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Proprietà digitale: aspetti successori

13 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

 

La proprietà digitale

In un mondo sempre più tecnologico e informatico particolare rilevanza giuridica assume la proprietà digitale. Quest’ultima costituisce ormai parte integrante del patrimonio di un individuo. Oggetto di tale proprietà sono foto, video, musica, file di testo o qualunque altro file multimediale.

Il legittimo proprietario può ovviamente disporre di tali beni, essendo libero di condividerli o di celarli a terzi. Frequente è infatti l’utilizzo di apposite credenziali. Queste di solito costituite dal nome utente e dalla password, che consentono l’accesso a dati sensibili o file personali.

Tuttavia vi  è una profonda differenza tra disponibilità delle credenziali e la titolarità dei beni che la credenziale medesima custodisce. Il possesso delle prime non determina infatti la proprietà sulle seconde.

Cosa accade se muore il proprietario?

La tematica risulta essere particolarmente interessante in caso di decesso del legittimo proprietario. Non è infatti raro che sorgano controversie tra gli eredi titolari dei beni digitali e i gestori dei servizi on-line. In questi casi di fondamentale importanza risultano essere le condizioni generali predisposte dai gestori e accettate dagli utenti. Uno dei casi più comuni è la richiesta di accesso da parte dei congiunti ai profili social del deceduto, o alla sua email.

L’attualità della tematica ha reso indispensabile  introdurre nel nostro ordinamento una specifica disciplina in materia di eredità digitale. In passato la fattispecie veniva ricondotta nel D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196. L’art. 9 comma 3, affermava che “I diritti di cui all’articolo 7[…] concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato o per ragioni familiari meritevoli di protezione”. L’art. 7 prevedeva una serie di diritti riferiti ai dati personali, quali a conferma dell’esistenza di tali dati e le finalità e modalità di trattamento.

Ricondurre in modo esaustivo tale previsione normativa al contesto della successione nel patrimonio digitale era particolarmente complicato. Spesso si rendevano necessarie forzature,  vista l’eterogeneità del contenuto di tale bene.

Normativa di riferimento

La normativa fino ad ora esaminata è stata abrogata dal D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101. Adesso la norma di riferimento è l’art. 2-terdecies. In particolare, la stessa disciplina i diritti riguardati le persone decedute. Il terzo comma del suddetto articolo rappresenta una novità. Esso prevede la possibilità che l’interessato vieti l’esercizio di siffatti diritti. Tale norma tutela la facoltà del soggetto di decidere liberamente la sorte dei propri dati digitali. Va però precisato che il divieto deve risultare in modo non equivoco e specifico. La scelta dell’interessato deve dunque essere libera e consapevole ed è ogni momento modificabile e revocabile.

La libertà del soggetto non è tuttavia illimitata. Il divieto non può infatti produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti derivanti dalla morte dell’interessato.

L’art. 2-terdiecies ha dunque effettuato un importante bilanciamento di interessi. Da un lato l’esigenza di tutela della libera determinazione volitiva del soggetto interessato. Dall’altro la difesa delle ragioni economiche e patrimoniali dei terzi aventi diritto.

Potrebbe interessarti “Matrimonio e privacy: possono conciliarsi?”, leggi qui.

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Matrimonio e privacy: possono conciliarsi?

4 Novembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Matrimonio e privacy: possono conciliarsi? In realtà rispondere a questa domanda non è così semplice come sembra. Pare infatti che il matrimonio sia in grado di ridurre il diritto alla privacy del coniuge al punto che «non può ritenersi illecita la scoperta casuale di messaggi su un telefono lasciato incustodito» (Trib. Roma, I sez. civile n. 6432/2016) .

La costante presenza del mondo informatico nelle nostre vite ha influito anche il processo evolutivo giurisprudenziale. Infatti l’attuale giurisprudenza ritiene di dover tutelare anche la libertà e la segretezza della corrispondenza tramite mail, whatsapp e i principali social networks. 

Quando si configura il reato?

La riservatezza è tutelata dalla Costituzione e rientra tra i diritti inviolabili dell’uomo.

Tuttavia, per l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, la natura del vincolo matrimoniale comporta un affievolimento della riservatezza di ciascun coniuge.

Ma ciò non vuol dire non avere diritto alla propria privacy. La privacy va rispettata anche dal coniuge. Infatti, già con la sentenza n.6727/1994, la Cassazione ha riconosciuto piena compatibilità tra il diritto alla riservatezza e la vita coniugale. In particolare i giudici hanno precisato che il diritto alla privacy non può essere violato nemmeno in caso di infedeltà.

Conseguenze

L’eventuale utilizzo improprio del cellulare del coniuge, o l’accesso illecito ai profili online, può costituire reato.

Quale? o il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico art. 615 ter c.p.; o il reato di violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza art. 616 c.p., entrambi puniti con la reclusione.

Tutto questo trova conferma in una sentenza del 2014 con la quale la Cassazione ritiene che qualsiasi elemento ottenuto violando la privacy del coniuge è inutilizzabile durante il processo penale.

In sede civile vale lo stesso principio?

Diverso orientamento si riscontra in ambito civile, ove trova applicazione il c.d. criterio della gerarchia mobile.

Tale criterio consente al giudice di operare un controbilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto alla difesa processuale. Quest’ultimo non ostacolabile in alcun modo. A tal proposito il tribunale di Roma con sentenza n.6432/2016 ha precisato che la convivenza, e la conseguenziale condivisione degli spazi, implica la possibilità di entrare in contatto con i dati personali del coniuge. Questo non necessariamente implica un’acquisizione illecita.

Inoltre nel nostro ordinamento è il Giudice a decidere sull’ammissibilità e l’utilizzabilità delle prove prodotte dalle parti in un giudizio civile.
In particolare in caso di separazione, anche se le prove sono state assunte con modalità illecite, il Giudice può ammetterle. Ciò avviene quanto tali prove sono necessarie per esercitare il diritto di difesa. Ad esempio per sostenere la domanda di addebito della separazione a carico dell’altro.

E’ bene ricordare che ricorrere a mezzi che violano i diritti è un rimedio estremo da utilizzare con cautela.

Potrebbe anche interessarti “Offendere sui Social Network è reato: una nuova diffamazione”, leggi qui.

Archiviato in:I nostri articoli Contrassegnato con: diritto alla riservatezza, matrimonio, privacy, riservatezza tra coniugi, violazione privacy

Le foto del tradimento trovate nel pc non sono prova per l’addebito della separazione

8 Novembre 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Le foto del tradimento che ritraggono il partner durante un rapporto sessuale non possono essere usate in giudizio per provare l’addebito della separazione. E’ violazione della privacy. (Tribunale di Larino 9 agosto 2017 n. 398).

Nel settembre 2012 una coppia si sposa. Dopo il viaggio di nozze negli USA i due si stabiliscono in Turchia, ad Instambul, dove lui già da tempo lavora. Neanche un anno dopo, nel giugno 2013, il matrimonio è al capolinea.

Lui si rivolge al competente Tribunale italiano per chiedere la separazione dalla moglie senza il riconoscimento dell’assegno di mantenimento in suo favore. L’uomo sosteneva che la moglie non aveva mai fatto nulla per ambientarsi nella nuova realtà. Perciò era solita fare rientro in Italia frequentemente, lasciandolo solo in Turchia anche per mesi.

Dal canto suo la donna racconta una situazione ben diversa. Afferma che i primi mesi di matrimonio erano stati molto sereni. Racconta dell’emozione per i lavori di ristrutturazione della loro nuova casa. Di avere iniziato ad inserirsi nella realtà turca, anche dando lezioni di lingua italiana ai turchi. E che in occasione di un suo rientro in Italia, finalizzato ad ottenere il permesso di soggiorno definitivo, il marito non aveva mostrato alcuna insofferenza.

La donna svelò anche il reale motivo della fine del matrimonio. Infatti, nell’inviare una mail dall’unico pc presente nella casa coniugale, la donna si è imbattuta in un numero infinito di foto che ritraevano il marito durante rapporti sessuali. Si trattava di foto di natura inequivocabilmente  pornografica, ambientate peraltro nella casa coniugale.

Di fronte a questo palese tradimento la donna chiede la separazione con addebito al marito, il mantenimento per sè, e la somma di Euro 300.000,00 a titolo di risarcimento.

A sostegno della sua richiesta di addebito la donna produce in giudizio le foto del tradimento. Sembrerebbero delle prove schiaccianti. E invece il Tribunale di Laurino rigetta la richiesta di addebito. Perché?

Perché quelle foto del tradimento immortalavano l’uomo durante lo svolgimento della sua vita sessuale. E i dati inerenti la salute e la vita sessuale sono “dati sensibili”. 

E i dati sensibili, ai sensi dell’art. 26 del codice della privacy (D.Lgs. 193 del 2003), possono essere diffusi solo con il consenso dell’interessato e con l’autorizzazione del Garante della protezione dei dati personali.

Non ricorrendo nessuna di queste due circostanze, le foto del tradimento sono, a detta del giudicante, inutilizzabili in giudizio.

Con questa pronuncia il Tribunale di Laurino ha sancito, quindi, la prevalenza del diritto alla privacy  su quello ad agire e difendersi in giudizio. Non ci resta che aspettare di vedere se la moglie ricorrerà o meno in appello.

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