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assegno di divorzio

Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento deve essere più alto

13 Gennaio 2023 Da Staff Lascia un commento

Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento  per la ex moglie deve essere più alto ciò in quanto tale lavoro va qualificato come contributo alla conduzione familiare.

A stabilire il superiore principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24826 del 17 Agosto 2022.

Ed in particolare, gli Ermellini ritengono che occuparsi della casa, consentendo al coniuge di svolgere la sua attività senza altre incombenze, è un lavoro che merita il dovuto riconoscimento al momento della separazione e del divorzio.

Il giudice non può, infatti, stabilire un assegno che sia solo assistenziale, senza considerare il contributo che la donna da alla formazione del patrimonio comune o del marito. Partendo da questo principio la Cassazione con la sentenza sopra richiamata bacchetta la Corte d’appello che aveva avallato il taglio dell’assegno in favore della ex moglie riducendolo da € 600,00 ad € 250,00.

L’iter logico giuridico seguito dai giudici di merito

I giudici di merito, rilevavano che la signora aveva 52 anni, non aveva problemi di salute e, in più abitava in Sardegna, regione turistica nella quale non mancavano occasioni di lavoro. Alla luce di ciò la Corte territoriale riteneva che non sussistessero nel caso di specie i presupposti affinché la donna fosse totalmente mantenuta dal marito, avendo diritto solo ad una somma che l’aiutasse a raggiungere l’indipendenza economica.

Peraltro in sede istruttoria era emerso che il suo impegno, in assenza di figli, durante il non lungo matrimonio, durato 8 anni, era stato speso solo per la casa.

La decisione della Corte di Cassazione

La donna ritenendo illegittimo il provvedimento che riduceva il suo mantenimento adiva la Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, facendo un ragionamento completamente diverso, ribaltava la decisione della Corte di Appello.

Sul piatto della bilancia, i giudici di legittimità mettono la diversa situazione economica della ex coppia. Il marito con uno stipendio di 1.900 euro, proprietario di un immobile e di due case in nuda proprietà. La signora, di contro, non aveva mai lavorato, per espressa volontà del marito, e non possedeva qualifiche o professionalità da spendere nel mondo del lavoro dopo i 50 anni, nonostante la donna fosse iscritta nelle liste di collocamento.

Secondo gli Ermellini, in ogni caso, la Corte di Appello aveva errato nel non considerare un lavoro a tutti gli effetti il lavoro casalingo.

Ed in particolare, la cura della casa e quindi il lavoro casalingo è da considerarsi un contributo alla conduzione familiare che ha, tra l’altro, permesso all’ex marito di dedicarsi alla sua occupazione.

Alla luce di ciò, la Suprema corte ha annullato con rinvio per un nuovo giudizio avanti la Corte di Appello, invitando la predetta  a decidere per un assegno compensativo, che tenga conto del contributo dato dalla ricorrente alla vita familiare.

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Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. art. 5 della legge 898/1970?

13 Dicembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. 5 della l. n. 898/1970?

Ad affrontare tale questione è la Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 26672 del 2022, ricorda che ogni assegno divorzile ha una propria natura e torna a ribadire che il giudice può decidere di valorizzare in misura preponderante, tra i vari criteri legali utilizzabili ai fini della quantificazione dello stesso, quello ritenuto più confacente al caso concreto.

Il caso

A seguito della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale poneva a carico dell’ex marito il pagamento di un assegno divorzile in favore della ex moglie pari ad € 1.300,00 mensili. Tale decisione veniva confermata anche in sede di appello in quanto la Corte di merito, pur riconoscendo che la quantificazione dell’assegno divorzile debba tenere conto dei parametri indicati dall’art. 5 della l. n.
898/1970, riteneva di dover dare rilievo al consistente divario reddituale esistente tra le parti, specie in considerazione della malattia da cui era affetta la donna.

Avverso tale statuizione, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione lamentando che la Corte d’Appello non avrebbe effettuato un adeguato bilanciamento di tutti i parametri indicati dalla suddetta norma giuridica soffermandosi unicamente sulla malattia di cui era affetta la ex moglie e sulla disparità reddituale esistente tra gli ex coniugi.
In particolare, secondo il ricorrente, il tetto massimo della misura dell’assegno divorzile era stato sicuramente superato, in quanto l’importo attribuito a titolo dello stesso andava ad aggiungersi alla pensione percepita dalla ex moglie, nonché al godimento integrale, da parte di quest’ultima, della proprietà della casa familiare, di cui era divenuta titolare esclusiva, a seguito della cessione da parte dell’uomo della quota di sua spettanza in adempimento degli accordi di separazione.

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini si soffermano, quindi, sul seguente quesito giuridico: ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile il giudice deve tenere conto di tutti i parametri di cui alla l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, oppure può attribuire valore solo ad alcuni di essi escludendo, quindi, gli altri?

La Suprema Corte, fin da epoca risalente, ha avuto più volte modo di chiarire che i giudici di merito, nel quantificare l’importo dell’assegno divorzile, non è tenuto a prendere in considerazione tutti i criteri indicati dall’art. 5, l. n. 898/1970, essendo, piuttosto, necessario che lo stesso giustifichi in modo adeguato le sue valutazioni.

Pertanto, deve escludersi la necessità di una puntuale e contemporanea considerazione da parte del giudice di tutti i parametri di riferimento indicati nella legge divorzile.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, il giudice di merito può anche prescindere dal
prendere in considerazione taluni parametri e tale scelta discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità.
Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di appello ha deciso, da un lato, di porre al centro il consistente divario reddituale esistente tra le parti e, dall’altro lato, la particolare situazione di salute in cui versava la ex moglie.
Quest’ultima, infatti, poteva contare come introito sull’esclusivo assegno pensionistico e, data la sua grave invalidità, si trovava, in ogni caso, nella condizione di non avere risorse sufficienti per far fronte alle sue necessità di vita condizionate dalla malattia,

In conclusione, secondo la Cassazione, la Corte di merito ha espresso un giudizio consentito e, poiché adeguatamente motivato, neppure sindacabile in sede di legittimità.

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Convivenza con altro uomo: non viene meno l’assegno di divorzio (Cass. 26628/2021)

22 Ottobre 2021 Da Staff Lascia un commento

 

Convivenza con altro uomo: la Cassazione riconosce l’assegno divorzile anche all’ex coniuge che convive con un’altra persona purché la convivenza non sia caratterizzata da un progetto di vita comune (Cass. civ., Ord. n. 26628 del 2021).

Il caso

Un uomo adiva il Tribunale per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla moglie. Quest’ultima si costituiva in giudizio chiedendo il riconoscimento dell’assegno divorzile. Il Tribunale, accogliendo la richiesta della donna, obbligava il ricorrente a versare alla donna un assegno a titolo di mantenimento della predetta.

L’uomo ricorreva in appello

L’uomo, ritendo ingiusto il provvedimento, ricorreva in Corte di Appello sottolineando l’illegittimità del provvedimento. In particolare la ex moglie aveva intrapreso una stabile relazione e convivenza con altro uomo e pertanto non aveva diritto all’assegno divorzile. Contro tale provvedimento il ricorrente chiedeva quindi la revoca dell’assegno.

La Corte di Appello, tuttavia, accoglieva solo parzialmente le richieste dell’uomo e provvedeva alla riduzione del quantum dovuto in 400 euro, ritenendo che, alla luce della risultanze suddette, fosse eccessiva quella attribuitale dal primo giudice 900 euro. Ciò sulla base del presupposto che la nuova coppia aveva “una limitata condivisione del budget e della vita”.

La Corte di Appello, inoltre,  confermava la spettanza dell’assegno divorzile anche in considerazione dell’incolpevole incapacità lavorativa della donna che, data l’età e l’annosa inesperienza, frutto presuntivo di una scelta coniugale condivisa, le rendeva oggettivamente assai difficile, se non impossibile, il rientro sul mercato del lavoro.

L’uomo ricorreva in Cassazione

La Suprema Corte confermava la decisione adottata dai giudici di merito. Ebbene, gli Ermellini sottolineavano che i giudici territoriali avevano correttamente applicato i principi sanciti dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18278 del 2018.  Si ricorda che tale sentenza prevede “il riconoscimento dell’assegno di divorzio  in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sull’attribuzione che sulla quantificazione dell’assegno“.

Nel caso in esame emergeva che il rapporto di convivenza con l’altro uomo non era caratterizzato da un progetto di vita comune. Tale rapporto è necessario per poter parlare di una vera famiglia di fatto, stante l’assenza di una convivenza stabile e continuativa e la presenza di una “una condivisione limitata del budget e della vita“.

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Niente mantenimento al coniuge che rifiuta lavori umili (Cass. Ord. 5932 del 4 marzo 2021)

23 Giugno 2021 Da Staff Lascia un commento

Con l’ordinanza n. 5932 del 4 marzo 2021, la Corte di Cassazione affronta nuovamente il tema del diritto del coniuge a beneficiare di un assegno di mantenimento. In particolare, gli ermellini affrontano la questione che si prospetta quando la mancanza di redditi del richiedente sia conseguenza:

  • di un rifiuto ad una specifica opportunità lavorativa;
  • della inattività a cercare una occupazione lavorativa che non sia strettamente pertinente al titolo di studio.
Il caso

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Trieste confermava la decisione del Tribunale di primo grado. Poneva quindi  in capo al marito l’obbligo di versare alla moglie un contributo al mantenimento pari ad € 1.000 mensili. Nella motivazione, la Corte territoriale giustificava il rifiuto di un impiego lavorativo perché ritenuto non adeguato al titolo di studio e alle aspirazioni individuali del coniuge richiedente. Affermava quindi che “il profilo individuale…non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate”. Riteneva svilente che una persona laureata potesse essere “condannata al banco di mescita o al badantato”.

L’uomo ricorreva in Cassazione

Tuttavia la Suprema Corte, valutando diversamente gli elementi, accoglieva il ricorso proposto dal marito. Gli ermellini censuravano la decisione dei giudici di Appello, osservando che: “in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare, ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita (…); rileva, ad esempio, la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione”.

I giudici di merito si erano limitati ad affermare il diritto della moglie a non reperire un’attività lavorativa reputata inferiore. Tuttavia non avevano valutato gli impieghi effettivamente reperiti o proposti per poterne fondatamente affermare la reale inadeguatezza e inaccettabilità. Di tal guisa giungevano a confermare il diritto al mantenimento sulla base di rilievi astratti, quali la negazione della dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona.

Iter motivazionale della Corte di Cassazione

Detta conclusione è stata tuttavia ritenuta dagli Ermellini in violazione a quanto sancito dall’art. 156 c.c. ; ed invero, al fine di decidere se riconoscere l’assegno di mantenimento al coniuge, deve procedersi alla valutazione anche delle potenziali capacità di guadagno. Pertanto, bisogna tener conto di ogni fattore individuale e ambientale compresa la possibilità di “acquisire professionalità diverse e ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.”

Il diritto al mantenimento deciso dal giudice dell’impugnazione si basa quindi su rilievi astratti perfino “giungendo a negare dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona“.  I giudici di merito omettono di considerare, quindi, l’effettiva possibilità della donna di procurarsi da sola redditi adeguati; la volontà di attivarsi nella ricerca di un lavoro e le offerte d’impiego effettivamente respinte.

La Corte suprema, pertanto, cassava con rinvio detta decisione, sancendo un importante principio in diritto, che riconosce dignità ad ogni genere di occupazione lavorativa.

Principio di diritto

Ne consegue che ai fini delle statuizioni afferenti all’assegno di mantenimento, il giudice del merito deve accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita. Occorre valutare ogni concreto fattore individuale e ambientale, quali  ad esempio: la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza; la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro; ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.

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Assegno divorzile ridotto per il coniuge in perenne attesa di occupazione

27 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

«La solidarietà post coniugale, presupposto dell’assegno divorzile, si
fonda sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità. Pertanto, l’ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva tutte le sue potenzialità professionali e reddituali, piuttosto che tenere un comportamento de-responsabilizzante, limitandosi ad aspettare opportunità di lavoro e gravando sul coniuge più abbiente» (Cass. Civ., Ord., 13 febbraio 2020, n. 3661).

Il fatto

A seguito di un giudizio volto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale di Roma riconosceva ad una donna il diritto a percepire dall’ex coniuge un assegno divorzile nella misura di euro 4.000.

Tuttavia, in sede di impugnazione, la donna se ne era vista ridurre l’ammontare.

La Corte d’Appello, pur riconoscendo pienamente il diritto della donna a percepire l’assegno, riteneva di doverlo ridurre. Innanzitutto evidenziava come la situazione del marito fosse mutata a seguito del raggiungimento della pensione. Inoltre, sottolineava che la donna avesse ricevuto dai genitori una cospicua eredità e, fin dai tempi della separazione, non si fosse mai attivata per cercare un’occupazione lavorativa.

La donna ricorreva, dunque, in Cassazione

A parere della ricorrente, i giudici di secondo grado avrebbero errato nel ridurre l’assegno di mantenimento disposto in suo favore sul fondamento di una sua mancata iniziativa nella ricerca di un lavoro. Tale circostanza avrebbe dovuto rilevare soltanto qualora vi fosse stato un concreto rifiuto ad una possibilità di occupazione. Circostanza mai verificatesi.

Inoltre, la Corte non avrebbe correttamente parametrato l’inadeguatezza dei propri mezzi economici al tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio.

La donna, altresì, teneva a ribadire quanto la stessa si fosse spesa nel corso della vita matrimoniale per permettere al marito di perseguire i propri obiettivi professionali, facendosi carico della gestione della famiglia. Questo “sacrificio” l’aveva portata ad abbandonare il lavoro presso una casa editrice fin dalla nascita del primo figlio.

Le argomentazioni della Corte e il superamento del criterio del “tenore di vita”

Con l’ordinanza in commento, gli Ermellini sottolineano che i principi di diritto di cui parte ricorrente lamentava la mancata applicazione, ad oggi, devono intendersi superati.

A tal proposito il richiamo alla rivoluzionaria sentenza delle Sezioni Unite, n. 18287/2018, è imprescindibile. Quest’ultima ha riconosciuto all’assegno divorzile, in applicazione del principio di solidarietà post coniugale, una funzione di natura composita: assistenziale, perequativa e compensativa.

Ne discende che oggi l’assegno divorzile non ha lo scopo di consentire all’ex coniuge di mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Piuttosto il giudice, nello stabilire la misura deve dell’assegno, deve verificare se lo squilibrio economico tra le parti sia il risultato del contributo fornito dal richiedente alla gestione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno degli ex coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali. Deve altresì tener conto dell’età dello stesso e della durata del matrimonio.

Inoltre, il riconoscimento dell’assegno divorzile richiede anche l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Quindi, ai fini della corresponsione, rileva la capacità dell’ex coniuge di provvedere al proprio sostentamento. Dunque, la Corte chiarisce che l’ex coniuge è tenuto a valorizzare le proprie potenzialità lavorative e professionali. Non è tollerabile la condotta di chi si limiti ad attendere opportunità di lavoro, riversando sul coniuge più abbiente l’esito della fine della vita matrimoniale.

Pertanto…

tornando al caso di specie, alla luce delle argomentazioni esposte, la Suprema Corte di Cassazione rigettava integralmente il ricorso della donna.

La Cassazione con la pronuncia in commento non solo sottolinea il superamento dell’obsoleto criterio del “tenore di vita”, ma muove una forte critica alla condotta “attendista” dell’ex coniuge che, adagiandosi sull’assegno di divorzio, si limiti ad aspettare passivamente eventuali opportunità di lavoro.

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La casalinga ha diritto al mantenimento se ha contribuito alla carriera del marito

16 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

La donna casalinga, che dedicandosi prevalentemente alla famiglia ha contribuito alla carriera del marito, ha diritto ad un congruo assegno di divorzio da commisurarsi in base all’età, ai sacrifici e alla durata del matrimonio (Cass. civ., sez. I del 09 marzo 2020 n. 6519).

Il fatto

In sede di divorzio una donna  chiedeva che il marito fosse obbligato a versarle un congruo assegno. A fondamento della richiesta la donna poneva il fatto che il matrimonio era durato a lungo. Ma non solo,  la donna aveva dedicato molto tempo alla famiglia e aveva incrementato il patrimonio familiare con il lavoro da casalinga. A tale richiesta di opponeva il marito. 

Il Giudice di prime cure accoglieva la richiesta della donna e stabiliva a favore della stessa un congruo assegno di mantenimento.

Avverso la sentenza l’uomo proponeva impugnazione

Effettivamente la Corte d’Appello adita accoglieva parzialmente la domanda dell’uomo riducendo l’assegno. Nello specifico la Corte rideterminava  in 1.600.00 euro mensili l’assegno di divorzio a favore della donna. Nel prendere questa decisione la Corte sottolineava che la richiedente era rimasta sposata a lungo, aveva dedicato molto tempo alla famiglia e al partner e aveva, altresì, incrementato le risorse economiche familiari con il proprio lavoro da casalinga e fuori. Peraltro era emerso che la donna viveva in affitto ed era la parte debole del rapporto perché non disponeva di risorse proprie da lavoro. L’unica liquidità di cui la stessa poteva godere era quella derivante dalla vendita degli immobili paterni divisi con la sorella. Corretto quindi ridurre l’assegno alla moglie, ma non nella misura indicata dal marito. Inoltre dato importante era l’età. A causa di questa, la donna difficilmente poteva reperire un lavoro.

L’uomo ricorreva in Cassazione ritenendo ancora eccessiva la somma di € 1.600,00

Il marito ricorreva in Cassazione  lamentando: 1)la mancata produzione in giudizio da parte della moglie delle dichiarazioni di successione dei genitori; 2) che la Corte non aveva preso in considerazione che la ex moglie avrebbe potuto andare a vivere nella casa paterna; 3) l’omesso esame dell’accordo secondo cui l’onere dell’affitto sarebbe gravato sul marito sino a quando la moglie non avesse acquistato la libera disponibilità gratuita di un immobile e comunque una volta sopravvenuta la morte del padre; 4) la ritenuta non redditività del cespite ereditato dalla ex moglie, stante l’assenza di prove al riguardo; 5) l’esiguo giudizio della Corte sulla capacità effettiva della donna di produrre reddito, stante la mancata produzione di prove sulle iniziative della stessa per raggiungere l’indipendenza economica, 6) l’omesso esame della circostanza che la figlia aveva deciso di vivere con il padre; 7) l’eccessività dell’assegno; 8) la violazione dei dettami stabiliti dalla sent. 11504/2017.

La decisione della Corte di Cassazione

La Cassazione con la sentenza n. 6519/2020 rigettava il ricorso dell’uomo. Riteneva inammissibili  le prime sei doglianze perché  volte ad ottenere un giudizio di merito.

Relativamente agli ultimi due motivi del ricorso, in cui il ricorrente lamentava la violazione dai parametri sanciti dalla sentenza n. 11504/2017, che ha abbandonato il tenore di vita nella determinazione dell’assegno di divorzio, la Cassazione rilevava che la successiva sentenza n. 18287/2018 dà una diversa lettura all’assegno di divorzio più coerente con il quadro costituzionale. Ed è a questa che la sentenza in commento si rifà per la decisione.

Motivazione della Corte di Cassazione

In particolare gli Ermellini sottolineavano la funzione perequativa-compensativa dell’assegno di divorzio. Tale funzione discende dal principio di solidarietà. In virtù di tale richiamo nella determinazione dell’assegno si deve tenere conto delle condizioni reddituali e patrimoniali di entrambi i coniugi. Nonché calcolare il contributo fornito alla realizzazione della vita familiare, l’età del richiedente e la durata del matrimonio.

Alla luce di tale principi gli Ermellini sottolineavano la correttezza della decisione della Corte di Appello. Tale indirizzo  evita di punire il coniuge più debole economicamente. Colui che è stato sposato per lungo tempo che ha dedicato il proprio tempo alla famiglia, come la casalinga, contribuendo così ad aumentandone le risorse economiche comuni.

Per tali ragioni il ricorso dell’uomo veniva rigettato.

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Assegno di divorzio più alto se il coniuge rinuncia agli studi per la prole

10 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

L’assegno di divorzio per la moglie è più alto se l’ex coniuge è obbligata a rinunciare a studiare per stare con i figli (Cass. civ. n. 31359/2019).

Il caso

Una donna ricorre in Cassazione lamentando la mancata valutazione, da parte della Corte di Appello, della diversa situazione economica delle parti. Ma soprattutto che la stessa abbia dovuto rinunciare agli studi universitari per occuparsi della figlia minore.

In particolare la Corte di Appello ha stabilito in € 1000,00 la somma che l’uomo deve versare alla donna a titolo di assegno di divorzio. A fronte di tale mantenimento la donna ricorre in Cassazione non ritenendo equo l’ammontare stabilito dalla Corte di merito. 

A riguardo sono 5 i motivi fondanti il ricorso in Cassazione proposto dalla donna: 1) violazione dell’art. 5 della legge 898/1970 per non aver tenuto conto la Corte della disparità economica tra le parti e per non aver tenuto in debita considerazione l’avere rinunciato agli studi per la figlia. 2) Mancato esame delle diverse situazioni economiche delle parti. 3) Violazione degli artt. 2909 c.c., 112 e 329 c.p.c. per essere stato l’assegno di divorzio oggetto di accertamento, senza che vi fosse stata contestazione del marito. 4) Mancata valutazione del tenore di vita condotto durante il matrimonio. 5) Violazione degli artt. 2909 c.c., 112 e 329 c.p.c. per essere stata fissata la decorrenza dell’assegno dallo scioglimento del matrimonio.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso

Gli ermellini accolgono i primi due motivi del ricorso. Gli altri motivi vengono assorbiti nei primi e rinviano, nuovamente, alla Corte di Appello. Ebbene, quest’ultima dovrà provvedere all’accertamento omesso e comparare i redditi dei due ex coniugi.

Nello specifico la Corte di Cassazione ha ravvisato che il giudice di merito non ha accuratamente  esaminato le rispettive situazioni economiche delle parti. Conseguentemente ha violato un importante principio sancito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/2018. Tale sentenza, si ricorda, riconosce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale e perequativa. Pertanto relativamente alla richiesta di assegno di divorzio “il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti;  in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e dell’età dell’avente diritto”.

Ad ogni modo, quindi, sono numerose le variabili che il giudice adito deve valutare. Innanzitutto deve verificare se sussistono le condizioni affinché il coniuge più debole possa beneficiare dell’assegno. Fatto ciò, comparando le situazioni economiche e valutando tutti gli altri parametri sopra indicati, dovrà quantificare l’assegno. 

Come si quantifica l’assegno di divorzio

Ebbene, a volte, la quantificazione non è affatto semplice. Infatti il giudice deve valutare attentamente non solo la situazione economica di entrambi. Ma anche l’apporto dato alla famiglia e i sacrifici fatti per la stessa. Nel caso de quo la Corte di Appello dovrà valutare le rinunce che la ex moglie ha fatto e deve fare per poter mantenere la figlia minore. In questo caso la donna ha dovuto rinunciare a laurearsi.  Sacrificio che,probabilmente, non sarebbe stato necessario qualora il matrimonio non fosse naufragato. Pertanto alla donna spetterà un giusto ristoro, in termini di assegno di divorzio, commisurato con la decisione assunta.

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Assegno divorzile in forma ridotta per la ex che non ha contribuito alla ricchezza familiare

22 Ottobre 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’assegno divorzile, in forza della recente sentenza a Sezioni Unite 18287/2017, assolve a diverse funzioni. Quella assistenziale e quella compensativa e perequativa. E in base a queste funzioni deve essere calcolato. Ma se la ex non ha partecipato, durante il matrimonio, alla formazione della ricchezza familiare, l’assegno avrà funzione solamente assistenziale. Ed il suo ammontare dovrà corrispondere ad una somma “ridotta”, tale da assicurare all’ex un’esistenza dignitosa, e nulla di più. 

Il fatto

Facciamo una premessa doverosa. La situazione economica della coppia in questione è in qualche modo “stra-ordinaria”. 

Tizio e Caia durante il loro matrimonio hanno vissuto una vita agiata. E questo per merito delle risorse economiche dell’uomo e della sua famiglia d’origine. Caia, grazie a ciò, si è potuta dedicare al figlio e alla sua attività di antiquaria. E Tizio, durante il matrimonio, ha anche intestato alla moglie svariate proprietà immobiliari.

Il matrimonio, dopo circa 13 anni, però è naufragato. In sede di separazione il Tribunale di Torino prima, e la Corte d’Appello poi, hanno riconosciuto in favore della donna un assegno di mantenimento pari ad € 1.400. 

Trascorso il tempo previsto dalla legge, l’uomo ha proposto ricorso per ottenere il divorzio, con richiesta di revoca dell’assegno divorzile in favore della moglie. Caia, di contro, ha insistito per vedersi  riconosciuto l’assegno, nella misura ritenuta di giustizia.

Il Tribunale di Torino, in corso di causa, ha quindi provveduto ad una valutazione della situazione patrimoniale ed economica dei coniugi.

Al momento della separazione la donna aveva un patrimonio mobiliare ed immobiliare di circa 1 milione di euro, a fronte di quello del marito, pari a 7 milioni di euro. Caia poi percepiva ogni mese dal marito 1000 euro netti a titolo di mantenimento. Tizio invece aveva un introito mensile di circa 4.500 euro, frutto dei suoi investimenti mobiliari e immobiliari. L’uomo in effetti non svolgeva alcuna attività lavorativa.

Durante il giudizio Tizio non è riuscito a provare che la donna svolgeva in nero la sua attività di antiquaria, e che dunque avesse un introito. Ugualmente Caia non ha potuto provare che investimenti  sbagliati avevano depauperato il suo patrimonio.

Il problema giuridico

Ci troviamo di fronte a due persone con altrettanti patrimoni sicuramente consistenti ma non paritetici. Aggiungiamoci poi che Caia, durante il matrimonio, non ha contribuito all’incremento del patrimonio familiare. Considerato tutto questo il problema è: spetta a Caia un assegno divorzile? E se si, che funzione deve avere questo assegno? Assistenziale e compensativa? O solo assistenziale?

La funzione assistenziale e quella compensativa

E’ appena il caso di ricordare che la funzione assistenziale dell’assegno è legata alla capacità di assicurare un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza del coniuge richiedente. La funzione compensativa invece consiste nell’adeguare l’assegno divorzile anche al contributo che il coniuge richiedente ha apportato alla ricchezza familiare durante il matrimonio. 

Al riguardo vi consigliamo la lettura dell’articolo “Sulla funzione assistenziale, compensativa e perequativa dell’assegno di mantenimento. Leggi qui

La decisione del Tribunale di Torino

Il Tribunale ha riconosciuto, da un lato, la disparità patrimoniale dei due coniugi. Ma dall’altro lato ha anche appurato il contributo pressoché nullo da parte della moglie alla formazione del patrimonio familiare. Patrimonio familiare di cui si sarebbe comunque avvantaggiata per mezzo delle intestazione di beni immobili e mobili. Ciò dunque escluderebbe l’applicabilità del criterio compensativo e perequativo dell’assegno di divorzio.

Sulla base di tutte queste valutazioni il Tribunale ha stabilito che alla donna spettasse un assegno divorzile, che però assolvesse alla sola funzione assistenziale.  E ha ritenuto di ridurne l’ammontare a 1200 euro. Somma sufficiente ad assicurare alla donna una vita dignitosa.

Ti potrebbe interessare anche il nostro approfondimento “Aspettando Godot: l’attesa è finita, l’assegno di divorzio ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa. (S.U. 18287/2018)”. Leggi qui

 

 

 

 

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