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cessazione mantenimento

Figlio maggiorenne: azioni a tutela

13 Luglio 2021 Da Staff Lascia un commento

Figlio maggiorenne: quali sono le azioni previste dal nostro ordinamento a tutela del figlio maggiorenne? Quali sono i doveri genitoriali che permangono subentrata la maggiore età del figlio?

Innanzitutto, sebbene il figlio sia diventato maggiorenne sicuramente permane in capo ai genitori l’obbligo di mantenimento, finché il giovane non abbia raggiunto la propria indipendenza economica. Ciò è previsto dall’art. 337septies c.c., introdotto dalla riforma della filiazione contenuta nel d.lgs. 154/2013.
Il dovere di contribuire al mantenimento del figlio deriva anche dal dovere di solidarietà e di assistenza morale che lega ogni componente della famiglia, che ha diritto all’unità ed alla serenità familiare (art. 8 CEDU e art. 315-bis c.c.).
Dopo il compimento della maggiore età il figlio diviene soggetto titolare della capacità di agire e l’art. 337septies c.c. dispone che, laddove, per causa a lui non imputabile, costui non sia ancora in grado di mantenersi, il genitore, od entrambi, provvedano a versare lui un assegno, per far fronte ai suoi bisogni esistenziali.

Quando cessa l’obbligo di mantenere il figlio maggiorenne?

Non esiste una norma che stabilisce un’età specifica raggiunta la quale viene meno l’obbligo di mantenimento della prole. Tale momento, pertanto, è frutto dell’elaborazione giurisprudenziale. Ed in particolare la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che, una volta intervenuta l’autosufficienza economica, il figlio perda il diritto di esigere il mantenimento. Il figlio raggiunta l’indipendenza economica perde anche il c.d. mantenimento di ritorno. Pertanto anche in caso di futura perdita dell’occupazione o di rientro a casa dai genitori viene meno il diritto di
essere da quest’ultimi mantenuto. Restano fermi in ogni caso gli obblighi alimentari dei genitori nei confronti del figlio nel caso in cui questi versi in stato di bisogno.

Ricorso ex art. 337septies c.c.

Dunque, alla luce di quando sopra, il figlio maggiorenne non autosufficiente ha diritto di azionare autonomamente un ricorso ex art. 337septies c.c. nei confronti di entrambi i genitori per ottenere da questi il mantenimento. Ciò in quanto i genitori sono gravati solidalmente dall’obbligo di mantenerlo.
È bene precisare però che, in punto accertamento della non autosufficienza economica da parte del
figlio, la recente giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 17813/2020, ha affermato essere in capo al richiedente l’onere di dimostrare:

– di non aver raggiunto l’indipendenza economica;

– di avere tentato di trovare, con ogni possibile impegno, un’occupazione. 

Altre azioni a tutela del figlio maggiorenne

Il figlio maggiorenne, per consolidata giurisprudenza, ha legittimazione ad agire iure proprio in ordine al recupero delle somme impagate dal genitore obbligato in sede di separazione dei genitori. Ciò per il periodo
successivo al raggiungimento della sua maggiore età.
Per gli importi pregressi, invece,  quando invero il ragazzo era ancora minorenne, la titolarità dell’azione spetta solo al genitore.  

I genitori possono cacciare via da casa il figlio maggiorenne?

Raggiunta la maggiore età, il figlio non rimane più vincolato al dovere di convivenza con i genitori. Questi d’altro canto non sono tenuti ad ospitare il figlio nella propria casa per sempre.  I genitori, tuttavia, mantengono un dovere di solidarietà ed assistenza morale nei confronti dei figli. Ciò a prescindere dalla loro età anagrafica. Pertanto una convivenza interrotta bruscamente, potrebbe essere qualificata  come illecito endofamiliare, risarcibile in via equitativa.

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Niente mantenimento al coniuge che rifiuta lavori umili (Cass. Ord. 5932 del 4 marzo 2021)

23 Giugno 2021 Da Staff Lascia un commento

Con l’ordinanza n. 5932 del 4 marzo 2021, la Corte di Cassazione affronta nuovamente il tema del diritto del coniuge a beneficiare di un assegno di mantenimento. In particolare, gli ermellini affrontano la questione che si prospetta quando la mancanza di redditi del richiedente sia conseguenza:

  • di un rifiuto ad una specifica opportunità lavorativa;
  • della inattività a cercare una occupazione lavorativa che non sia strettamente pertinente al titolo di studio.
Il caso

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Trieste confermava la decisione del Tribunale di primo grado. Poneva quindi  in capo al marito l’obbligo di versare alla moglie un contributo al mantenimento pari ad € 1.000 mensili. Nella motivazione, la Corte territoriale giustificava il rifiuto di un impiego lavorativo perché ritenuto non adeguato al titolo di studio e alle aspirazioni individuali del coniuge richiedente. Affermava quindi che “il profilo individuale…non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate”. Riteneva svilente che una persona laureata potesse essere “condannata al banco di mescita o al badantato”.

L’uomo ricorreva in Cassazione

Tuttavia la Suprema Corte, valutando diversamente gli elementi, accoglieva il ricorso proposto dal marito. Gli ermellini censuravano la decisione dei giudici di Appello, osservando che: “in tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare, ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita (…); rileva, ad esempio, la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione”.

I giudici di merito si erano limitati ad affermare il diritto della moglie a non reperire un’attività lavorativa reputata inferiore. Tuttavia non avevano valutato gli impieghi effettivamente reperiti o proposti per poterne fondatamente affermare la reale inadeguatezza e inaccettabilità. Di tal guisa giungevano a confermare il diritto al mantenimento sulla base di rilievi astratti, quali la negazione della dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona.

Iter motivazionale della Corte di Cassazione

Detta conclusione è stata tuttavia ritenuta dagli Ermellini in violazione a quanto sancito dall’art. 156 c.c. ; ed invero, al fine di decidere se riconoscere l’assegno di mantenimento al coniuge, deve procedersi alla valutazione anche delle potenziali capacità di guadagno. Pertanto, bisogna tener conto di ogni fattore individuale e ambientale compresa la possibilità di “acquisire professionalità diverse e ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.”

Il diritto al mantenimento deciso dal giudice dell’impugnazione si basa quindi su rilievi astratti perfino “giungendo a negare dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona“.  I giudici di merito omettono di considerare, quindi, l’effettiva possibilità della donna di procurarsi da sola redditi adeguati; la volontà di attivarsi nella ricerca di un lavoro e le offerte d’impiego effettivamente respinte.

La Corte suprema, pertanto, cassava con rinvio detta decisione, sancendo un importante principio in diritto, che riconosce dignità ad ogni genere di occupazione lavorativa.

Principio di diritto

Ne consegue che ai fini delle statuizioni afferenti all’assegno di mantenimento, il giudice del merito deve accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita. Occorre valutare ogni concreto fattore individuale e ambientale, quali  ad esempio: la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza; la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro; ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione.

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Mantenimento figlio maggiorenne, quando cessa?

18 Novembre 2020 Da Staff Lascia un commento

“L’obbligo di mantenimento legale della prole cessa con la maggiore età del figlio in concomitanza all’acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminazione; in seguito ad essa, l’obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice, ed è onere del richiedente provare non solo la mancanza di
indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro” (Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183).

I fatti

Una donna ricorreva in Cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della decisione del Tribunale di Grosseto, revocava l’assegno di mantenimento per il figlio. Quest’ultimo, trentenne,
insegnante precario, secondo la donna aveva redditi modesti. Peraltro, veniva altresì revocata l’assegnazione della casa familiare, poiché il figlio si era trasferito in un’altra provincia per insegnare e la coabitazione si era diradata. 

I Giudici di Appello ritenevano che l’obbligo di mantenimento del figlio viene meno al raggiungimento della capacità di sostentarsi. Ciò è da ritenersi presunto 
oltre i trenta anni, età in cui una persona normale si presume sia autosufficiente anche sotto il profilo economico, salvo comprovati deficit. 
Di conseguenza, secondo la sentenza impugnata, il figlio maggiorenne che da tempo ha terminato gli studi e lavora come insegnante precario deve trovare il modo di mantenersi.

La donna ricorreva in Cassazione

La donna ricorrendo in Cassazione lamentava  la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato che il figlio avesse conseguito redditi significativi, sebbene modesti. Sottolineava, inoltre, la ricorrente che il figlio, quale insegnante non abilitato e supplente occasionale, per ottenere la cattedra di ruolo, avrebbe dovuto frequentare un tirocinio formativo a pagamento.
Infine, la donna lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148, 315-bis, 337-sexies e 337- septies c.c., per non aver considerato la Corte di Appello la condizione di precarietà lavorativa del figlio. Secondo
la ricorrente, il marito non aveva provato il raggiungimento di una effettiva e stabile indipendenza economica del figlio. 

La questione

L’ordinanza in esame affronta la questione dei confini tra il diritto al mantenimento della prole maggiorenne e lo speculare obbligo a carico del genitore. Ciò alla luce del principio di autoresponsabilità. 

Sottolineano gli Ermellini che ogni caso deve essere attentamente valutato. Precisano i giudici di legittimità che tale valutazione deve essere ancorata al percorso scolastico e alla situazione del mercato del lavoro nel settore prescelto. Deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in
rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo si protragga oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura.

Gli Ermellini sottolineano che integra un dovere del figlio la ricerca 
dell’autosufficienza economica. Pertanto, in attesa di realizzare le sue aspirazioni il figlio ha il dovere di impegnarsi  nella ricerca di un lavoro, affinché possa sostentarsi.

Età del figlio

La Corte di Cassazione individua inoltre l’età al raggiungimento della quale cessa l’obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, precisando che tale obbligo si estingue con l’acquisto della
capacità di agire e della libertà di autodeterminazione, le quali, così come la capacità lavorativa, si conseguono al raggiungimento della maggiore età, salva la prova a carico del richiedente delle condizioni che giustificano, al contrario, il permanere di tale obbligo.

Decisione della Corte di Cassazione

Sulla base delle superiori considerazioni, la Corte di Cassazione, ritenendo che il giudice d’appello non abbia violato i principi da essa dettati, rigettava il ricorso della donna dichiarando l’infondatezza dei motivi proposti.

Osservazioni


Tema molto attuale è quello affrontato dall’ordinanza in commento, con cui la Suprema Corte torna ad occuparsi dei presupposti e dei limiti del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni. Rispetto i precedenti indirizzi giurisprudenziali gli Ermellini giungono a conclusioni nuove; lasciando emergere un innovativo modo di intendere il rapporto tra genitori e figli in termini di diritti e di obblighi. In particolare, in aderenza con il mutamento dei tempi, è il richiamo del figlio al dovere di autoresponsabilità.


Onere della prova

L’aspetto più innovativo della pronuncia in commento riguarda l’onere probatorio. Nello specifico secondo i giudici di legittimità con il raggiungimento della maggiore età, si verifica una presunzione di idoneità al reddito e, dunque, di autonomia. Tale presunzione può essere vinta dal figlio maggiorenne non autosufficiente dimostrando la sussistenza delle circostanze che giustificano, al contrario, il permanere del diritto al mantenimento.
L’ordinanza in esame sposta, dunque, l’onere della prova sul richiedente. 
L’onere della prova a carico del figlio viene graduato in relazione all’età: invero, secondo l’ordinanza in commento, la prova sarà tanto più lieve quanto più prossima sia l’età del richiedente a quella di un recente maggiorenne; più gravosa all’aumentare dell’età, sino a configurare il “figlio adulto”, in ragione del principio di autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all’impegno profuso, nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa.

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