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mantenimento figlio

Rimborso secondo equità delle spese sostenute da un solo genitore per il mantenimento del figlio

23 Giugno 2022 Da Staff Lascia un commento

 

Rimborso secondo equità delle spese sostenute da un solo genitore per il mantenimento del figlio, «il giudice di merito, ove l’importo non sia altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, legittimamente provvede, per le somme dovute dalla nascita fino alla pronuncia, secondo equità […]» Cass. civ. ord. 13 giugno 2022 n. 19009.

Il caso

Un uomo veniva condannato dal Tribunale al rimborso delle spese di mantenimento in favore della
figlia. 

Tale decisione veniva confermata in grado di appello. L’uomo, però, non ritenendo giusta la stessa ricorreva in Cassazione contestando la decisione del giudice che aveva liquidato, in via equitativa, la
prestazione oggetto del rimborso, senza che la madre avesse fornito la prova degli esborsi sostenuti.

La decisione della Corte di Cassazione

Gli Ermellini ritengono però infondata la doglianza del padre.
Ed invero, affermano i giudici di legittimità che «in materia di filiazione naturale, il diritto al rimborso delle spese a favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin dalla nascita, ancorché trovi titolo nell’obbligazione legale di mantenimento imputabile anche all’altro genitore, ha natura in senso lato indennitaria, in quanto diretto ad indennizzare il genitore, che ha riconosciuto il figlio, degli esborsi sostenuti da solo per il mantenimento della prole. Ne consegue che il giudice di merito, ove l’importo non sia altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare, legittimamente provvede, per le somme dovute dalla nascita fino alla pronuncia, secondo equità trattandosi di criterio di valutazione del pregiudizio di portata generale» (Cass n. 16657/2014).
Peraltro la Corte di Cassazione sottolinea che l’obbligo di mantenere il figlio decorre dalla nascita dello stesso. Conseguentemente, il genitore, in virtù dell’acquisizione di tale status è obbligato a corrispondere nei confronti dell’altro, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere esclusivo del mantenimento del minore anche per la porzione di pertinenza dell’altro genitore, la propria quota. Ciò sulla scorta delle regole dettate dagli artt. 148 e 261 c.c. da interpretarsi però alla luce del regime delle obbligazioni solidali stabilito nell’art. 1299 c.c.
Pertanto, il “quantum” dovuto in restituzione nel periodo di mantenimento esclusivo potrà essere determinato esclusivamente  facendo riferimento alle risultanze processuali,  ed in particolare agli asborsi presumibilmente sostenuti in concreto dal genitore.
Sicché qualora non fosse possibile determinare l’esatto ammontare dell’importo dovuto, il giudice potrà applicare il criterio equitativo.

Per tali ragioni La Suprema Corte, ritenendo conforme ai principi dalla stessa elaborati la decisione dei giudici di merito, rigetta il ricorso del padre.

 

Potrebbe anche interessarti: “Obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne: quando viene meno?”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: figlio naturale, mantenimento figlio, obbligo del genitore, riconoscimento del figlio, rimborso spese

Figli nati da genitori non coniugati: validi gli accordi sul mantenimento solo se rispondono all’interesse della prole

18 Maggio 2022 Da Staff Lascia un commento

Figli nati da genitori non coniugati: valido l’accordo sul mantenimento solo se risponde all’interesse della prole. 

I genitori non coniugati, alla cessazione della convivenza, possono raggiungere un accordo circa il mantenimento dei figli. Tale pattuizione è valida anche in assenza di un previo controllo giudiziale. Si tratta di un negozio espressione dell’autonomia privata che, tuttavia, trova un limite invalicabile nella effettiva corrispondenza delle pattuizioni nell’interesse morale e materiale dei figli.

Il giudice eventualmente adito dalle parti può, quindi, integrare o modificare l’accordo. Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza dell’11 gennaio 2022 n. 663. 

Il caso

Dopo aver cessato la convivenza more uxorio, le parti concludevano un accordo avente ad oggetto il mantenimento del figlio minore nato dalla loro relazione. In forza del predetto, il padre trasferiva la proprietà di un immobile al figlio ottenendo in cambio l’esonero dagli obblighi di contribuzione, fatta eccezione per le spese scolastiche e di abbigliamento.

La madre, però, successivamente agiva in giudizio contro l’ex convivente per ottenere la condanna del padre a corrisponderle un contributo mensile a titolo di mantenimento del minore. 

Il giudice, preso atto dell’accordo stipulato tra le parti, dichiarava inammissibile la richiesta della madre, precisando che il padre si sarebbe dovuto limitare a contribuire alle spese straordinarie sostenute nell’interesse del figlio nella misura del 50%

La donna ricorreva in appello 

In sede di gravame, però, la Corte d’Appello accoglieva il reclamo della madre e stabiliva un contributo al mantenimento a carico del padre nella misura di € 250,00 mensili. Ciò in quanto, secondo il giudice di merito, l’accordo negoziale tra le parti era da considerarsi inefficace a causa di un controllo giudiziario dello stesso. Ed inoltre, il trasferimento di proprietà effettuato dal padre risultava insufficiente al soddisfacimento delle esigenze del figlio, ormai divenuto adolescente. 

Si giunge così in Cassazione.

La decisione della Suprema Corte 

Gli ermellini rigettavano il ricorso presentato dal padre avverso il provvedimento di secondo grado. La Suprema Corte stabiliva che, in tema di mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio, anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori è valido ed efficace poiché espressione dell’autonomia privata.

Secondo gli ermellini, però, l’autonomia contrattuale delle parti assolve all’unico obiettivo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione dovuta per legge. Trattasi, cioè, dell’obbligo posto in capo a entrambi i genitori di rispettare i doveri sanciti dall’art. 147 c.c. nei confronti dei figli.

E’ per tale ragione che l’autonomia negoziale dei genitori incontra un limite nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni contenute nell’accordo all’interesse morale e materiale della prole. 

Il giudice non è vincolato dalle richieste o dagli accordi tra i genitori

Per la Suprema Corte, il giudice è libero di adottare tutti quei provvedimenti che reputa più idonei alla tutela dell’interesse della prole ai sensi dell’art. 337 ter c.c.

Da ciò discende che il giudice non è in alcun modo vincolato alle richieste avanzate dai genitori o agli accordi sottoscritti tra gli stessi. Per tale motivo, l’esistenza di un accordo negoziale tra i genitori non è impeditiva di una diversa regolamentazione qualora il giudice la ritenga corrispondente all’interesse del minore. 

Potrebbe anche interessarti: “L’affidamento condiviso non presuppone la frequentazione paritaria”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: accordi tra conviventi, convivenza, divorzio, figlio minore, mantenimento figlio, separazione

Condannato il padre che non prova la impossibilità ad adempiere

8 Ottobre 2021 Da Staff Lascia un commento

Condannato il padre che non prova la sua impossibilità economica a provvedere al versamento del mantenimento per il figlio.

La Cassazione, con la recente sentenza n. 33932 del 2021, afferma la responsabilità penale del padre che dopo la separazione non provvede al mantenimento del figlio. Per gli Ermellini, ai fini della esclusione della condanna, non rileva la situazione di difficoltà economica, necessitando una prova più rigorosa: ossia l’impossidenza o una condizione di precarietà.

Il caso

Un uomo veniva condannato in sede penale alla pena di mesi 4 di reclusione e alla multa di € 400,00 per il reato di cui all’art 570 comma 2, n. 2 c.p. Tale norma punisce chi viola gli obblighi di assistenza familiare. Nel caso di specie, in sede dibattimentale, emergeva che l’imputato non aveva versato l’assegno di mantenimento  per del figlio disposto in sede di separazione. La condanna veniva confermata anche in appello.

L’uomo ricorreva in Cassazione

L’imputato, ritenendo errata la decisione, ricorreva in Cassazione sollevando tre motivi di impugnazione:

  • con il primo rilevava l’insussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato. In particolare lamentava che i giudici di merito non avevano effettivamente appurato se al minore fossero realmente mancati i mezzi di sussistenza.

  • Con il secondo lamentava il mancato accertamento delle sue condizioni economiche.

  • Con il terzo invece rilevava che le sue condizioni economiche rendevano di fatto impossibile adempiere e pertanto aveva errato a subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento del risarcimento del danno in favore della parte civile.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte di Cassazione adita rigettava però il ricorso dell’imputato per genericità e infondatezza.

Per gli Ermellini, infatti, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, il reato contestato era integrato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi. Dalle dichiarazioni testimoniali emergeva che durante il coniugio l’imputato provvedeva  alla famigli sospendendo i versamenti solo successivamente alla separazione.

Peraltro, gli Ermellini  sottolineavano che nella minore età del minore è insito lo stato di bisogno, non essendo capace un bambino di provvedere  provvedere autonomamente alle proprie necessità. Infine, l’imputato non aveva dimostrato la sua impossibilità di pagare il mantenimento del figlio. Le dichiarazioni erano rimaste mere affermazioni labiali prive di riscontri probatori.

Per le superiori ragioni pertanto la Suprema Corte rigettava il ricorso e la sentenza diventava definitiva. Potrebbe anche interessarti: “Mantenimento per il figlio che lascia il lavoro per studiare”. Leggi qui. 

 

 





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Figlio maggiorenne: azioni a tutela

13 Luglio 2021 Da Staff Lascia un commento

Figlio maggiorenne: quali sono le azioni previste dal nostro ordinamento a tutela del figlio maggiorenne? Quali sono i doveri genitoriali che permangono subentrata la maggiore età del figlio?

Innanzitutto, sebbene il figlio sia diventato maggiorenne sicuramente permane in capo ai genitori l’obbligo di mantenimento, finché il giovane non abbia raggiunto la propria indipendenza economica. Ciò è previsto dall’art. 337septies c.c., introdotto dalla riforma della filiazione contenuta nel d.lgs. 154/2013.
Il dovere di contribuire al mantenimento del figlio deriva anche dal dovere di solidarietà e di assistenza morale che lega ogni componente della famiglia, che ha diritto all’unità ed alla serenità familiare (art. 8 CEDU e art. 315-bis c.c.).
Dopo il compimento della maggiore età il figlio diviene soggetto titolare della capacità di agire e l’art. 337septies c.c. dispone che, laddove, per causa a lui non imputabile, costui non sia ancora in grado di mantenersi, il genitore, od entrambi, provvedano a versare lui un assegno, per far fronte ai suoi bisogni esistenziali.

Quando cessa l’obbligo di mantenere il figlio maggiorenne?

Non esiste una norma che stabilisce un’età specifica raggiunta la quale viene meno l’obbligo di mantenimento della prole. Tale momento, pertanto, è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale. Ed in particolare la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che, una volta intervenuta l’autosufficienza economica, il figlio perda il diritto di esigere il mantenimento. Il figlio raggiunta l’indipendenza economica perde anche il c.d. mantenimento di ritorno. Pertanto anche in caso di futura perdita dell’occupazione o di rientro a casa dai genitori viene meno il diritto di
essere da quest’ultimi mantenuto. Restano fermi in ogni caso gli obblighi alimentari dei genitori nei confronti del figlio nel caso in cui questi versi in stato di bisogno.

Ricorso ex art. 337septies c.c.

Dunque, alla luce di quando sopra, il figlio maggiorenne non autosufficiente ha diritto di azionare autonomamente un ricorso ex art. 337septies c.c. nei confronti di entrambi i genitori per ottenere da questi il mantenimento. Ciò in quanto i genitori sono gravati solidalmente dall’obbligo di mantenerlo.
È bene precisare però che, in punto accertamento della non autosufficienza economica da parte del
figlio, la recente giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 17813/2020, ha affermato essere in capo al richiedente l’onere di dimostrare:

– di non aver raggiunto l’indipendenza economica;

– di avere tentato di trovare, con ogni possibile impegno, un’occupazione. 

Altre azioni a tutela del figlio maggiorenne

Il figlio maggiorenne, per consolidata giurisprudenza, ha legittimazione ad agire iure proprio in ordine al recupero delle somme impagate dal genitore obbligato in sede di separazione dei genitori. Ciò per il periodo
successivo al raggiungimento della sua maggiore età.
Per gli importi pregressi, invece,  quando invero il ragazzo era ancora minorenne, la titolarità dell’azione spetta solo al genitore.  

I genitori possono cacciare via da casa il figlio maggiorenne?

Raggiunta la maggiore età, il figlio non rimane più vincolato al dovere di convivenza con i genitori. Questi d’altro canto non sono tenuti ad ospitare il figlio nella propria casa per sempre.  I genitori, tuttavia, mantengono un dovere di solidarietà ed assistenza morale nei confronti dei figli. Ciò a prescindere dalla loro età anagrafica. Pertanto una convivenza interrotta bruscamente, potrebbe essere qualificata  come illecito endofamiliare, risarcibile in via equitativa.

Potrebbe anche interessarti “Figlio laureato? niente mantenimento”. Leggi qui. 

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Figlio laureato? niente mantenimento

7 Gennaio 2021 Da Staff Lascia un commento

Al figlio laureato che non prova di essersi attivato per cercare un lavoro, ridimensionando le sue aspirazioni, non spetta il mantenimento. Tale principio, affermato con l’ordinanza n. 17183 del 2020, è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29779 del 2020. 

Il caso 

Una donna decideva di divorziare dal marito. In giudizio la corte di Appello, riformando la sentenza di primo grado, poneva a carico del marito l’obbligo di contribuire al mantenimento di uno solo dei due figli. Veniva pertanto revocato l’assegno disposto dal Tribunale a favore del figlio laureato.

Sicché la donna, insoddisfatta della pronuncia, ricorreva in Cassazione sollevando due doglianze:

1- con il primo motivo lamentava che il giudice territoriale non aveva correttamente valutato la situazione economica delle parti. Ed in particolare aveva considerato autonomo il figlio maggiore solo in ragione dell’età.

2-con il secondo motivo, lamentava l’omessa valutazione di tutte le circostanze dedotte nel ricorso introduttivo che se correttamente valutate avrebbero dovuto condurre la Corte a un diverso giudizio.

Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso della donna con l’ordinanza n. 29779 del 2020. Gli Ermellini condividendo in pieno le argomentazioni dei giudici di merito ritenevano non sussistenti i requisiti per il riconoscimento del contributo al mantenimento del figlio maggiore.

Più dettagliatamente, in corso di causa  non era emerso che il figlio laureato, ormai ventisettenne si fosse adoperato per cercare un lavoro confacente ai propri studi.

Uniformemente al principio sancito con l’ordinanza  17183 del 2020, la Corte di Cassazione affermava che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento ex art. 337 septies cod. civ. a carico dei genitori soltanto se “ultimato il percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni”.

Ebbene, il nuovo orientamento affermatosi in giurisprudenza  sostiene che Il giudice non deve disporre l’assegno di mantenimento a favore del maggiorenne sul solo presupposto che manchi la sua indipendenza economica. Viene meno qualsiasi automatismo tra diritto al mantenimento e stato di inoccupazione o disoccupazione. 

E’ il figlio che dovrà provare, una volta maggiorenne, di non avere ancora raggiunto l’autosufficienza economica per ragioni giustificate e allo stesso non addebitabili. Spetterà a lui dimostrare di essere ancora impegnato con profitto in un corso di studi o di essersi attivato per trovare un lavoro.

Potrebbe anche interessarti “Mantenimento figlio maggiorenne, quando cessa?”. Leggi qui. 

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L’assegno di mantenimento per il coniuge non ha natura alimentare

29 Luglio 2020 Da Staff Lascia un commento

“L’assegno di mantenimento a favore del coniuge, trovando fondamento nel diritto all’assistenza materiale derivante dal vincolo coniugale e non nello stato di bisogno, non ha natura alimentare” (Cass. civ., sez. III 26 maggio 2020, n. 9686).

Il caso 

Una donna avviava una procedura di espropriazione immobiliare nei confronti dell’ex marito. In particolare, la predetta lamentava il mancato versamento dell’assegno di mantenimento a proprio favore disposto in sentenza. L’uomo, ricevuta la notifica della procedura di esecuzione, si opponeva all’esecuzione eccependo la compensazione tra il credito della ex moglie ed il proprio derivante dall’adempimento di un mutuo fondiario stipulato da entrambi ma onerato esclusivamente dall’uomo. 

Ebbene, il Tribunale di Palermo accoglieva l’opposizione all’esecuzione e condannava la ex moglie al pagamento della somma eccedente la compensazione. 

La donna, certa della propria pretesa creditoria, ricorreva alla Corte di Appello di Palermo. Anche questa, tuttavia, confermava la sentenza di primo grado.

Sebbene la Corte di Appello condividesse le argomentazioni del giudice di primo grado, la donna, non contenta, ricorreva anche in Cassazione. 

Il motivo principale addotto a sostegno del ricorso riguardava la circostanza che il mantenimento era stato richiesto per la stessa e per i figli. Ciò, a tenore della ricorrente, attribuiva valore alimentare al proprio credito e dunque non poteva operare la compensazione.

La decisione della Corte di Cassazione 

Gli Ermellini, al fine di decidere il caso, affrontano, preliminarmente, la questione della natura giuridica del credito. Nel caso di specie i predetti distinguono la natura dell’assegno di mantenimento a favore dei figli rispetto a quello a favore della moglie. In particolare sottolineano la natura alimentare del primo. Ciò, di conseguenza, preclude la compensazione e la pignorabilità essendo una somma destinata allo stato di bisogno del creditore.

Natura giuridica analoga non ha invece l’assegno di mantenimento per il coniuge. Sottolineano gli ermellini che il credito al mantenimento del coniuge trova fondamento nel diritto all’assistenza materiale derivante dal vincolo coniugale. Da ciò deriva la diversità di regime quanto a pignorabilità e compensabilità.

Sottolineano gli Ermellini, inoltre, che il Giudice dell’esecuzione non avendo potere di modificazione del titolo non può distinguere, con riferimento all’assegno di mantenimento del coniuge, la quota alimentare dalla quota propriamente di mantenimento. 

Peraltro, sottolinea la Corte di Cassazione, l’indivisibilità delle componenti dell’assegno di mantenimento deriva anche dalla tassatività dei casi di impignorabilità e del conseguente divieto di compensazione (art. 1246 n. 3 c.c.).

Conseguentemente, per tutte le ragioni sopra evidenziate, la Corte di Cassazione riteneva infondato il motivo di impugnazione e rigettava il ricorso.

Potrebbe anche interessarti “Niente trattamento di fine rapporto per l’ex non titolare dell’assegno divorzile”. Leggi qui. 

 

 

 

 

 

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Incremento del reddito: sì alla riduzione dell’assegno di mantenimento

18 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

L’incremento del reddito dell’ex coniuge, in tema di assegno di mantenimento, determina la possibilità di chiedere  in giudizio la riduzione dell’entità dello stesso (Cass. civ., ord. n. 7230 del 13/03/2020).

Il fatto

A seguito di giudizio di divorzio, nel regolamentare i rapporti patrimoniali di una coppia, il Tribunale di Siracusa obbligava l’ex marito a corrispondere in favore della figlia minore un assegno di mantenimento.

Il padre, in sede di modifica delle condizioni di divorzio chiedeva, alla luce dell’incremento del reddito dell’ex moglie, una revisione dell’assegno.

Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta e l’uomo adiva la Corte di Appello.

Questa, valutava diversamente dal giudice di prime cure gli elementi addotti dall’uomo e modificava il decreto di rigetto riducendo, da € 350,00 mensili a €€ 280,00 mensili, l’importo dell’assegno dovuto per il mantenimento della figlia minore.

L’uomo ricorreva in Cassazione

Tuttavia, il padre riteneva l’entità dell’assegno ancora troppo elevata e pertanto ricorreva in Cassazione. In particolare, evidenziava ancora una volta come la situazione economico-lavorativa della ex moglie fosse migliorata a seguito della sua assunzione come insegnante di ruolo.

Ciò, a detta del ricorrente, poneva la donna in una situazione di netto vantaggio grazie all’incremento del reddito: essa, oltre ad avere la disponibilità della casa coniugale, percepiva uno stipendio mensile fisso di euro 1.400.00.

Diversamente l’uomo, oltre a dover corrispondere l’assegno di mantenimento alla figlia, rappresentava di essere in attesa del secondo figlio.

A parere del ricorrente, le predette circostanze ponevano gli ex coniugi in una situazione di disparità economica.  Pertanto l’assegno di mantenimento in favore della figlia doveva essere ulteriormente ridotto.

La decisione della Corte di Cassazione

Prima di richiamare l’attenzione sul percorso decisionale della Cassazione, una precisazione è doverosa.

Già in passato la Suprema Corte, con sentenza n. 9533/2019, aveva precisato che “la natura dei provvedimenti diretti a regolare i rapporti economici tra i coniugi in conseguenza del divorzio (così come quelli attinenti al regime di separazione) postulano la possibilità di adeguare l’ammontare del contributo al variare delle loro condizioni patrimoniali e reddituali […]. Il giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio.”

Nel pronunciarsi sul caso in esame, gli Ermellini ritenevano di non dover muovere alcun rimprovero alla Corte di Appello. Anzi. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di secondo grado avrebbero considerato tutti gli elementi del caso. Ossia: la situazione economica delle parti; l’incremento reddituale della ex moglie; la disponibilità dell’appartamento coniugale; la nuova famiglia del padre e il secondo figlio in arrivo dalla compagna.

Proprio tali variabili avrebbero giustificato la precedente diminuzione dell’importo da 350 a 280 euro.

Alla luce di quanto detto, la Corte di Cassazione rigettava ricorso perché infondato. 

Potrebbe anche interessarti “La casalinga ha diritto al mantenimento se ha contribuito alla carriera del marito”, leggi qui. 

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Tenore di vita: i figli hanno diritto al tenore di vita goduto prima del divorzio dei genitori

11 Febbraio 2020 Da Staff Lascia un commento

I figli hanno diritto al tenore di vita goduto prima del divorzio. In particolare “l’assegno di mantenimento del figlio deve essere parametrato sulle effettive ed attuali esigenze dello stesso alla luce delle condizioni economiche dei genitori e del tenore di vita della famiglia in costanza di matrimonio“(Cass. civ. , sez. VI, del 23.01.2020, n. 1562).

Il caso

Una donna adiva il Tribunale competente affinché pronunciasse il divorzio dal marito, ai sensi della legge 898/1970. Con la donna viveva il figlio, come da separazione,  e in giudizio sorgeva controversia unicamente per l’aspetto economico. In particolare la predetta chiedeva un congruo assegno di mantenimento a carico del marito e a favore del figlio, da poco divenuto maggiorenne ma, economicamente non autosufficiente.

La decisione del Tribunale prima e della Corte di Appello poi

Il Tribunale decideva che l’ammontare del mantenimento a favore del figlio dovesse essere individuato nella misura di € 900,00 mensili oltre al 50 % delle spese straordinarie. 

La donna, ritenendo insufficiente la somma, ricorreva in appello. La Corte di Appello adita rivalutava  i redditi degli ex coniugi e del loro presumibile tenore di vita. Sottolineava, peraltro, la disparità reddituale dei genitori a favore dell’uomo;  evidenziava, altresì, che il ragazzo trascorreva più tempo presso la madre  e che le esigenze di vita di quest’ultimo erano aumentate. Alla luce di questa nuova valutazione, pertanto, aumentava ad € 1100,00 la somma dovuta dal padre per il mantenimento del figlio oltre al 70% delle spese straordinarie.

La donna ricorreva in Cassazione

La donna, ritenendo non commisurata alle reali capacità dell’ex marito la somma stabilita dai giudici di merito, nonché non rispondente al tenore di vita, ricorreva ai giudici di legittimità. L’uomo, a sua volta, presentava controricorso.

La decisione degli Ermellini

La Corte di Cassazione adita riteneva che la Corte di Appello avesse correttamente quantificato l’assegno di mantenimento. Per tali ragioni rigettava il ricorso della donna.

In particolare gli ermellini affermavano che “l’assegno di mantenimento del figlio deve essere parametrato sulle effettive ed attuali esigenze dello stesso alla luce delle condizioni economiche dei genitori e del tenore di vita della famiglia in costanza di matrimonio”. 

Per la Suprema Corte quindi, i giudici di merito avevano attentamente valutato la situazione di fatto e conseguentemente inammissibile doveva ritenersi il ricorso presentato dalla donna.

Potrebbe anche interessarti “Assegno di mantenimento per i figli: come si calcola?”, leggi qui. 

 

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