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mantenimento figli

Rivalutazione ISTAT dell’assegno di mantenimento, come funziona?

13 Febbraio 2023 Da Staff Lascia un commento

Rivalutazione istat dell’assegno di mantenimento, come funziona?

La legge stabilisce che l’assegno di mantenimento dovuto ai figli e/o al coniuge deve essere rivalutato annualmente secondo gli indici gli Istat.

In cosa consiste la rivalutazione ISTAT?

La rivalutazione istat è un meccanismo di adeguamento automatico e annuale dell’importo mensile dell’assegno all’aumento o diminuzione del costo medio della vita. Lo scopo dell’adeguamento è quello di preservare il potere d’acquisto dall’inevitabile svalutazione monetaria.
Dal punto di vista normativo, occorre compiere una distinzione tra assegno di mantenimento a favore dei
figli e a favore del coniuge, se infatti per il primo l’automatismo della rivalutazione è previsto espressamente, sia in sede di separazione che di divorzio, dall’art. 337-ter del codice civile, per l’assegno
di mantenimento a favore del coniuge è bene evidenziare che sebbene tale automatica rivalutazione sia
disciplinata esclusivamente all’art. 5 comma 7 della L. n. 898/1970, e quindi si riferisca specificatamente
alla procedura di divorzio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la stessa sia applicabile anche in sede di separazione.

Di conseguenza il giudice, sia in sede di divorzio che di separazione, ha il potere-dovere di stabilire in sentenza un criterio di indicizzazione automatica dell’assegno, anche senza specifica domanda delle parti.

Come si calcola l’aumento ISTAT?

Per calcolare annualmente la rivalutazione dell’assegno di mantenimento occorre fare riferimento all’ indice di variazione FOI, ossia l’indice dei prezzi delle famiglie di operai e impiegati, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 81 della L. n. 392/1978, il mese successivo a quello a cui si riferisce.

Conseguentemente per calcolare il relativo aumento, occorrerà applicare all’importo mensile dell’assegno deciso dal giudice, la percentuale dell’indice FOI che si riferisca o al mese indicato nel provvedimento dal giudice nell’anno precedente o, in assenza, al mese della sottoscrizione dell’accordo o deposito del ricorso.

Il nuovo importo rappresenterà la somma sulla quale verrà applicato, l’anno successivo, il nuovo indice FOI per determinare la nuova rivalutazione dell’importo e così via per gli anni successivi.
La rivalutazione dovrà pertanto essere compiuta a partire dalla data indicata nel provvedimento di
separazione o divorzio.

Pertanto, se era stato sancito dal giudice un assegno di mantenimento di € 500,00 a partire dal 10 luglio 2020, questa somma doveva essere rivalutata tenendo conto dell’ultimo FOI disponibile al 10 luglio 2021 ossia dovrà essere calcolata con riferimento al mese di luglio di ogni anno, essendo luglio il mese di decorrenza dell’assegno. 

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I nonni devono mantenere i nipoti se i genitori non possono farlo

14 Novembre 2022 Da Staff Lascia un commento

I nonni devono mantenere i nipoti se i genitori non possono farlo. A confermare il
summenzionato principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza
interlocutoria n. 30368/2022.

Il caso

Nell’ambito del giudizio di primo grado, il Tribunale poneva a carico dei nonni l’obbligo
di corrispondere in favore della madre del minore la somma mensile pari ad € 200,00
a titolo di contributo al mantenimento dello stesso. Tale somma, in particolare,
doveva essere corrisposta in sostituzione al mantenimento cui avrebbe dovuto
provvedere il padre attesa l’impossibilità per la madre del minore di far fronte da sola
a tutte le spese necessarie per il mantenimento del minore.
La nonna paterna in capo a cui veniva corrisposto tale obbligo impugnava la decisione
del Tribunale ma i giudici di secondo grado rigettavano la sua richiesta e così il caso
giungeva sino alla Corte di Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

Esaminato il ricorso, i giudici della Corte di Cassazione rilevano che, secondo l’art. 316
bis c.c., i nonni sono gli ascendenti più prossimi ai minori che devono provvedere al
loro mantenimento nel caso in cui i genitori non riescano a farlo.
Ed infatti, sul punto, gli Ermellini sono chiari disponendo che
“l’obbligazione solidaristica, sussidiaria e subordinata grava proporzionalmente su tutti gli
ascendenti di pari grado indipendentemente da chi sia il genitore che ha creato
l’insorgenza dello stato di insufficienza dei mezzi economici”.
Questo obbligo, secondo la Suprema Corte, va inteso non solo nel senso
che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a
quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa
rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il
proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di
mantenerli ma solo ed esclusivamente qualora i genitori non siano in grado di
adempiere al loro diretto e personale obbligo.

Potrebbe anche interessarti: “E’ rimborsabile il mantenimento in eccedenza versato per il figlio?”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: divorzio, figli non autosufficienti, mantenimento, mantenimento ascendenti, mantenimento figli, separazione

570 bis c.p.: non commette reato il padre che non versa il mantenimento per vivere

8 Settembre 2022 Da Staff Lascia un commento

570 bis c.p. : non commette reato il padre che dimostri di non versare il mantenimento per vivere.

La Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale, con la Sentenza n. 32576/2022 del 15 giugno 2022, afferma un principio rivoluzionario.  Ed in particolare sostiene che occorre sempre effettuare un bilanciamento tra i diritti in contesa prima di addivenire alla condanna ex art. 570 bis c.p. Nel caso specifico tra quello del padre di badare alle proprie spese necessarie per vivere e quelle dei figli di ricevere il mantenimento.

Il caso

Un uomo veniva condannato dal Tribunale di Treviso per il reato previsto e punito dall’art. 570 bis c.p. per aver omesso il versamento del mantenimento in favore dei figli.

Tale sentenza veniva confermata anche in sede di gravame dalla Corte di Appello di Venezia.

A nulla era servito, nel giudizio di merito, provare lo stato di indigenza sofferto dal padre. 

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo ricorre per Cassazione contro la condanna.  Il ricorrente individua tra i motivi del ricorso l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di omettere il versamento di quanto dovuto a titolo di mantenimento.

Il padre sottolinea di trovarsi in una grave situazione economica che rende impossibile la prestazione. Ed in particolare il ricorrente dimostra di avere perso il lavoro e di non essere riuscito a reperirne un altro nonostante gli innumerevoli tentativi di trovarlo.

Prova dell’impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi di mantenimento anche le ripetute richieste di prestito rivolte dal ricorrente a parenti ed amici per il proprio sostentamento.

La decisione della Suprema Corte

Secondo gli Ermellini, in tema di omesso versamento del mantenimento dei figli, la responsabilità penale non deve essere automatica. Occorre effettuare una valutazione delle ragioni sottostanti. La Suprema Corte conferma il principio secondo il quale l’obbligato deve versare in una situazione di impossibilità assoluta ad adempiere. Ciò deve risultare da elementi ulteriori rispetto alla sola disoccupazione, quali l’assenza di guadagni diversi da quelli promananti da un rapporto di lavoro.

Sottolineano gli Ermellini che tale stato deve essere valutato su un campo di bilanciamento tra diritti.

Sicché secondo la Corte non si ha una “automatica” responsabilità penale del padre per il mancato versamento del mantenimento, ma occorre una valutazione delle ragioni sottostanti che inducono l’obbligato a non adempiere. 

Secondo i Giudici di legittimità nell’effettuare il bilanciamento il Giudice di merito deve valutare i seguenti fattori:

  • importo delle prestazioni imposte;
  • disponibilità reddituali dell’obbligato;
  • necessità dello stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (tra cui vitto e alloggio);
  • solerzia nel reperimento di nuove e/o ulteriori fonti di reddito;
  • contesto socio-economico dell’obbligato, al fine di comprendere le effettive possibilità di questi di corrispondere il dovuto.

Vita dignitosa dell’obbligato

Secondo la Corte di Cassazione nell’effettuare la valutazione il Giudice di merito deve accertarsi che il genitore  obbligato possa provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, conducendo una vita dignitosa, trattandosi di diritto non comprimibile.

L’assicurazione di un livello di vita dignitoso costituisce secondo gli Ermellini la soglia minima invalicabile, all’interno della quale non può imputarsi alcuna responsabilità penale in capo al padre che omette il mantenimento della prole.

Alla luce di quanto sopra, pertanto,  la Suprema Corte ha accolto il ricorso del padre, condannato in primo e secondo grado ex art. 570 bis c.p., e rimesso gli atti alla Corte d’Appello di Venezia per una nuova disamina del caso.

Potrebbe anche interessarti: “Condannato il padre che non prova la impossibilità ad adempiere” Leggi qui.

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: mancato mantenimento, mantenimento figli, omesso mantenimento, ritardo nel mantenimento

Mantenimento per il figlio che lascia il lavoro per studiare

3 Settembre 2021 Da Staff Lascia un commento

Ebbene si, i genitori devono versare il mantenimento per i figli che vogliono riprendere gli studi. A stabilire il superiore principio di diritto è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23318/2021.

Il caso

Il Tribunale obbligava un uomo, in sede di divorzio, a versare alla figlia un assegno mensile di 600 euro. Veniva inoltre obbligato a compartecipare nella misura dei 4/5 alle spese straordinarie per la ragazza.

L’uomo, ritenendo ingiusta la decisione, ricorreva in Appello. La Corte di Appello, tuttavia, precisava che l’obbligo di mantenimento in favore dei figli non viene meno con la maggiore età, ma solo con il raggiungimento della indipendenza economica. In particolare i giudici di secondo grado evidenziavano che la giovane, dopo una breve e poco soddisfacente esperienza lavorativa , aveva deciso d’iscriversi all’Università. Peraltro dall’istruttoria emergeva che la ragazza avrebbe sicuramente terminato proficuamente gli studi.

Pertanto, considerato che le condizioni economiche del padre la somma di € 600,00 a titolo di mantenimento della ragazza doveva essere confermata.

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo, ancora una volta di parere contrario rispetto alla decisione dei giudici di merito, decideva di ricorrere in Cassazione. In particolare, tra i vari motivi a sostegno del ricorso il padre sottolineava che la figlia lavorava in albergo riuscendo a guadagnare mensilmente la somma di € 1200,00. Sottolineava, inoltre, che la figlia disponeva anche di un alloggio.  Secondo il ricorrente, la figlia, anziché lasciare il lavoro per iscriversi all’università, avrebbe dovuto ridurre le ore così da potersi mantenere da sola.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione boccia le doglianze del ricorrente. Gli ermellini sottolineano l’infondatezza del ricorso. Ed in particolare, evidenziano che la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni “non cessa immediatamente ed automaticamente per effetto del raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma perdura finché non venga fornita la prova che quest’ultimo ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.”

Nel caso di specie i giudici di merito, seguendo il sopracitato orientamento, rilevano che la ragazza aveva deciso di riprende gli studi in giovane età (26 anni). La giovane, peraltro, si era sempre impegnata: aveva trovato un’occupazione, ma questa non rispondeva alle sue aspirazioni.

Sotto tale profilo si richiamano i principi del nostro ordinamento in merito. Ed in particolare si richiama l’art. 147 c.c. il quale “impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315bis”.

Pertanto, se da un lato i figli devono impegnarsi negli studi o nel lavoro per rendersi indipendenti, dall’altro è compito dei genitori assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un’occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate.

Potrebbe anche interessarti: “Omesso mantenimento: commette il reato chi non corrisponde il contributo anche se i figli non versano in stato di bisogno”. Leggi qui. 

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Omesso mantenimento: commette il reato chi non corrisponde il contributo anche se i figli non versano in stato di bisogno

2 Maggio 2021 Da Staff Lascia un commento

L’omesso mantenimento da parte del padre obbligato è reato anche se i figli non versano in stato di bisogno perché a provvedere al loro sostentamento è la madre. Ribadisce il superiore principio di diritto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16783 del 2021.

Art. 570 c.p.

L’art. 570 c.p. afferma che “chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore , ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa“.

Prova dell’impossibilità a contribuire al mantenimento della prole

Per essere assolti dal reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare” ex art. 570 c.p. chi è tenuto a corrispondere il contributo deve provare di trovarsi nell’impossibilità ad adempiere. La circostanza che a provvedere ai figli sia l’ex coniuge non incide in alcun modo sull’obbligo di mantenimento.

Il caso

Un uomo vedeva confermata in Appello la condanna per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Il predetto aveva omesso di versare alla ex compagna l’assegno di mantenimento ordinario e la quota delle spese straordinarie per i figli. Tuttavia, la corte di Appello adita, previo riconoscimento delle attenuanti generiche non concesse in primo grado, ne riduceva la pena. 

L’uomo ricorreva in Cassazione

L’uomo, ritenendo non legittima la decisione dei giudici di merito, ricorreva in Cassazione sollevando tre motivi:

1)con il primo contestava le questioni procedurali già sollevate in appello ma respinte;

2)con il secondo lamentava la ricostruzione dei fatti che hanno portato alla condanna contestando, in particolare, la sussistenza dello stato di bisogno dei figli e il mancato accertamento della sua capacità economica a fare fronte all’impegno;

3)con il terzo infine riteneva eccessiva la pena irrogata nei suoi confronti.

Chi è obbligato al mantenimento deve provare di trovarsi in difficoltà economica

Gli Ermellini non accolgono nessuno dei motivi sollevati dal ricorrente e rigettano il ricorso perché inammissibile.

Ed in particolare: Il primo motivo viene ritenuto manifestamente infondato perché si limita a riproporre gli stessi motivi d’impugnazione già sollevati in appello e sui quali la Corte di Appello si è già pronunciata. Il secondo è ritenuto inammissibile perché si limita a proporre una diversa valutazione delle prove. L’imputato interpretala norma in modo errato. Ed invero non deve essere provata  la disponibilità economica a provvedere, quando sussiste un obbligo nei confronti dei propri congiunti, ma, al contrario, per non incorrere nel reato è onere dell’obbligato dimostrare la propria impossibilità ad adempiere. Nel caso di specie nulla l’imputato ha provato in merito. Peraltro alcuna incidenza ha, circa la configurazione o meno del reato, la capacità economica di chi ha diritto al contributo.

Infine anche il terzo motivo viene rigettato perché non competono alla Cassazione le valutazioni di merito per la quantificazione della la pena.

Potrebbe anche interessarti: “Mantenimento figlio maggiorenne, quando cessa?”. Leggi qui.

 

 

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Mantenimento figlio maggiorenne, quando cessa?

18 Novembre 2020 Da Staff Lascia un commento

“L’obbligo di mantenimento legale della prole cessa con la maggiore età del figlio in concomitanza all’acquisto della capacità di agire e della libertà di autodeterminazione; in seguito ad essa, l’obbligo sussiste laddove stabilito dal giudice, ed è onere del richiedente provare non solo la mancanza di
indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro” (Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183).

I fatti

Una donna ricorreva in Cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello di Firenze, in riforma della decisione del Tribunale di Grosseto, revocava l’assegno di mantenimento per il figlio. Quest’ultimo, trentenne,
insegnante precario, secondo la donna aveva redditi modesti. Peraltro, veniva altresì revocata l’assegnazione della casa familiare, poiché il figlio si era trasferito in un’altra provincia per insegnare e la coabitazione si era diradata. 

I Giudici di Appello ritenevano che l’obbligo di mantenimento del figlio viene meno al raggiungimento della capacità di sostentarsi. Ciò è da ritenersi presunto 
oltre i trenta anni, età in cui una persona normale si presume sia autosufficiente anche sotto il profilo economico, salvo comprovati deficit. 
Di conseguenza, secondo la sentenza impugnata, il figlio maggiorenne che da tempo ha terminato gli studi e lavora come insegnante precario deve trovare il modo di mantenersi.

La donna ricorreva in Cassazione

La donna ricorrendo in Cassazione lamentava  la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., per avere la sentenza impugnata erroneamente affermato che il figlio avesse conseguito redditi significativi, sebbene modesti. Sottolineava, inoltre, la ricorrente che il figlio, quale insegnante non abilitato e supplente occasionale, per ottenere la cattedra di ruolo, avrebbe dovuto frequentare un tirocinio formativo a pagamento.
Infine, la donna lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148, 315-bis, 337-sexies e 337- septies c.c., per non aver considerato la Corte di Appello la condizione di precarietà lavorativa del figlio. Secondo
la ricorrente, il marito non aveva provato il raggiungimento di una effettiva e stabile indipendenza economica del figlio. 

La questione

L’ordinanza in esame affronta la questione dei confini tra il diritto al mantenimento della prole maggiorenne e lo speculare obbligo a carico del genitore. Ciò alla luce del principio di autoresponsabilità. 

Sottolineano gli Ermellini che ogni caso deve essere attentamente valutato. Precisano i giudici di legittimità che tale valutazione deve essere ancorata al percorso scolastico e alla situazione del mercato del lavoro nel settore prescelto. Deve essere condotta con rigore proporzionalmente crescente, in
rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo si protragga oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura.

Gli Ermellini sottolineano che integra un dovere del figlio la ricerca 
dell’autosufficienza economica. Pertanto, in attesa di realizzare le sue aspirazioni il figlio ha il dovere di impegnarsi  nella ricerca di un lavoro, affinché possa sostentarsi.

Età del figlio

La Corte di Cassazione individua inoltre l’età al raggiungimento della quale cessa l’obbligo di contribuzione dei genitori nei confronti dei figli maggiorenni, precisando che tale obbligo si estingue con l’acquisto della
capacità di agire e della libertà di autodeterminazione, le quali, così come la capacità lavorativa, si conseguono al raggiungimento della maggiore età, salva la prova a carico del richiedente delle condizioni che giustificano, al contrario, il permanere di tale obbligo.

Decisione della Corte di Cassazione

Sulla base delle superiori considerazioni, la Corte di Cassazione, ritenendo che il giudice d’appello non abbia violato i principi da essa dettati, rigettava il ricorso della donna dichiarando l’infondatezza dei motivi proposti.

Osservazioni


Tema molto attuale è quello affrontato dall’ordinanza in commento, con cui la Suprema Corte torna ad occuparsi dei presupposti e dei limiti del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni. Rispetto i precedenti indirizzi giurisprudenziali gli Ermellini giungono a conclusioni nuove; lasciando emergere un innovativo modo di intendere il rapporto tra genitori e figli in termini di diritti e di obblighi. In particolare, in aderenza con il mutamento dei tempi, è il richiamo del figlio al dovere di autoresponsabilità.


Onere della prova

L’aspetto più innovativo della pronuncia in commento riguarda l’onere probatorio. Nello specifico secondo i giudici di legittimità con il raggiungimento della maggiore età, si verifica una presunzione di idoneità al reddito e, dunque, di autonomia. Tale presunzione può essere vinta dal figlio maggiorenne non autosufficiente dimostrando la sussistenza delle circostanze che giustificano, al contrario, il permanere del diritto al mantenimento.
L’ordinanza in esame sposta, dunque, l’onere della prova sul richiedente. 
L’onere della prova a carico del figlio viene graduato in relazione all’età: invero, secondo l’ordinanza in commento, la prova sarà tanto più lieve quanto più prossima sia l’età del richiedente a quella di un recente maggiorenne; più gravosa all’aumentare dell’età, sino a configurare il “figlio adulto”, in ragione del principio di autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all’impegno profuso, nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa.

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Riduzione reddito a causa del Covid-19, influisce sull’assegno di mantenimento?

16 Settembre 2020 Da Staff Lascia un commento

La riduzione del reddito causa covid-19 influisce sull’assegno di mantenimento? A questa domanda risponde il Tribunale di Terni con una interessante ordinanza del luglio scorso.

I decidenti disponevano la riduzione dell’assegno di mantenimento dei figli posto a carico del padre. Questo perché l’uomo, libero professionista, a causa della situazione emergenziale covid-19, ha subito una drastica contrazione dei propri redditi.

Il caso

Durante un giudizio di divorzio, una donna chiedeva al Tribunale di Terni l’aumento da € 350,00 ad € 400,00 dell’assegno di mantenimento per i figli stabilito a carico del marito. Alla luce dei maggiori costi della scuola, dei corsi extrascolastici e delle spese mediche era necessario che il padre si adeguasse al maggiore bisogno dei figli. Resistente nel giudizio, il marito domandava riduzione dell’assegno da € 350,00 ad € 150,00. Egli infatti a causa della emergenza sanitaria, subiva un’interruzione dell’attività lavorativa ed una conseguenziale contrazione del reddito. Doveva inoltre sostenere i costi del canone di locazione ed ulteriori spese mediche che rendevano ancora più difficile versare la somma già decisa dal Tribunale.

La decisione del Tribunale di Terni.

Il Tribunale effettuava un’attenta valutazione della situazione economica delle parti. Valutava tutte le spese affrontate dall’uomo: le spese mediche, la somma del canone di locazione ma soprattutto gli effetti della pandemia nel suo settore. I decidenti constatavano che il settore dell’uomo, quello della libera professione, era tra quelli maggiormente colpiti dalle conseguenze negative dell’emergenza sanitaria da covid-19.

Ritenevano quindi verosimile che il marito avesse subito una netta riduzione del reddito e che sarebbe stata necessaria una proporzionale riduzione dell’assegno di mantenimento per i figli.

Ai fini della decisione, il Tribunale di Terni si conformava ad un marmoreo principio della giurisprudenza. “In seguito alla separazione o al divorzio la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantire un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo a quello goduto in precedenza (Cass. 2000/15065). E’ altresi’ da considerare che il dovere di provvedere al mantenimento, istruzione ed educazione che impone ai genitori, anche in caso di separazione o divorzio, di far fronte alle esigenze dei figli. Queste non sono riconducibili al solo obbligo alimentare ma si estendono all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale. Ciò fin quando la loro età richieda una stabile organizzazione domestica idonea a rispondere a tutte le necessità di cure ed educazione”. 

Principio di diritto

È evidente l’obbligo di mantenimento che grava su ciascun genitore. Ognuno di loro vi deve contribuire in proporzione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo. Ciò in applicazione di quanto previsto dagli articoli 147 e 337-ter c.c. Pertanto, in caso di riduzione degli introiti è legittima la richiesta volta alla modifica della somma da versare a titolo di mantenimento. 

Tenuto conto di tali principi, il tribunale disponeva la riduzione ad € 200,00 dell’assegno posto a carico del padre per il mantenimento dei figli. I decidenti si riservavano inoltre la possibilità di rideterminare l’assegno qualora mutasse nuovamente la situazione economica dell’uomo.

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Alla base del successo di ogni azienda vi è la particolare attenzione per gli aspetti legali strettamente correlati al business che se correttamente e tempestivamente curati garantiscono alle imprese una sensibile riduzione del contenzioso.

Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.