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alimenti

Alimenti: anche il fratello vi è tenuto se la sorella è in difficoltà

12 Novembre 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Gli alimenti spettano alla sorella che si trova in stato di bisogno. Il fratello è tenuto al pagamento se le sue sostanze glielo permettono (Cass. ordinanza n. 1577/2019).

L’art. 433 c.c. indica quali sono le persone che devono farsi carico del pagamento degli alimenti in favore di una persona che si trovi in difficoltà. In questo elenco, seppur all’ultimo posto, sono citati i fratelli.

La Corte d’Appello di Genova, in sede di rinvio, ha ridotto a 150,00 euro al mese l’importo degli alimenti che un uomo doveva alla sorella.

Nonostante la riduzione, l’uomo ha proposto nuovamente ricorso in Cassazione. Sosteneva, infatti, di non doversi fare carico di questo obbligo. D’altronde, a suo dire, la sorella non versava in stato di bisogno. 

 Infatti aveva volontariamente interrotto la sua attività di collaboratrice familiare, percepiva una pensione e un contributo mensile da parte del Comune.

Queste somme si equivalevano a quelle che  l’uomo a sua volta percepiva a titolo di pensione.

Tuttavia la Suprema Corte ha valutato che la Corte d’Appello avesse correttamente quantificato l’importo dovuto dall’uomo alla sorella.

La riduzione infatti aveva tenuto conto del fatto che i fratelli sono tenuti agli alimenti solo per lo “stretto necessario” . Ma allo stesso tempo la Corte territoriale aveva tenuto conto che la donna doveva pagare un canone di locazione, non avendo una casa di proprietà. A differenza del fratello che invece era proprietario dell’immobile dove abitava.

Per tutti questi motivi la Suprema Corte ha ritenuto di rigettare il ricorso dell’uomo.

Potrebbe interessarti anche: “Il mantenimento dei figli spetta ai nonni?”. Leggi qui

 

 

 

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Nuova coppia e nuova convivenza? Rischi di perdere il mantenimento!

7 Settembre 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Una nuova convivenza, dopo un divorzio, crea di fatto un nuovo nucleo familiare, pertanto cade il diritto all’assegno di mantenimento. La base del dovere di solidarietà post-matrimoniale, infatti, è proprio nei modelli di vita di coppia condivisi (Tribunale di Ancona, decr. Del 21.05.2018)

Risale al 2005 una sentenza del Tribunale di Ancona secondo cui, tra le varie condizioni, era previsto che il marito riconoscesse un assegno di mantenimento in favore dell’ex moglie. Dopo alcuni anni però, sapendo di una nuova convivenza dell’ex moglie con un nuovo compagno, l’uomo ha richiesto al tribunale la revoca del mantenimento. 

Il Tribunale, in linea con la prevalente giurisprudenza della Cassazione, ha accolto la richiesta del marito. Così anche si era pronunciata la Suprema Corte: la creazione di una nuova famiglia di fatto, elimina qualsiasi collegamento con il tenore di vita precedente dunque cancella qualsiasi giustificazione per il mantenimento (Cass. 6855/2015, n.2466/2016, n. 17195/2011).

Nel nostro caso, durante il processo la donna aveva sostenuto che la convivenza fosse temporanea e dovuta a lavori di ristrutturazione nell’appartamento del nuovo compagno. L’indagine però, aveva smentito la cosa e dimostrato la continuità dell’unione. Lei inoltre aveva rifiutato il lavoro e la polizza assicurativa offerti dall’ex marito in quanto a suo dire sarebbe stata inabile al lavoro per ragioni di salute (cause non provate).

La formazione di una nuova famiglia di fatto esprime una scelta libera e consapevole e svincola l’altro coniuge dal dovere di solidarietà. La convivenza determina la nascita di un nucleo familiare, ed è anche tutelata dalla Costituzione (art. 2 Cost.). Persino la Corte di Strasburgo ha stabilito che anche le relazioni non basate sul matrimonio formano una famiglia (Corte EDU, Shalk ando Kopfc – Austria 24 giugno 2010; Corte EDU, G.C. Valliantos c. Grecia 7 novembre 2013).

Finalmente il 21.05.2018 la sentenza ha revocato l’assegno di mantenimento alla donna, accogliendo invece la richiesta di aumentare quello per i figli, ancora non economicamente indipendenti.

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Il mantenimento dei figli spetta ai nonni?

10 Agosto 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Se il partner non provvede al mantenimento dei figli, i genitori di questo, i nonni, non sono obbligati al versamento degli alimenti ex art. 443 c.c., a meno che per entrambi i genitori non si verifichi uno stato di bisogno e l’impossibilità di trovare lavoro
(Cass. Civile, 2 maggio 2018 n. 20003)

Sempre più spesso capita, in circostanze di separazione o divorzio, che il genitore obbligato a versare l’assegno per il mantenimento dei figli minori non lo faccia.

Cosa può fare l’altro genitore? Può chiedere al Tribunale che i nonni si facciano carico delle spese per i minori al posto del genitore inadempiente?

La Suprema Corte, con una recente sentenza, ha messo dei limiti a questa possibilità, ribadendo che il dovere di mantenimento dei figli minori ex art. 148 c.c. spetta in primo luogo ed in maniera principale ai genitori.

Dunque se uno dei due genitori non provvede al mantenimento dei figli, è l’altro a doversene fare interamente carico, facendo fronte a tutte le sue capacità patrimoniali e lavorative.

Il genitore in difficoltà potrà citare in giudizio il coniuge inadempiente e ottenere che venga condannato a versare un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche globali.

E dunque, in cosa consiste l’obbligo alimentare in capo agli ascendenti ex art. 433 c.c.?

Si tratta di un’obbligazione che non solo non scatta semplicemente perché uno dei due genitori non provvede al mantenimento dei figli, ma non riguarda direttamente i nonni. La causa, infatti investe tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori. Mentre se entrambi i genitori non sono in grado di gestire il mantenimento dei figli, di adempiere al loro diretto e personale obbligo e sussiste un comprovato stato di bisogno con l’impossibilità di trovare un lavoro o di attingere al patrimonio personale, l’obbligo degli alimenti per i nipoti è in linea diretta attribuito ai nonni.

 

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Aspettando Godot: l’attesa è finita, l’assegno di divorzio ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa. (S.U. 18287/2018)

24 Luglio 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Assegno di divorzio: per la sua quantificazione, a gran sorpresa, ritorna il criterio del tenore di vita. Ma non solo: l’assegno sarà  calcolato anche in base al contributo dato in costanza di matrimonio – da chi lo richiede – alla formazione del patrimonio comune e personale, considerando anche la sua eventuale capacità futura di mantenersi autonomamente o di reinserirsi nel mondo del lavoro, alla durata del matrimonio e all’età di chi richiede l’assegno. Verranno quindi riconosciuti e considerati quei “sacrifici” in termini di carriera e crescita economica fatti da uno dei due coniugi, in accordo con l’altro,al fine di dedicarsi alla famiglia; scelte che inevitabilmente si ripercuotono sulla condizione economica di ciascun coniuge quando l’unione finisce. 

La recentissima sentenza delle Sezioni Unite, (n.18287, 11 luglio 2018)  rivoluziona l’interpretazione dei criteri previsti dal legislatore per il riconoscimento in favore di uno dei coniugi dell’assegno di divorzio, adottando un’ottica che si discosta sia da quella con cui nel maggio  2017 la Prima Sezione civile (17 maggio 2017 n. 11504) aveva deciso di superare il “diritto vivente”, sia dall’orientamento tradizionale da cui appunto la Corte, pur decidendo all’interno della sola sezione, aveva deciso di discostarsi. [Leggi di più…] infoAspettando Godot: l’attesa è finita, l’assegno di divorzio ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa. (S.U. 18287/2018)

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