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matrimonio

Convivenza: tradimento a pochi mesi dalle nozze esclude la nullità del matrimonio in sede civile

10 Marzo 2020 Da Staff Lascia un commento

In caso di convivenza durata oltre tre anni, la scoperta del tradimento a pochi mesi dal matrimonio, non rileva ai fini del riconoscimento della nullità già pronunciata in sede ecclesiastica (Cass., sez. VI civ., ordinanza n. 30900/2019 del 26 novembre 2019).

Il fatto

Un uomo adiva la Corte di Appello di Perugia chiedendo la delibazione della sentenza del Tribunale Ecclesiastico che annullava il proprio matrimonio.

Tuttavia, la Corte di Appello riteneva di non potere accogliere la domanda. Ciò alla luce del dato che la coppia aveva convissuto per oltre tre anni.

L’uomo ricorreva in Cassazione

L’uomo, respinta la richiesta, ricorreva in Cassazione con due motivi. Con il primo deduceva la violazione e falsa applicazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 2, e dell’art. 797 c.p.c.. L’uomo nella specie sosteneva che i due requisiti (stabilità ed esteriorità) della convivenza ultra triennale, ostativi alla delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento non sussistevano nel proprio caso. L’uomo aggiungeva, altresì, che la relazione extraconiugale della moglie risaliva al 2012. Con il secondo motivo il ricorrente deduceva, invece, l’omesso esame di un fatto decisivo.  Rilevava cioè che dalla sentenza ecclesiastica non poteva evincersi la continuità della convivenza. Peraltro il ricorrente riteneva che la Corte avesse errato nell’interpretazione e qualificazione della convivenza, come stabile e continuativa, ai fini dell’applicazione della maggioritaria giurisprudenza di legittimità. 

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione riteneva infondato il ricorso dell’uomo, confermando di fatto la ricostruzione della Corte di Appello di Perugia. Ciò alla luce della maggioritaria giurisprudenza sul punto. 

In particolare, gli Ermellini evidenziavano la correttezza della ricostruzione dei fatti da parte della Corte di Appello. La Corte di Cassazione ribadiva che la convivenza prematrimoniale “come coniugi” ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di “ordine pubblico italiano”.  Tale convivenza è ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico.

Peraltro, la Corte di Cassazione sottolineava anche l’irrilevanza  della circostanza che l’unione fra i coniugi nel periodo di convivenza sia stata o meno felice. Tale mancanza di adesione affettiva può acquistare rilevanza giuridica solo se viene concordemente riconosciuta e manifestata all’esterno in modo da privare alla convivenza ogni valenza.

Nel caso di specie quest’ultimo requisito, che avrebbe reso rilevante la mancanza di affectio coniugalis, non veniva dedotto dell’uomo. Né tantomeno veniva provato dal ricorrente. Circostanza inoltre contestata dalla moglie. Le osservazioni dell’uomo attestavano tuttalpiù una non adesione affettiva al matrimonio dopo pochi mesi dalla sua celebrazione. Elemento che tuttavia non aveva impedito ai due coniugi di vivere insieme per oltre tre anni. 

Potrebbe anche interessarti “Rimborso somme versate per la casa familiare: l’ex convivente ne ha diritto?”, leggi qui. 

 

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Tenore di vita: i figli hanno diritto al tenore di vita goduto prima del divorzio dei genitori

11 Febbraio 2020 Da Staff Lascia un commento

I figli hanno diritto al tenore di vita goduto prima del divorzio. In particolare “l’assegno di mantenimento del figlio deve essere parametrato sulle effettive ed attuali esigenze dello stesso alla luce delle condizioni economiche dei genitori e del tenore di vita della famiglia in costanza di matrimonio“(Cass. civ. , sez. VI, del 23.01.2020, n. 1562).

Il caso

Una donna adiva il Tribunale competente affinché pronunciasse il divorzio dal marito, ai sensi della legge 898/1970. Con la donna viveva il figlio, come da separazione,  e in giudizio sorgeva controversia unicamente per l’aspetto economico. In particolare la predetta chiedeva un congruo assegno di mantenimento a carico del marito e a favore del figlio, da poco divenuto maggiorenne ma, economicamente non autosufficiente.

La decisione del Tribunale prima e della Corte di Appello poi

Il Tribunale decideva che l’ammontare del mantenimento a favore del figlio dovesse essere individuato nella misura di € 900,00 mensili oltre al 50 % delle spese straordinarie. 

La donna, ritenendo insufficiente la somma, ricorreva in appello. La Corte di Appello adita rivalutava  i redditi degli ex coniugi e del loro presumibile tenore di vita. Sottolineava, peraltro, la disparità reddituale dei genitori a favore dell’uomo;  evidenziava, altresì, che il ragazzo trascorreva più tempo presso la madre  e che le esigenze di vita di quest’ultimo erano aumentate. Alla luce di questa nuova valutazione, pertanto, aumentava ad € 1100,00 la somma dovuta dal padre per il mantenimento del figlio oltre al 70% delle spese straordinarie.

La donna ricorreva in Cassazione

La donna, ritenendo non commisurata alle reali capacità dell’ex marito la somma stabilita dai giudici di merito, nonché non rispondente al tenore di vita, ricorreva ai giudici di legittimità. L’uomo, a sua volta, presentava controricorso.

La decisione degli Ermellini

La Corte di Cassazione adita riteneva che la Corte di Appello avesse correttamente quantificato l’assegno di mantenimento. Per tali ragioni rigettava il ricorso della donna.

In particolare gli ermellini affermavano che “l’assegno di mantenimento del figlio deve essere parametrato sulle effettive ed attuali esigenze dello stesso alla luce delle condizioni economiche dei genitori e del tenore di vita della famiglia in costanza di matrimonio”. 

Per la Suprema Corte quindi, i giudici di merito avevano attentamente valutato la situazione di fatto e conseguentemente inammissibile doveva ritenersi il ricorso presentato dalla donna.

Potrebbe anche interessarti “Assegno di mantenimento per i figli: come si calcola?”, leggi qui. 

 

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Matrimonio e privacy: possono conciliarsi?

4 Novembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Matrimonio e privacy: possono conciliarsi? In realtà rispondere a questa domanda non è così semplice come sembra. Pare infatti che il matrimonio sia in grado di ridurre il diritto alla privacy del coniuge al punto che «non può ritenersi illecita la scoperta casuale di messaggi su un telefono lasciato incustodito» (Trib. Roma, I sez. civile n. 6432/2016) .

La costante presenza del mondo informatico nelle nostre vite ha influito anche il processo evolutivo giurisprudenziale. Infatti l’attuale giurisprudenza ritiene di dover tutelare anche la libertà e la segretezza della corrispondenza tramite mail, whatsapp e i principali social networks. 

Quando si configura il reato?

La riservatezza è tutelata dalla Costituzione e rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo.

Tuttavia, per l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, la natura del vincolo matrimoniale comporta un affievolimento della riservatezza di ciascun coniuge.

Ma ciò non vuol dire non avere diritto alla propria privacy. La privacy va rispettata anche dal coniuge. Infatti, già con la sentenza n.6727/1994, la Cassazione ha riconosciuto piena compatibilità tra il diritto alla riservatezza e la vita coniugale. In particolare i giudici hanno precisato che il diritto alla privacy non può essere violato nemmeno in caso di infedeltà.

Conseguenze

L’eventuale utilizzo improprio del cellulare del coniuge, o l’accesso illecito ai profili online, può costituire reato.

Quale? o il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico art. 615 ter c.p.; o il reato di violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza art. 616 c.p., entrambi puniti con la reclusione.

Tutto questo trova conferma in una sentenza del 2014 con la quale la Cassazione ritiene che qualsiasi elemento ottenuto violando la privacy del coniuge è inutilizzabile durante il processo penale.

In sede civile vale lo stesso principio?

Diverso orientamento si riscontra in ambito civile, ove trova applicazione il c.d. criterio della gerarchia mobile.

Tale criterio consente al giudice di operare un controbilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto alla difesa processuale. Quest’ultimo non ostacolabile in alcun modo. A tal proposito il tribunale di Roma con sentenza n.6432/2016 ha precisato che la convivenza, e la conseguenziale condivisione degli spazi, implica la possibilità di entrare in contatto con i dati personali del coniuge. Questo non necessariamente implica un’acquisizione illecita.

Inoltre nel nostro ordinamento è il Giudice a decidere sull’ammissibilità e l’utilizzabilità delle prove prodotte dalle parti in un giudizio civile.
In particolare in caso di separazione, anche se le prove sono state assunte con modalità illecite, il Giudice può ammetterle. Ciò avviene quanto tali prove sono necessarie per esercitare il diritto di difesa. Ad esempio per sostenere la domanda di addebito della separazione a carico dell’altro.

E’ bene ricordare che ricorrere a mezzi che violano i diritti è un rimedio estremo da utilizzare con cautela.

Potrebbe anche interessarti “Offendere sui Social Network è reato: una nuova diffamazione”, leggi qui.

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Rapporti sessuali tra coniugi: è reato senza consenso

1 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

I rapporti sessuali non possono mai prescindere dal consenso. Anche nell’ambito di un matrimonio o di un legame parafamiliare. Se il consenso manca è violenza sessuale.  Infatti non esiste nel nostro ordinamento un c.d. “diritto all’amplesso” che giustifichi un rapporto sessuale non consenziente. (Cass. 46051/2018). 

Un uomo è stato condannato in primo e in secondo grado per tentata violenza sessuale nei confronti della moglie (art. 56 e 609 bis c.p.).

In numerose occasioni, infatti, il marito aveva costretto la donna ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, obbligandola con le minacce e con la forza.

L’ultimo tentativo però non gli era andato a buon fine grazie alla reazione della donna e al tempestivo intervento delle figlie.

L’uomo ha quindi fatto ricorso in Cassazione. Lamentava, tra le altre cose, che i giudici di merito non avessero riconosciuto la desistenza dai suoi intenti.

Al riguardo gli Ermellini sono stati categorici. E hanno ricordato all’uomo come egli non avesse  desistito per sua volontà ma a causa dell’intervento delle figlie.

Quindi, non solo la Suprema Corte ha ritenuto di dover confermare la condanna nei confronti dell’uomo, ma anche di non applicare le attenuanti generiche.

Infatti la condotta dell’uomo è da considerarsi grave in quanto manchevole del senso del rispetto e della dignità della persona. Ed in particolare della donna, concepita come “strumento di piacere”.

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte ha però soprattutto voluto ribadire un principio importante. Il fatto che due persone siano sposate non giustifica le pretese sessuali di una nei confronti dell’altra. Quindi anche tra marito e moglie i rapporti sessuali devono essere espressione del consenso costante di entrambi i membri della coppia.

Precisano anche gli Ermellini che non esiste un diritto potestativo del marito a che la moglie soddisfi i suoi bisogni sessuali.

E questo in linea con altre pronunce che già in passato avevano negato l’esistenza di un “diritto all’amplesso” nell’ambito di un legame coniugale. Quindi dal matrimonio non scaturisce il potere di un coniuge di esigere dall’altro rapporti sessuali senza il suo consenso.

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Aspettando Godot: l’attesa è finita, l’assegno di divorzio ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa. (S.U. 18287/2018)

24 Luglio 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Assegno di divorzio: per la sua quantificazione, a gran sorpresa, ritorna il criterio del tenore di vita. Ma non solo: l’assegno sarà  calcolato anche in base al contributo dato in costanza di matrimonio – da chi lo richiede – alla formazione del patrimonio comune e personale, considerando anche la sua eventuale capacità futura di mantenersi autonomamente o di reinserirsi nel mondo del lavoro, alla durata del matrimonio e all’età di chi richiede l’assegno. Verranno quindi riconosciuti e considerati quei “sacrifici” in termini di carriera e crescita economica fatti da uno dei due coniugi, in accordo con l’altro,al fine di dedicarsi alla famiglia; scelte che inevitabilmente si ripercuotono sulla condizione economica di ciascun coniuge quando l’unione finisce. 

La recentissima sentenza delle Sezioni Unite, (n.18287, 11 luglio 2018)  rivoluziona l’interpretazione dei criteri previsti dal legislatore per il riconoscimento in favore di uno dei coniugi dell’assegno di divorzio, adottando un’ottica che si discosta sia da quella con cui nel maggio  2017 la Prima Sezione civile (17 maggio 2017 n. 11504) aveva deciso di superare il “diritto vivente”, sia dall’orientamento tradizionale da cui appunto la Corte, pur decidendo all’interno della sola sezione, aveva deciso di discostarsi. [Leggi di più…] infoAspettando Godot: l’attesa è finita, l’assegno di divorzio ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa. (S.U. 18287/2018)

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