Matrimonio e privacy: possono conciliarsi? In realtà rispondere a questa domanda non è così semplice come sembra. Pare infatti che il matrimonio sia in grado di ridurre il diritto alla privacy del coniuge al punto che «non può ritenersi illecita la scoperta casuale di messaggi su un telefono lasciato incustodito» (Trib. Roma, I sez. civile n. 6432/2016) .
La costante presenza del mondo informatico nelle nostre vite ha influito anche il processo evolutivo giurisprudenziale. Infatti l’attuale giurisprudenza ritiene di dover tutelare anche la libertà e la segretezza della corrispondenza tramite mail, whatsapp e i principali social networks.
Quando si configura il reato?
La riservatezza è tutelata dalla Costituzione e rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo.
Tuttavia, per l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, la natura del vincolo matrimoniale comporta un affievolimento della riservatezza di ciascun coniuge.
Ma ciò non vuol dire non avere diritto alla propria privacy. La privacy va rispettata anche dal coniuge. Infatti, già con la sentenza n.6727/1994, la Cassazione ha riconosciuto piena compatibilità tra il diritto alla riservatezza e la vita coniugale. In particolare i giudici hanno precisato che il diritto alla privacy non può essere violato nemmeno in caso di infedeltà.
Conseguenze
L’eventuale utilizzo improprio del cellulare del coniuge, o l’accesso illecito ai profili online, può costituire reato.
Quale? o il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico art. 615 ter c.p.; o il reato di violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza art. 616 c.p., entrambi puniti con la reclusione.
Tutto questo trova conferma in una sentenza del 2014 con la quale la Cassazione ritiene che qualsiasi elemento ottenuto violando la privacy del coniuge è inutilizzabile durante il processo penale.
In sede civile vale lo stesso principio?
Diverso orientamento si riscontra in ambito civile, ove trova applicazione il c.d. criterio della gerarchia mobile.
Tale criterio consente al giudice di operare un controbilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto alla difesa processuale. Quest’ultimo non ostacolabile in alcun modo. A tal proposito il tribunale di Roma con sentenza n.6432/2016 ha precisato che la convivenza, e la conseguenziale condivisione degli spazi, implica la possibilità di entrare in contatto con i dati personali del coniuge. Questo non necessariamente implica un’acquisizione illecita.
Inoltre nel nostro ordinamento è il Giudice a decidere sull’ammissibilità e l’utilizzabilità delle prove prodotte dalle parti in un giudizio civile.
In particolare in caso di separazione, anche se le prove sono state assunte con modalità illecite, il Giudice può ammetterle. Ciò avviene quanto tali prove sono necessarie per esercitare il diritto di difesa. Ad esempio per sostenere la domanda di addebito della separazione a carico dell’altro.
E’ bene ricordare che ricorrere a mezzi che violano i diritti è un rimedio estremo da utilizzare con cautela.
Potrebbe anche interessarti “Offendere sui Social Network è reato: una nuova diffamazione”, leggi qui.