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diritto di visita

L’affidamento condiviso non presuppone la frequentazione paritaria

18 Marzo 2022 Da Staff Lascia un commento

L’affidamento condiviso, ex art. 337ter c.c.,  non presuppone la frequentazione paritaria. L’affidamento condiviso è volto a garantire al minore il mantenimento del rapporto affettivo con entrambi i genitori.

Ed in particolare, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 16 giugno 2021 n. 17222, afferma che la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente debba essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice, non potendo avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori. Occorre, infatti, garantire al minore la situazione che risulti più idonea a soddisfare le proprie necessità.

Occorre effettuare un bilanciamento tra due esigenze contrapposte: il diritto del figlio ad una relazione piena con entrambi i genitori ed il diritto di questi ultimi ad una piena realizzazione della loro relazione con la prole.

Il caso

A seguito della separazione personale dei coniugi, il tribunale disponeva l’affido condiviso del figlio minore della coppia, con collocazione prevalente presso la madre.

In sede di gravame, la pronuncia di primo grado veniva parzialmente riformata ampliando i tempi di permanenza del minore con il padre. Quest’ultimo però lamentava che la Corte di Appello non avesse ampliato sufficientemente i tempi di visita al figlio e proponeva  ricorso in Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

Gli ermellini, nel rigettare il ricorso proposto dal padre, affermano che lo strumento
dell’affidamento condiviso debba consentire ai genitori una frequentazione paritaria
con il figlio.

Purtuttavia, a detta della Suprema Corte, il giudice può discostarsi da questo principio stabilendo un assetto diverso purché sia volto a tutelare il supremo interesse del minore.

Ciò vuol dire che il giudice non deve operare una ripartizione dei tempi di permanenza che sia simmetrica e paritaria per ciascun genitore. Viceversa, egli deve effettuare una valutazione ben ponderata che possa garantire al minore una crescita serena, tenendo conto del suo diritto ad una relazione piena con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi nei riguardi del figlio.

Potrebbe anche interessarti “Responsabilità genitoriale: decade il genitore che non si cura degli obblighi scolastici dei figli”. Leggi qui. 

 

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Genitore non convivente: non bastano i fine settimana alternati con i figli

7 Ottobre 2019 Da Studio Legale Arcoleo 3 commenti

Al genitore non convivente devono essere garantiti anche gli incontri infrasettimanali con i figli. Secondo la Cassazione non verrebbe rispettato il principio di bigenitorialita’ con i soli incontri a week end alterni. (Cass. n. 9764/2019)

Il Caso

Una coppia si separa. Il Tribunale e la Corte d’Appello decidono per l’affidamento condiviso della figlia minore e il collocamento presso la madre. Il papà, genitore non convivente, avrebbe invece potuto tenere con sé la bambina a fine settimana alternati.

Troppo poco per l’uomo, che quindi ricorre in Cassazione auspicando in un intervento riequilibratore.

Il papà infatti sperava di ottenere anche degli incontri infrasettimanali.

D’altronde non vi erano ragioni che facessero temere l’inidoneità dell’uomo a ricoprire il ruolo genitoriale. Né  la tenera età della figlia costituiva un problema per incontri più frequenti.  Numerosa giurisprudenza aveva già sfatato questo mito.

La soluzione giurisprudenziale

La Suprema Corte si è pronunciata in favore di questo papà, ribadendo dei principi  già affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu).

La Cedu, infatti, aveva posto al centro le “relazioni familiari”, portando quindi ad un graduale superamento della maternal preference.

Quello alla bigenitorialita’ è un diritto che riguarda, prima di tutto, il minore. Al quale dunque deve essere assicurato di poter trascorrere con il genitore non convivente un tempo congruo per l’instaurazione di un solido legame.

Secondo la Cassazione, “sorvegliate speciali” devono essere quelle che la Cedu ha chiamato “restrizioni supplementari”. E cioè quelle restrizioni al diritto di visita che l’autorità giudiziaria impone al genitore non convivente.

Queste restrizioni, secondo gli Ermellini, metterebbero a rischio le relazioni familiari tra un figlio e un genitore, pregiudicando il preminente interesse del minore.

La Cassazione ha altresì sottolineato come la Corte d’Appello non abbia minimamente tenuto in considerazione il comportamento della madre. La donna, infatti, avrebbe ostacolato i rapporti padre- figlio, eludendo ulteriormente il diritto di quest’ultimo alla bigenitorialita’.

È importante ricordare, infatti, che tra i requisiti di idoneità genitoriale vi è la capacità di preservare la continuità del rapporto con l’altro genitore.

Potrebbe interessarti anche: ” Collocamento paritario: quando è preferibile per il minore?”. Leggi qui 

Per approfondire vi invitiamo alla lettura dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti umani (CEDU). Leggi qui

 

 

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I rapporti affettivi non si impongono: sospesi incontri tra padre e figlia

12 Maggio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

I rapporti affettivi sono per loro natura incoercibili. Quindi neanche un tribunale può obbligare un figlio a vedere un genitore contro la sua volontà. Ma i giudici possono fare comunque qualcosa… (Cass. Civ. Ord. 11170/2019)

Nel corso del giudizio di separazione dei genitori, la figlia ha esposto il suo punto di vista al consulente tecnico nominato dal giudice sul suo rapporto con il padre. La ragazza, ormai sedicenne, in più occasioni ha dichiarato di non volere avere rapporti continuativi con il genitore.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello non hanno potuto fare altro che tenere in considerazione la volontà della ragazza e decidere per l’affidamento esclusivo alla madre.

Non solo: la Corte d’Appello, basandosi sul rifiuto della minore, ha escluso la possibilità di incontri tra padre e figlia. Tuttavia, al fine di favorire una graduale ripresa dei rapporti affettivi tra di essi, ha previsto un intervento di supporto dei servizi sociali.

L’uomo ha fatto ricorso in Cassazione. Il suo legale aveva ravvisato che la perizia contenente le dichiarazioni della ragazza fosse nulla e non rispettosa del principio del contraddittorio. Il padre era a sua volta convinto che la volontà della figlia fosse oggetto di manipolizione da parte della sua ex.

Ma la Suprema Corte ha immediatamente fugato i dubbi sulla nullità della perizia redatta dal consulente tecnico d’ufficio. Al riguardo già la Corte territoriale si era espressa circa l’assenza, in essa, di alcun vizio logico.

Gli Ermellini hanno poi con forza sostenuto la validità della decisione non coercitiva della Corte d’Appello. Decisione dettata “dall’esigenza di non imporre rapporti affettivi per loro natura incoercibili ma di favorire attraverso i servizi sociali una normalizzazione dei rapporti padre-figlia”.

Dunque, da un lato, i giudici non hanno voluto imporre alla figlia di vedere il padre contro la sua volontà. Dall’altro però hanno comunque fatto in modo che questo rifiuto non sfociasse in un’interruzione del rapporto senza possibilità alcuna di ricomposizione.

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: diritto di visita, incontri padre figlia, rapporti affettivi, ripresa del rapporto, servizi sociali, volontà del minore

Sì al diritto di visita dei nonni, anche dopo l’adozione del nipote.

18 Aprile 2019 Da Studio Legale Arcoleo 1 commento

La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che i nonni hanno diritto a mantenere relazioni significative con il nipote, anche se questo è stato adottato da un’altra famiglia. (CEDU, sez. III, caso Bogonosovy c. Russia, 5 marzo 2019)

L’adozione del minore da parte di terzi, di regola, comporta la cessazione dei legami con la famiglia d’origine. Tuttavia, nel caso in cui i nonni facciano espressa richiesta di mantenere il vincolo affettivo con il nipote, lo Stato deve adottare adeguate misure in tal senso e garantire loro il diritto di visita. E’ quanto stabilito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

La vicenda riguarda una bambina russa che, a seguito della morte della madre, era stata adottata. La coppia adottiva aveva tempestivamente interrotto i legami con i nonni della piccola, generando in essi un non indifferente stato di preoccupazione.

A nulla portarono le richieste di rimozione degli ostacoli al diritto di visita o, addirittura, di annullamento della sentenza di adozione. Questo ha spinto il nonno -nel frattempo rimasto vedovo- desideroso di mantenere un rapporto con la nipotina, a rivolgersi alla Corte di Strasburgo.

Una precisazione è, pur tuttavia, doverosa.

La legge russa, di base, prevede e riconosce ai nonni il diritto di visita (seppur precluda a questi ultimi l’adozione dei nipoti). Invero, nel caso di specie, lo Stato negò alla coppia di anziani la possibilità di mantenere un legame affettivo con la piccola perché la sentenza di adozione definitiva non disciplinava tale profilo.

In buona sostanza, la legge russa, pur riconoscendo il diritto di visita dei nonni, non dice nulla circa l’iter da seguire per garantire la relazione “nonno-nipote”, nel caso in cui la sentenza di adozione ometta di regolamentare questo aspetto.

Il caso venne, quindi, portato all’attenzione della CEDU. Questa riscontrava, nell’operato dei giudici nazionali, una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Ad avviso dei giudici della Corte, le Corti interne, avrebbero dovuto valutare la richiesta della coppia di mantenere una relazione “post-adozione” e regolare adeguatamente il diritto di visita.

Infatti, il rapporto “nonno-nipote” rientra nel concetto di vita familiare, di cui all’art. 8 CEDU, qualora vi siano legami familiari sufficientemente stretti tra loro. Queste figure contribuiscono indiscutibilmente allo sviluppo psico-fisico del minore, tanto da dare vita ad un legame forte ed indissolubile.

Non è necessaria la sussistenza di una convivenza. Anche i contatti frequenti sono sufficienti a creare relazioni significative tanto da far rientrare questo tipo di rapporti nella predetta categoria (“vita familiare”).

Nel caso in esame, il nonno si era preso cura della bambina per cinque anni, durante l’intera malattia della madre fino al trasferimento presso i genitori adottivi.

In conclusione, questa arbitraria applicazione della legge, secondo la Corte, configura una lesione alla serenità familiare della piccola.

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