la ragazza avrebbe sicuramente terminato proficuamente gli studi.

Pertanto, considerato che le condizioni economiche del padre la somma di € 600,00 a titolo di mantenimento della ragazza doveva essere confermata.

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo, ancora una volta di parere contrario rispetto alla decisione dei giudici di merito, decideva di ricorrere in Cassazione. In particolare, tra i vari motivi a sostegno del ricorso il padre sottolineava che la figlia lavorava in albergo riuscendo a guadagnare mensilmente la somma di € 1200,00. Sottolineava, inoltre, che la figlia disponeva anche di un alloggio.  Secondo il ricorrente, la figlia, anziché lasciare il lavoro per iscriversi all’università, avrebbe dovuto ridurre le ore così da potersi mantenere da sola.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione boccia le doglianze del ricorrente. Gli ermellini sottolineano l’infondatezza del ricorso. Ed in particolare, evidenziano che la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni “non cessa immediatamente ed automaticamente per effetto del raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma perdura finché non venga fornita la prova che quest’ultimo ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.”

Nel caso di specie i giudici di merito, seguendo il sopracitato orientamento, rilevano che la ragazza aveva deciso di riprende gli studi in giovane età (26 anni). La giovane, peraltro, si era sempre impegnata: aveva trovato un’occupazione, ma questa non rispondeva alle sue aspirazioni.

Sotto tale profilo si richiamano i principi del nostro ordinamento in merito. Ed in particolare si richiama l’art. 147 c.c. il quale “impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315bis”.

Pertanto, se da un lato i figli devono impegnarsi negli studi o nel lavoro per rendersi indipendenti, dall’altro è compito dei genitori assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un’occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate.

Potrebbe anche interessarti: “Omesso mantenimento: commette il reato chi non corrisponde il contributo anche se i figli non versano in stato di bisogno”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: divorzio, figlio, mantenimento, mantenimento figli, mantenimento figlio maggiorenne, separazione, studente

Tenore di vita addio

11 Dicembre 2020 Da Staff Lascia un commento

 

La Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema del tenore di vita in materia di assegno di divorzio con l’ordinanza n. 28104 del 9 dicembre 2020.

Gli Ermellini, accogliendo uno dei motivi del ricorso, hanno affermato che i giudici di merito devono attenersi ai principi dettati dalla sentenza n. 18287/2020 che afferma il superamento del tenore di vita come parametro da prendere in considerazione ai fini della determinazione dell’assegno divorzile.

Il caso

Il Tribunale di Treviso prima e la Corte di Appello poi hanno riconosciuto a favore di una moglie, in sede di divorzio, un assegno di divorzio a carico del marito pari ad € 300,00 mensili.

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo ricorre in Cassazione presentando 4 motivi di doglianza:

  • con il primo contesta l’omessa comparazione dei redditi di entrambi i coniugi;
  • con il secondo lamenta la mancata considerazione da parte del giudice di quanto affermato dalla sent. n. 11504/2020, parametrando l’assegno divorzile dovuto alla moglie al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio durato 28 anni e alla disparità economica esistente tra le parti.
  • Con il terzo lamenta come il giudice non abbia preso in considerazione il fatto che il proprio reddito mensile ammonti a € 1430 e che lo stesso è gravato da diverse spese che deve sostenere per motivi di salute;
  • con il quarto infine fa presente che la mancata applicazione da parte del giudice dei principi sanciti dalla Cassazione n. 11504/2020 si fonda su presunzione prive di fondamento logico.
La Corte di Cassazione ritiene fondato il ricorso

La Corte di Cassazione accoglie il terzo motivo del ricorso presentato dall’uomo. Cassa la sentenza di merito e rinvia per un nuovo esame della causa rassegnando i principi da seguire.

Ebbene, gli Ermellini sottolineano che le Sezioni Unite, con sentenza nr. 18287 del 11.07.2018, hanno attribuito una funzione assistenziale, compensativa e perequativa ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno di divorzio. Pertanto,  Il riconoscimento di tale assegno. richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.  Il giudizio, quindi, dovrà avvenire valutando comparativamente le condizioni economico-patrimoniali delle parti. Dovrà, altresì, tenersi in considerazione il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune. Ma non solo. Dovrà, inoltre, tenersi in considerazione il contributo personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del coniugio ed all’età dell’avente diritto.

Erroneo considerare ancora il tenore di vita

Gli Ermellini sottolineano inoltre che l’assegno divorzile, non è finalizzato alla ricostituzione del tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio ma è volto all’individuazione e al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Di conseguenza, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno divorzile, deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l’ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare una esistenza libera e dignitosa ed un’adeguata autosufficienza economica, nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti.

Per cui, conferma la Cassazione, che il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non può più essere preso come riferimento per determinare l’assegno di divorzio.

Peraltro i giudici di legittimità rilevano poi come nel caso di specie la sentenza impugnata non ha indicato neppure la misura del reddito del marito. Ciò dimostra che la situazione economica delle parti non è stata affatto valutata.

Alla luce di quanto sopra gli Ermellini accolgono il ricorso dell’uomo, invitando il giudice del rinvio a tenere conto dei principi enunciati e  dell’importo assai modesto del marito, trascurato dai precedenti giudici di merito.

Potrebbe anche interessarti “L’assegno di mantenimento per il coniuge non ha natura alimentare”. Leggi qui. 

 

 
 

 



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L’assegno di mantenimento per il coniuge non ha natura alimentare

29 Luglio 2020 Da Staff Lascia un commento

“L’assegno di mantenimento a favore del coniuge, trovando fondamento nel diritto all’assistenza materiale derivante dal vincolo coniugale e non nello stato di bisogno, non ha natura alimentare” (Cass. civ., sez. III 26 maggio 2020, n. 9686).

Il caso 

Una donna avviava una procedura di espropriazione immobiliare nei confronti dell’ex marito. In particolare, la predetta lamentava il mancato versamento dell’assegno di mantenimento a proprio favore disposto in sentenza. L’uomo, ricevuta la notifica della procedura di esecuzione, si opponeva all’esecuzione eccependo la compensazione tra il credito della ex moglie ed il proprio derivante dall’adempimento di un mutuo fondiario stipulato da entrambi ma onerato esclusivamente dall’uomo. 

Ebbene, il Tribunale di Palermo accoglieva l’opposizione all’esecuzione e condannava la ex moglie al pagamento della somma eccedente la compensazione. 

La donna, certa della propria pretesa creditoria, ricorreva alla Corte di Appello di Palermo. Anche questa, tuttavia, confermava la sentenza di primo grado.

Sebbene la Corte di Appello condividesse le argomentazioni del giudice di primo grado, la donna, non contenta, ricorreva anche in Cassazione. 

Il motivo principale addotto a sostegno del ricorso riguardava la circostanza che il mantenimento era stato richiesto per la stessa e per i figli. Ciò, a tenore della ricorrente, attribuiva valore alimentare al proprio credito e dunque non poteva operare la compensazione.

La decisione della Corte di Cassazione 

Gli Ermellini, al fine di decidere il caso, affrontano, preliminarmente, la questione della natura giuridica del credito. Nel caso di specie i predetti distinguono la natura dell’assegno di mantenimento a favore dei figli rispetto a quello a favore della moglie. In particolare sottolineano la natura alimentare del primo. Ciò, di conseguenza, preclude la compensazione e la pignorabilità essendo una somma destinata allo stato di bisogno del creditore.

Natura giuridica analoga non ha invece l’assegno di mantenimento per il coniuge. Sottolineano gli ermellini che il credito al mantenimento del coniuge trova fondamento nel diritto all’assistenza materiale derivante dal vincolo coniugale. Da ciò deriva la diversità di regime quanto a pignorabilità e compensabilità.

Sottolineano gli Ermellini, inoltre, che il Giudice dell’esecuzione non avendo potere di modificazione del titolo non può distinguere, con riferimento all’assegno di mantenimento del coniuge, la quota alimentare dalla quota propriamente di mantenimento. 

Peraltro, sottolinea la Corte di Cassazione, l’indivisibilità delle componenti dell’assegno di mantenimento deriva anche dalla tassatività dei casi di impignorabilità e del conseguente divieto di compensazione (art. 1246 n. 3 c.c.).

Conseguentemente, per tutte le ragioni sopra evidenziate, la Corte di Cassazione riteneva infondato il motivo di impugnazione e rigettava il ricorso.

Potrebbe anche interessarti “Niente trattamento di fine rapporto per l’ex non titolare dell’assegno divorzile”. Leggi qui. 

 

 

 

 

 

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Quando i nonni devono versare il mantenimento per il nipote?

22 Luglio 2020 Da Staff Lascia un commento

Quando sorge il dovere dei nonni di versare il mantenimento per il nipote?

È legittimo porre a carico dei nonni una assegno di mantenimento in favore del nipote nel caso in cui i genitori non sono in grado di provvedere da soli.

Con ordinanza del 14 luglio 2020 n. 14951, la Corte di Cassazione conferma quando già deciso dalla Corte d’Appello di Perugia. I giudici di legittimità ribadiscono l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori del minore i mezzi necessari al suo sostentamento contribuendo così al mantenimento ed alle cure necessarie.

Si tratta, tuttavia, di un dovere sussidiario e subordinato a quello primario dei genitori che interviene solo nell’ ipotesi in cui questi non dispongano dei mezzi sufficienti al mantenimento della prole.

Il caso

Una donna adiva il Tribunale di Perugia chiedendo che i nonni del figlio provvedessero in luogo del padre al suo mantenimento. Il Tribunale accoglieva la richiesta della donna ponendo a carico del nonno l’obbligo di versare un assegno mensile pari ad € 130,00 con tale finalità. In ragione della minore età, il provvedimento onerava il nonno al versamento a mani della madre.

Con sentenza n. 312 del 2018, la Corte d’Appello di Perugia confermava il decreto del Tribunale.

Avverso tale decisione, il nonno ricorreva in Cassazione articolando due motivi.

Con il primo, il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 316 bis c.c., in relazione all’ articolo 360, comma 1 n. 3 e 5 c.p.c., in quanto il giudice di appello avrebbe onerato il nonno prescindendo dalla valutazione delle possibilità economiche della madre. La stessa infatti lavorava e conviveva stabilmente presso la casa dei propri genitori.

Inoltre, il soccombente nonno deduceva la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione, ancora una volta, all’articolo 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.. Secondo il ricorrente,  la Corte avrebbe emanato il provvedimento senza tenere conto della disponibilità economica del padre che disponeva di uno stipendio fisso ma che non aveva mai versato il mantenimento dovuto.

I motivi della decisione

Per emettere la sentenza, gli Ermellini riprendono quando già in precedenza sancito nell’ ordinanza n. 10419 del 02.05.2018 nella quale viene espresso il generico dovere dei genitori di mantenere i figli facendo fronte a tutte le loro esigenze. L’articolo 148 c.c. stabilisce il loro obbligo di adempiervi proporzionalmente alle loro condizioni economiche.

Il coinvolgimento dei nonni deve essere pertanto subordinato e sussidiario a quello dei genitori. Per legge, l’obbligo degli ascendenti subentra solo quando i genitori non dispongano dei mezzi necessari a mantenere la prole.

La Cassazione precisa che la decisione presa dalla Corte di Appello è conforme al consolidato orientamento in merito. Nel caso di specie lo stipendio della madre di circa € 1.100,00 mensili è considerato insufficiente per il sostentamento del minore a maggior ragione perché malato e soggetto a terapie riabilitative.

In più, nel giudizio la donna aveva dimostrato l’impossibilità di riscuotere il mantenimento da parte del padre.

Per tali ragioni è ritenuto legittimo disporre il coinvolgimento dei nonni, obbligati a contribuire al mantenimento del minore.

Potrebbe anche interessarti “Famiglia di origine: il minore ha diritto a mantenere con la famiglia di origine rapporti significativi”. Leggi qui. 

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Alla base del successo di ogni azienda vi è la particolare attenzione per gli aspetti legali strettamente correlati al business che se correttamente e tempestivamente curati garantiscono alle imprese una sensibile riduzione del contenzioso.

Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.