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mantenimento moglie

Revoca dell’assegno divorzile se la ex moglie ha capacità lavorativa e sostiene spese voluttuarie

6 Aprile 2023 Da Staff Lascia un commento


Revoca dell’assegno divorzile se la ex moglie ha capacità lavorativa e sostiene spese voluttuarie (Cass. civ., sez. I, ord.,18 gennaio 2023, n. 1482)

Il caso

Il Tribunale di Velletri pronunciando la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi,
poneva a carico dell’uomo l’obbligo di versare alla ex moglie un assegno mensile di € 100 oltre ad € 450
quale contributo al mantenimento del figlio, maggiorenne ma non economicamente autosufficiente.

La donna proponeva appello in quanto gli importi erano ridotti rispetto a quelli stabiliti in sede di separazione. L’ex marito, oltre a resistere in appello, presentava appello incidentale chiedendo la revoca dell’assegno divorzile e quello per il mantenimento del figlio.

La decisione della Corte di Appello

I Giudici di secondo grado, disponendo la revoca dell’assegno, ribaltavano la decisione del giudice di primo grado. Ed in particolare, osservavano che alcun obbligo economico doveva essere previsto a carico del padre poiché il figlio aveva abbandonato l’occupazione offertagli dal predetto e poiché la ex moglie disponeva di redditi e capacità lavorativa.  Per tali ragioni veniva rigettato l’appello principale ed accolto quello incidentale, con conseguente revoca degli obblighi economici previsti in capo all’ex coniuge.

La donna proponeva ricorso per Cassazione

La Suprema Corte, però, dichiarava inammissibile in ricorso confermando così la decisione dei Giudici di merito. 
In particolare,  la donna aveva articolato quattro motivi sostenendo che il Tribunale non aveva valorizzato il suo contributo alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale e al pagamento del relativo mutuo. Per di più la ricorrente lamentava una errata lettura delle risultanze del suo conto corrente e della situazione reddituale dell’ex marito, oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo inerente la richiesta di restituzione di somme dalla stessa elargite.
Gli Ermellini, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, richiamano il principio enunciato dalle Sezioni Unite per cui “il riconoscimento dell’assegno di divorzio (…) richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive” ed occorre una “valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto” (v. Cass. sez. un., n. 18287/2018; in questo senso v. anche Cass. civ., n. 1882/2019; Cass. civ., n. 21228/2019; Cass. civ., n. 5603/2020; Cass. civ., n. 4215/2021; Cass. civ, n. 13724/2021; Cass. civ., n. 11796/2021).
L’assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa e presuppone
l’accertamento di uno “squilibrio effettivo e di non modesta entità” delle condizioni economiche delle parte attrice comunque non è finalizzato alla ricostituzione del “tenore di vita endoconiugale” (v. Cass. civ., n.
21926/2019).

Considerazioni 

Nel caso di specie emerge che la donna al momento della fine del matrimonio aveva una disponibilità economica risultante dal conto corrente che le permetteva di sostenere sia i costi dell’abitazione presa in locazione sia spese voluttuarie, oltre ad avere una propria capacità lavorativa tali da renderla economicamente autonoma.

Peraltro, le censure della ricorrente miravano così ad ottenere un riesame del merito della causa: di qui
l’inammissibilità del ricorso non potendosi “surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata.

Per tali ragioni il ricorso viene dichiarato inammissibile e la donna condannata al pagamento delle spese processuali.

Potrebbe anche interessarti “Convivenza di fatto e perdita dell’assegno: escluso ogni automatismo”. Leggi qui.

 

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Rivalutazione ISTAT dell’assegno di mantenimento, come funziona?

13 Febbraio 2023 Da Staff Lascia un commento

Rivalutazione istat dell’assegno di mantenimento, come funziona?

La legge stabilisce che l’assegno di mantenimento dovuto ai figli e/o al coniuge deve essere rivalutato annualmente secondo gli indici gli Istat.

In cosa consiste la rivalutazione ISTAT?

La rivalutazione istat è un meccanismo di adeguamento automatico e annuale dell’importo mensile dell’assegno all’aumento o diminuzione del costo medio della vita. Lo scopo dell’adeguamento è quello di preservare il potere d’acquisto dall’inevitabile svalutazione monetaria.
Dal punto di vista normativo, occorre compiere una distinzione tra assegno di mantenimento a favore dei
figli e a favore del coniuge, se infatti per il primo l’automatismo della rivalutazione è previsto espressamente, sia in sede di separazione che di divorzio, dall’art. 337-ter del codice civile, per l’assegno
di mantenimento a favore del coniuge è bene evidenziare che sebbene tale automatica rivalutazione sia
disciplinata esclusivamente all’art. 5 comma 7 della L. n. 898/1970, e quindi si riferisca specificatamente
alla procedura di divorzio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la stessa sia applicabile anche in sede di separazione.

Di conseguenza il giudice, sia in sede di divorzio che di separazione, ha il potere-dovere di stabilire in sentenza un criterio di indicizzazione automatica dell’assegno, anche senza specifica domanda delle parti.

Come si calcola l’aumento ISTAT?

Per calcolare annualmente la rivalutazione dell’assegno di mantenimento occorre fare riferimento all’ indice di variazione FOI, ossia l’indice dei prezzi delle famiglie di operai e impiegati, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 81 della L. n. 392/1978, il mese successivo a quello a cui si riferisce.

Conseguentemente per calcolare il relativo aumento, occorrerà applicare all’importo mensile dell’assegno deciso dal giudice, la percentuale dell’indice FOI che si riferisca o al mese indicato nel provvedimento dal giudice nell’anno precedente o, in assenza, al mese della sottoscrizione dell’accordo o deposito del ricorso.

Il nuovo importo rappresenterà la somma sulla quale verrà applicato, l’anno successivo, il nuovo indice FOI per determinare la nuova rivalutazione dell’importo e così via per gli anni successivi.
La rivalutazione dovrà pertanto essere compiuta a partire dalla data indicata nel provvedimento di
separazione o divorzio.

Pertanto, se era stato sancito dal giudice un assegno di mantenimento di € 500,00 a partire dal 10 luglio 2020, questa somma doveva essere rivalutata tenendo conto dell’ultimo FOI disponibile al 10 luglio 2021 ossia dovrà essere calcolata con riferimento al mese di luglio di ogni anno, essendo luglio il mese di decorrenza dell’assegno. 

Potrebbe anche interessarti “Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento deve essere più alto”. Leggi qui. 

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Assegno di divorzio: spetta anche in caso di matrimonio non consumato?

18 Febbraio 2022 Da Staff Lascia un commento

Ad avviso della Corte di Cassazione, anche in caso di matrimonio “bianco” è ammissibile il riconoscimento dell’assegno di divorzio. Ciò qualora tra i due ex coniugi sussista un rilevante divario economico. Facendo leva sulla finalità assistenziale che caratterizza tale contributo, la Suprema Corte, con ordinanza n. 21818 del 2021, ha affermato che non rilevano, ai fini della concessione dell’assegno, né la durata né la mancata consumazione del matrimonio. 

Il caso

Un uomo adiva il Tribunale territorialmente competente al fine di chiedere la separazione dalla moglie. Ciò dopo 12 anni di vita insieme a causa del venir meno della comunione spirituale ed attesa l’intollerabilità della convivenza.

La moglie, dal canto suo, si costituiva in giudizio proponendo domanda riconvenzionale volta ad ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio a causa della mancata consumazione dello stesso ai sensi della L. n. 8989 del 1970, art. 3, n. 2, lett. f). 

La moglie chiedeva, inoltre, la corresponsione di un assegno divorzile pari ad € 2500,00 mensili. 

Il Tribunale, preliminarmente, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo poi, pur accogliendole, riduceva le pretese economiche della moglie fissando l’assegno divorzile in € 1250,00 mensili.

L’uomo impugnava la sentenza innanzi alla Corte di Appello la quale rigettava il gravame confermando la sentenza di primo grado.

Avverso tale pronuncia, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione adducendo che la mancata consumazione del matrimonio rappresentasse una condizione tale da non giustificare la corresponsione dell’assegno divorzile. 

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso presentato dall’uomo. Ed in particolare gli ermellini ritenevano che la mancata consumazione del matrimonio non influisca in alcun modo sul riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge. La decisione si fonda sulla natura assistenziale, nonché perequativa- compensativa dell’assegno, in ossequio al rispetto del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost.

Secondo gli Ermellini, infatti, qualora uno dei due coniugi sia economicamente più debole, a quest’ultimo va riconosciuto un assegno. Tale assegno deve far conseguire un livello reddituale che tenga conto del contributo dallo stesso fornito nel corso della vita familiare e delle aspettative professionali che ha sacrificato durante gli anni di matrimonio. 

Funzione dell’assegno di divorzio

Tale sostegno economico non è volto a ricostruire il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio: bensì al riconoscimento del ruolo di coniuge, oltre che del contributo da questo fornito nella formazione del patrimonio familiare e di quello personale dell’ex coniuge.

La Suprema Corte ha, pertanto, precisato come sia necessario tenere conto dell’apporto economico che il coniuge economicamente più debole ha apportato nella crescita familiare, anche economica. Ed in particolare, nel caso concreto si è tenuto conto del contributo dato dalla moglie all’andamento della famiglia mediante lo svolgimento del lavoro di insegnante.

Potrebbe anche interessarti “Indipendenza economica e assegno di divorzio”. Leggi qui. 

 

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L’assegno di mantenimento per il coniuge non ha natura alimentare

29 Luglio 2020 Da Staff Lascia un commento

“L’assegno di mantenimento a favore del coniuge, trovando fondamento nel diritto all’assistenza materiale derivante dal vincolo coniugale e non nello stato di bisogno, non ha natura alimentare” (Cass. civ., sez. III 26 maggio 2020, n. 9686).

Il caso 

Una donna avviava una procedura di espropriazione immobiliare nei confronti dell’ex marito. In particolare, la predetta lamentava il mancato versamento dell’assegno di mantenimento a proprio favore disposto in sentenza. L’uomo, ricevuta la notifica della procedura di esecuzione, si opponeva all’esecuzione eccependo la compensazione tra il credito della ex moglie ed il proprio derivante dall’adempimento di un mutuo fondiario stipulato da entrambi ma onerato esclusivamente dall’uomo. 

Ebbene, il Tribunale di Palermo accoglieva l’opposizione all’esecuzione e condannava la ex moglie al pagamento della somma eccedente la compensazione. 

La donna, certa della propria pretesa creditoria, ricorreva alla Corte di Appello di Palermo. Anche questa, tuttavia, confermava la sentenza di primo grado.

Sebbene la Corte di Appello condividesse le argomentazioni del giudice di primo grado, la donna, non contenta, ricorreva anche in Cassazione. 

Il motivo principale addotto a sostegno del ricorso riguardava la circostanza che il mantenimento era stato richiesto per la stessa e per i figli. Ciò, a tenore della ricorrente, attribuiva valore alimentare al proprio credito e dunque non poteva operare la compensazione.

La decisione della Corte di Cassazione 

Gli Ermellini, al fine di decidere il caso, affrontano, preliminarmente, la questione della natura giuridica del credito. Nel caso di specie i predetti distinguono la natura dell’assegno di mantenimento a favore dei figli rispetto a quello a favore della moglie. In particolare sottolineano la natura alimentare del primo. Ciò, di conseguenza, preclude la compensazione e la pignorabilità essendo una somma destinata allo stato di bisogno del creditore.

Natura giuridica analoga non ha invece l’assegno di mantenimento per il coniuge. Sottolineano gli ermellini che il credito al mantenimento del coniuge trova fondamento nel diritto all’assistenza materiale derivante dal vincolo coniugale. Da ciò deriva la diversità di regime quanto a pignorabilità e compensabilità.

Sottolineano gli Ermellini, inoltre, che il Giudice dell’esecuzione non avendo potere di modificazione del titolo non può distinguere, con riferimento all’assegno di mantenimento del coniuge, la quota alimentare dalla quota propriamente di mantenimento. 

Peraltro, sottolinea la Corte di Cassazione, l’indivisibilità delle componenti dell’assegno di mantenimento deriva anche dalla tassatività dei casi di impignorabilità e del conseguente divieto di compensazione (art. 1246 n. 3 c.c.).

Conseguentemente, per tutte le ragioni sopra evidenziate, la Corte di Cassazione riteneva infondato il motivo di impugnazione e rigettava il ricorso.

Potrebbe anche interessarti “Niente trattamento di fine rapporto per l’ex non titolare dell’assegno divorzile”. Leggi qui. 

 

 

 

 

 

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Assegno divorzile ridotto per il coniuge in perenne attesa di occupazione

27 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

«La solidarietà post coniugale, presupposto dell’assegno divorzile, si
fonda sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità. Pertanto, l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva tutte le sue potenzialità professionali e reddituali, piuttosto che tenere un comportamento de-responsabilizzante, limitandosi ad aspettare opportunità di lavoro e gravando sul coniuge più abbiente» (Cass. Civ., Ord., 13 febbraio 2020, n. 3661).

Il fatto

A seguito di un giudizio volto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale di Roma riconosceva ad una donna il diritto a percepire dall’ex coniuge un assegno divorzile nella misura di euro 4.000.

Tuttavia, in sede di impugnazione, la donna se ne era vista ridurre l’ammontare.

La Corte d’Appello, pur riconoscendo pienamente il diritto della donna a percepire l’assegno, riteneva di doverlo ridurre. Innanzitutto evidenziava come la situazione del marito fosse mutata a seguito del raggiungimento della pensione. Inoltre, sottolineava che la donna avesse ricevuto dai genitori una cospicua eredità e, fin dai tempi della separazione, non si fosse mai attivata per cercare un’occupazione lavorativa.

La donna ricorreva, dunque, in Cassazione

A parere della ricorrente, i giudici di secondo grado avrebbero errato nel ridurre l’assegno di mantenimento disposto in suo favore sul fondamento di una sua mancata iniziativa nella ricerca di un lavoro. Tale circostanza avrebbe dovuto rilevare soltanto qualora vi fosse stato un concreto rifiuto ad una possibilità di occupazione. Circostanza mai verificatesi.

Inoltre, la Corte non avrebbe correttamente parametrato l’inadeguatezza dei propri mezzi economici al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio.

La donna, altresì, teneva a ribadire quanto la stessa si fosse spesa nel corso della vita matrimoniale per permettere al marito di perseguire i propri obiettivi professionali, facendosi carico della gestione della famiglia. Questo “sacrificio” l’aveva portata ad abbandonare il lavoro presso una casa editrice fin dalla nascita del primo figlio.

Le argomentazioni della Corte e il superamento del criterio del “tenore di vita”

Con l’ordinanza in commento, gli Ermellini sottolineano che i principi di diritto di cui parte ricorrente lamentava la mancata applicazione, ad oggi, devono intendersi superati.

A tal proposito il richiamo alla rivoluzionaria sentenza delle Sezioni Unite, n. 18287/2018, è imprescindibile. Quest’ultima ha riconosciuto all’assegno divorzile, in applicazione del principio di solidarietà post coniugale, una funzione di natura composita: assistenziale, perequativa e compensativa.

Ne discende che oggi l’assegno divorzile non ha lo scopo di consentire all’ex coniuge di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Piuttosto il giudice, nello stabilire la misura deve dell’assegno, deve verificare se lo squilibrio economico tra le parti sia il risultato del contributo fornito dal richiedente alla gestione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno degli ex coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali. Deve altresì tener conto dell’età dello stesso e della durata del matrimonio.

Inoltre, il riconoscimento dell’assegno divorzile richiede anche l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Quindi, ai fini della corresponsione, rileva la capacità dell’ex coniuge di provvedere al proprio sostentamento. Dunque, la Corte chiarisce che l’ex coniuge è tenuto a valorizzare le proprie potenzialità lavorative e professionali. Non è tollerabile la condotta di chi si limiti ad attendere opportunità di lavoro, riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale.

Pertanto…

tornando al caso di specie, alla luce delle argomentazioni esposte, la Suprema Corte di Cassazione rigettava integralmente il ricorso della donna.

La Cassazione con la pronuncia in commento non solo sottolinea il superamento dell’obsoleto criterio del “tenore di vita”, ma muove una forte critica alla condotta “attendista” dell’ex coniuge che, adagiandosi sull’assegno di divorzio, si limiti ad aspettare passivamente eventuali opportunità di lavoro.

Potrebbe anche interessarti “Incremento del reddito: sì alla riduzione dell’assegno di mantenimento”, leggi qui.

 

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