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I nostri articoli

Malattia mentale: può determinare automaticamente l’inidoneità genitoriale?

30 Dicembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Malattia mentale: essere affetti da malattia mentale può automaticamente determinare una
inidoneità genitoriale tale da condurre alla dichiarazione di adottabilità del minore?
Ad affrontare tale quesito giuridico è la Suprema Corte di Cassazione che, con
sentenza n. 21992 del 12 luglio del 2022, mette in rilievo come l’adozione del minore
rappresenti una misura eccezionale a carattere residuale.
Ed in particolare, la Corte di Cassazione precisa come sia possibile ricorrere a tale
strumento solo ove sia riscontrato l’effettivo stato di abbandono a causa dell’assenza
di assistenza morale e materiale ex art 147 c.c. da parte dei genitori o di altri parenti tenuti a
provvedervi.

Il caso

Una bambina nasceva da una breve relazione intercorsa tra una signora ricoverata presso un centro di salute mentale ed un paziente psichiatrico della medesima struttura. Quest’ultimo, successivamente, non procedeva a riconoscere la figlia.
Il Tribunale per i Minorenni collocava la diade mamma/bambina all’interno di una
 comunità, disponendo al contempo che venissero monitorate le capacità genitoriali
della madre. Successivamente, veniva dichiarato dal Tribunale lo stato di adottabilità della minore a
causa delle condizioni di abbandono in cui versava la figlia per l’incapacità della madre di fornirle le adeguate cure materiali e psicologiche. Tale sentenza veniva impugnata dalla madre e dalla nonna materna, le quali ricorrevano in appello chiedendo la revoca dello stato di adottabilità e l’affidamento
della minore alla madre o, in subordine, alla nonna.

La Corte di Appello rigettava le doglianze delle predette adducendo la compromissione delle capacità cognitive della madre, non effettivamente sintonizzata con le esigenze della figlia. La Corte di Appello, al contempo, sottolineava l’incapacità della nonna materna di esercitare la funzione genitoriale in luogo della figlia a causa del rapporto conflittuale intercorrente tra madre e figlia, oltre che per i disturbi
psicologici di cui anch’ella era affetta.

La decisione della Suprema Corte

Avverso questa pronuncia, sia la madre che la nonna materna, proponevano due
distinti ricorsi per Cassazione a seguito dei quali veniva dalla Suprema Corte affrontava la questione che segue. Essere affetti da una determinata malattia mentale può automaticamente implicare una inidoneità genitoriale?
Ebbene, gli Ermellini rispondono di no a tale quesito accogliendo i motivi di impugnazione delle ricorrenti e rinviando alla Corte d’Appello.
A fondamento di tale decisione la Suprema Corte sottolinea come essere affetti da una malattia mentale non possa automaticamente determinare una inidoneità genitoriale tale da condurre alla dichiarazione dello stato di adottabilità del minore. In tal caso, infatti, è doveroso porre in essere un adeguato approfondimento delle capacità genitoriali del genitore di riferimento al fine di valutare che sia in grado di garantire alla prole una sana ed armoniosa crescita.
Ed ancora, deve verificarsi concretamente se lo stato di abbandono in cui versi in quel momento il minore sia definitivo o solo transitorio tenendo a mente che il primario diritto del minore, che gli deve essere garantito, è quello di crescere all’interno della propria famiglia d’origine.

Extrema ratio

Secondo la Suprema Corte, la possibilità che si giunga a dichiararne lo stato di adottabilità deve essere sempre considerata quale extrema ratio da applicarsi solo in caso di irreversibile venir meno delle capacità genitoriali dei genitori e dei relativi familiari (entro il quarto grado) eventualmente disponibili a prendersi cura del minore.
Di conseguenza, lo stato di adottabilità non può essere in ogni caso dichiarato in presenza dei suddetti presupposti, dovendo invece ravvisarsi evidenti carenze nelle
capacità genitoriali e criticità nella salute psicologica dei genitori, unitamente a comportamenti che determinino un effettivo pregiudizio nella crescita del minore.

Potrebbe anche interessarti: “In tema di affidamento, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole”. Leggi qui. 

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: adottabilità, genitori, idoneità genitoriale, malattia, minore, minori, superiore interesse

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. art. 5 della legge 898/1970?

13 Dicembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. 5 della l. n. 898/1970?

Ad affrontare tale questione è la Corte di Cassazione che, con ordinanza n. 26672 del 2022, ricorda che ogni assegno divorzile ha una propria natura e torna a ribadire che il giudice può decidere di valorizzare in misura preponderante, tra i vari criteri legali utilizzabili ai fini della quantificazione dello stesso, quello ritenuto più confacente al caso concreto.

Il caso

A seguito della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale poneva a carico dell’ex marito il pagamento di un assegno divorzile in favore della ex moglie pari ad € 1.300,00 mensili. Tale decisione veniva confermata anche in sede di appello in quanto la Corte di merito, pur riconoscendo che la quantificazione dell’assegno divorzile debba tenere conto dei parametri indicati dall’art. 5 della l. n.
898/1970, riteneva di dover dare rilievo al consistente divario reddituale esistente tra le parti, specie in considerazione della malattia da cui era affetta la donna.

Avverso tale statuizione, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione lamentando che la Corte d’Appello non avrebbe effettuato un adeguato bilanciamento di tutti i parametri indicati dalla suddetta norma giuridica soffermandosi unicamente sulla malattia di cui era affetta la ex moglie e sulla disparità reddituale esistente tra gli ex coniugi.
In particolare, secondo il ricorrente, il tetto massimo della misura dell’assegno divorzile era stato sicuramente superato, in quanto l’importo attribuito a titolo dello stesso andava ad aggiungersi alla pensione percepita dalla ex moglie, nonché al godimento integrale, da parte di quest’ultima, della proprietà della casa familiare, di cui era divenuta titolare esclusiva, a seguito della cessione da parte dell’uomo della quota di sua spettanza in adempimento degli accordi di separazione.

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini si soffermano, quindi, sul seguente quesito giuridico: ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile il giudice deve tenere conto di tutti i parametri di cui alla l. n. 898/1970, art. 5, comma 6, oppure può attribuire valore solo ad alcuni di essi escludendo, quindi, gli altri?

La Suprema Corte, fin da epoca risalente, ha avuto più volte modo di chiarire che i giudici di merito, nel quantificare l’importo dell’assegno divorzile, non è tenuto a prendere in considerazione tutti i criteri indicati dall’art. 5, l. n. 898/1970, essendo, piuttosto, necessario che lo stesso giustifichi in modo adeguato le sue valutazioni.

Pertanto, deve escludersi la necessità di una puntuale e contemporanea considerazione da parte del giudice di tutti i parametri di riferimento indicati nella legge divorzile.
Di conseguenza, secondo la Cassazione, il giudice di merito può anche prescindere dal
prendere in considerazione taluni parametri e tale scelta discrezionale non è sindacabile in sede di legittimità.
Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di appello ha deciso, da un lato, di porre al centro il consistente divario reddituale esistente tra le parti e, dall’altro lato, la particolare situazione di salute in cui versava la ex moglie.
Quest’ultima, infatti, poteva contare come introito sull’esclusivo assegno pensionistico e, data la sua grave invalidità, si trovava, in ogni caso, nella condizione di non avere risorse sufficienti per far fronte alle sue necessità di vita condizionate dalla malattia,

In conclusione, secondo la Cassazione, la Corte di merito ha espresso un giudizio consentito e, poiché adeguatamente motivato, neppure sindacabile in sede di legittimità.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: assegno di divorzio, assegno di mantenimento, assegno divorzile, divorzio, ex marito, ex moglie, separazione

In tema di affidamento, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole

25 Novembre 2022 Da Staff Lascia un commento

In tema di affidamento, il criterio fondamentale è costituito dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole.

A confermare il summenzionato principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 21425 del 6 luglio 2022.

Il caso

Una coppia, dopo un periodo di frequentazione, intraprendeva una convivenza e dalla loro relazione sentimentale nascevano due figlie. 

La madre, qualche anno dopo e senza il consenso del padre, si trasferiva con le figlie minori presso l’abitazione dei propri genitori a circa 70 km di distanza dalla casa familiare.

Il Tribunale territorialmente competente, adito dal padre, disponeva a causa di tale condotta, l’affido esclusivo delle figlie minori in favore di quest’ultimo con collocamento prevalente presso la di lui casa familiare. Il Tribunale incaricava, inoltre, i Servizi Sociali di monitorare il nucleo familiare.

La madre impugnava innanzi alla Corte d’Appello territorialmente competente il suddetto provvedimento di primo grado ma i giudici di secondo grado respingevano il reclamo dalla stessa proposto. Ciò in quanto i giudici sostenevano che lo stato di sofferenza morale e psicologico di cui era affetta la madre delle minori non poteva giustificare una scelta talmente grave ed arbitraria come quella di sradicare le figlie dal consueto ambiente familiare, amicale e scolastico, senza il consenso dell’altro genitore.

La Corte d’Appello affermava che la decisione della madre di allontanarsi con le bambine dalla casa familiare, senza il consenso paterno, era tale da giustificare il provvedimento estremo di affidamento esclusivo delle minori al padre. Veniva, pertanto, confermato l’affidamento esclusivo delle figlie al padre in quanto ritenuto un genitore maggiormente idoneo, in grado di occuparsi delle minori e supportato in tal senso da una adeguata rete familiare. 

La decisione della Corte di Cassazione

La madre proponeva, quindi, ricorso per Cassazione lamentando che la decisione di cui sopra non fosse stata supportata da alcuna approfondita indagine in merito alla idoneità genitoriale della madre ed in merito ad eventuali traumi che le minori avrebbero potuto subire a causa dell’allontanamento dalla figura materna. 

La Corte di Cassazione, con la summenzionata ordinanza, analizza quali verifiche il giudice deve necessariamente compiere prima di adottare la decisione di affidare i figli in via esclusiva ad uno solo dei genitori. 

Ebbene, gli Ermellini accolgono il ricorso presentato dalla madre e rinviano la causa alla Corte d’Appello territorialmente competente in diversa composizione per una concreta riesamina del nucleo familiare di cui in oggetto. 

Ciò in quanto i giudici di secondo grado, nel disporre l’affidamento esclusivo delle figlie al padre, non hanno valutato adeguatamente le capacità genitoriali della madre. 

Ed infatti, nell’interesse superiore dei minori, deve sempre essere assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio. Trattasi, del resto, di un diritto del minore prima ancora che dei genitori. 

Ogni decisione che si ponga il problema di privilegiare l’interesse del minore in prospettiva futura deve essere presa a seguito di un difficilissimo bilanciamento di interessi al fine di evitare di produrre al minore una sofferenza immediata qualora sia invece altamente probabile che in futuro la scelta opposta non causerebbe allo stesso un danno elevato, tale da lasciare strascichi traumatici.  

Nessuna valutazione in tal senso era stata operata dai giudici di secondo grado non essendo stata in alcun modo dimostrata la presunta inidoneità della madre che non può essere considerata tale solo per effetto della scelta sopra posta in essere.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: affidamento condiviso, affidamento esclusivo, divorzio, figli minori, minorenne, separazione, superiore interesse

I nonni devono mantenere i nipoti se i genitori non possono farlo

14 Novembre 2022 Da Staff Lascia un commento

I nonni devono mantenere i nipoti se i genitori non possono farlo. A confermare il
summenzionato principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza
interlocutoria n. 30368/2022.

Il caso

Nell’ambito del giudizio di primo grado, il Tribunale poneva a carico dei nonni l’obbligo
di corrispondere in favore della madre del minore la somma mensile pari ad € 200,00
a titolo di contributo al mantenimento dello stesso. Tale somma, in particolare,
doveva essere corrisposta in sostituzione al mantenimento cui avrebbe dovuto
provvedere il padre attesa l’impossibilità per la madre del minore di far fronte da sola
a tutte le spese necessarie per il mantenimento del minore.
La nonna paterna in capo a cui veniva corrisposto tale obbligo impugnava la decisione
del Tribunale ma i giudici di secondo grado rigettavano la sua richiesta e così il caso
giungeva sino alla Corte di Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

Esaminato il ricorso, i giudici della Corte di Cassazione rilevano che, secondo l’art. 316
bis c.c., i nonni sono gli ascendenti più prossimi ai minori che devono provvedere al
loro mantenimento nel caso in cui i genitori non riescano a farlo.
Ed infatti, sul punto, gli Ermellini sono chiari disponendo che
“l’obbligazione solidaristica, sussidiaria e subordinata grava proporzionalmente su tutti gli
ascendenti di pari grado indipendentemente da chi sia il genitore che ha creato
l’insorgenza dello stato di insufficienza dei mezzi economici”.
Questo obbligo, secondo la Suprema Corte, va inteso non solo nel senso
che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a
quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa
rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il
proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di
mantenerli ma solo ed esclusivamente qualora i genitori non siano in grado di
adempiere al loro diretto e personale obbligo.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: divorzio, figli non autosufficienti, mantenimento, mantenimento ascendenti, mantenimento figli, separazione

Infedeltà del coniuge: la sopportazione dell’infedetà non esclude l’addebito della separazione

20 Ottobre 2022 Da Staff Lascia un commento

Infedeltà del coniuge: la sopportazione dell’infedeltà del coniuge non esclude l’addebito della separazione.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, l’atteggiamento di tolleranza del marito nei
confronti della moglie non è sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di
addebito della separazione.
A stabilire il summenzionato principio di diritto è la Corte di Cassazione, con
ordinanza n. 25966 del 2 settembre 2022.

Il caso

Nell’ambito di un travagliato procedimento per separazione di un noto imprenditore
italiano, quest’ultimo adiva la Corte di Cassazione censurando la sentenza emessa
dalla Corte d’Appello di merito nella parte in cui rigettava la domanda di addebito
della separazione dallo stesso proposta nei confronti della moglie.
Ed in particolare, il ricorrente sosteneva come la tolleranza, dallo stesso manifestata,
nei confronti di precedenti relazioni extraconiugali avute dalla moglie nel corso del
matrimonio non impedisse di lamentarsi di ulteriori relazioni extraconiugali successive.
Ciò, soprattutto, quando, come nel caso in esame, le stesse siano risultate numerose
e continuate.

La decisione della Corte di Cassazione

Ebbene, i giudici di legittimità ritengono fondata la censura mossa dal ricorrente.
Ed in particolare, ad avviso degli Ermellini, l’accettazione da parte del ricorrente di
comportamenti lesivi del dovere di fedeltà tenuti dalla moglie anni prima della
proposizione della domanda di separazione non può escludere di far valere, quale
causa di addebito, analoghi comportamenti tenuti successivamente dalla donna.
In tema di separazione personale dei coniugi, la giurisprudenza sostiene che la
dichiarazione di addebito implica la prova che l’irreversibile crisi coniugale sia da
ricondurre in via esclusiva al comportamento, tenuto da uno dei coniugi, che sia
consapevolmente e volontariamente contrario ai doveri nascenti del matrimonio.
Tale principio è, peraltro, applicabile anche all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà
coniugale, ritenuta sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge
responsabile.

Alla stregua di tali pacifici assunti, la Corte di Cassazione afferma che la tolleranza
manifestata dal ricorrente nei confronti della relazione extraconiugale intrapresa dalla
moglie alcuni anni prima della proposizione della domanda di separazione non
esclude la possibilità di fare valere, quale causa di addebito, analoghi comportamenti
tenuti successivamente dalla donna.
Ciò in quanto, a tale ultimo fine, occorre prendere in esame la successiva evoluzione
del rapporto coniugale accertando se si siano verificate nuove violazioni del dovere di
fedeltà e quale sia stata la reazione dell’altro coniuge.
Ed in particolare, ciò che è necessario verificare è se a seguito della cessazione della
predetta relazione la vita coniugale sia ripresa regolarmente, senza ulteriori violazioni
del dovere di fedeltà, oppure se la donna abbia intrapreso altre relazioni
extraconiugali senza che il marito vi desse importanza.
Solo ed esclusivamente in tali ipotesi, secondo gli Ermellini, si sarebbe potuto
concludere che non erano state le iniziali infedeltà ad impedire la prosecuzione della
convivenza, divenuta intollerabile per altre ragioni, che avevano fatto venir meno
l’affectio coniugalis.

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Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: addebito separazione, divorzio, pronuncia di addebito, separazione, separazione giudiziale, tradimento

Sepoltura: Il coniuge può scegliere il luogo di sepoltura del consorte solo in assenza di una volontà espressa

5 Ottobre 2022 Da Staff Lascia un commento

Sepoltura: il coniuge può scegliere il luogo di sepoltura del consorte solo in assenza di una
volontà espressa.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione, la scelta del luogo di sepoltura del coniuge spetta al consorte sopravvissuto solo ove il coniuge deceduto non abbia espresso a tal proposito alcuna volontà dimostrabile in qualsiasi modo, anche mediante prova testimoniale.

A stabilire il summenzionato principio di diritto è la Corte di Cassazione con ordinanza
n. 2218/2022.

Il caso

Un coniuge superstite, a seguito del decesso della moglie, agiva in giudizio per chiedere al Tribunale competente lo spostamento del luogo di sepoltura della predetta presso il cimitero sito nel luogo di residenza della coppia.

La domanda veniva rigettata sia in primo grado sia da parte della Corte d’Appello
competente.

Ed in particolare, tale ultima Autorità si occupava di indagare quali fossero state le volontà manifestate in vita dalla defunta circa il proprio luogo di sepoltura. Dopo avere escusso le relative prove testimoniali, la Corte d’Appello territorialmente competente rigettava la richiesta di spostamento del luogo di sepoltura della defunta moglie ritenendo attendibili e coerenti con tale decisione le dichiarazioni dei testimoni
più vicini alla defunta nel suo ultimo periodo di vita.

La decisione della Corte di Cassazione

Il coniuge superstite proponeva, quindi, ricorso per Cassazione avverso la decisione
della Corte d’Appello. La Suprema Corte stabiliva il principio di diritto secondo cui, in assenza di disposizione testamentaria, la volontà del de cuius in ordine al proprio luogo di sepoltura può
essere dimostrata con qualunque mezzo, compresa la prova testimoniale, non sussistendo un diritto del coniuge superstite in ordine a tale scelta.
È, infatti, pacifica per la giurisprudenza di legittimità la prevalenza del diritto del coniuge superstite, su quello di altri congiunti, di scegliere il luogo di sepoltura del coniuge defunto in mancanza di volontà espressa al riguardo da parte di quest’ultimo.
Tuttavia, gli Ermellini non ritenevano applicabile tale principio di diritto nel caso di specie. E ciò in virtù del fatto che il desiderio della defunta in merito fosse stato ben espresso e desunto dalle testimonianze delle persone che erano state più vicine alla stessa durante il suo ultimo anno di vita.

Pertanto, ad avviso della Suprema Corte, i giudici di secondo grado hanno correttamente ritenuto dimostrata la volontà specifica espressa da parte attrice.

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Assegno di divorzio, se l’ex coniuge è malato prevale la disparità patrimoniale

16 Settembre 2022 Da Staff Lascia un commento

Assegno di divorzio: se l’ex coniuge è malato prevale la disparità patrimoniale.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, nella definizione del quantum dell’assegno
di mantenimento, il giudice può attribuire maggiore rilevanza ad alcuni dei parametri
previsti dall’art. 5, comma 6, della L. n. 898/1970, trascurandone altri.
A stabilire il summenzionato principio di diritto è la Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 26672 del 9 settembre 2022.


Il caso

Un uomo veniva condannato al pagamento, in favore della ex moglie, di un assegno
divorzile pari ad € 1.300,00 mensili da rivalutarsi annualmente secondo gli indici
ISTAT.
Il predetto proponeva ricorso in Cassazione facendo leva sul fatto che la ex moglie, sia
pure affetta già nel corso del matrimonio da una grave malattia, percepiva una
modesta pensione e, pertanto, non avesse diritto a percepire un assegno divorzile
così elevato.


La decisione della Suprema Corte

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’ex marito
stabilendo il principio secondo cui, nel caso concreto, andasse privilegiato l’aspetto
della disparità patrimoniale. Ciò soprattutto in virtù del fatto che la ex moglie soffrisse
già da anni di una grave malattia, c.d. infiammazione demielinizzante, oltre a
percepire una modestissima pensione.
Ebbene, per la Suprema Corte, nella quantificazione dell’assegno di divorzio, il giudice
non è obbligato a tenere contemporaneamente in considerazione tutti i parametri di
riferimento indicati dall’art. 5 della legge sul divorzio.
Il giudice, infatti, secondo gli Ermellini, può anche prescindere da alcuni di detti
parametri purché, beninteso, giustifichi e motivi adeguatamente le proprie
valutazioni. Trattasi, in tal caso, di una “scelta discrezionale non sindacabile in sede di
legittimità”.
È proprio quanto effettuato, nel caso concreto, dal giudice di merito, il quale ha
attribuito maggiore rilievo ad alcuni dei summenzionati parametri in luogo di altri.
La sentenza impugnata, infatti, dopo avere evidenziato che le parti erano state
sposate per 11 anni, ha evidenziato che la donna era afflitta da tempo da una malattia degenerativa; con un decorso caratterizzato nel tempo da ricadute che hanno compromesso i sistemi neurologici motori, cerebrali, sensitivi e sfinterici.
Tale aspetto, pertanto, fa sì che i parametri relativi all’apporto di contributo personale ed
economico alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio personale o
comune debbano considerarsi, nel caso di specie, irrilevanti.

Per tale motivo, la Suprema
Corte ha respinto le motivazioni presentate dal ricorrente e confermato l’ammontare
dell’assegno divorzile nei confronti dell’ex moglie.

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570 bis c.p.: non commette reato il padre che non versa il mantenimento per vivere

8 Settembre 2022 Da Staff Lascia un commento

570 bis c.p. : non commette reato il padre che dimostri di non versare il mantenimento per vivere.

La Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale, con la Sentenza n. 32576/2022 del 15 giugno 2022, afferma un principio rivoluzionario.  Ed in particolare sostiene che occorre sempre effettuare un bilanciamento tra i diritti in contesa prima di addivenire alla condanna ex art. 570 bis c.p. Nel caso specifico tra quello del padre di badare alle proprie spese necessarie per vivere e quelle dei figli di ricevere il mantenimento.

Il caso

Un uomo veniva condannato dal Tribunale di Treviso per il reato previsto e punito dall’art. 570 bis c.p. per aver omesso il versamento del mantenimento in favore dei figli.

Tale sentenza veniva confermata anche in sede di gravame dalla Corte di Appello di Venezia.

A nulla era servito, nel giudizio di merito, provare lo stato di indigenza sofferto dal padre. 

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo ricorre per Cassazione contro la condanna.  Il ricorrente individua tra i motivi del ricorso l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di omettere il versamento di quanto dovuto a titolo di mantenimento.

Il padre sottolinea di trovarsi in una grave situazione economica che rende impossibile la prestazione. Ed in particolare il ricorrente dimostra di avere perso il lavoro e di non essere riuscito a reperirne un altro nonostante gli innumerevoli tentativi di trovarlo.

Prova dell’impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi di mantenimento anche le ripetute richieste di prestito rivolte dal ricorrente a parenti ed amici per il proprio sostentamento.

La decisione della Suprema Corte

Secondo gli Ermellini, in tema di omesso versamento del mantenimento dei figli, la responsabilità penale non deve essere automatica. Occorre effettuare una valutazione delle ragioni sottostanti. La Suprema Corte conferma il principio secondo il quale l’obbligato deve versare in una situazione di impossibilità assoluta ad adempiere. Ciò deve risultare da elementi ulteriori rispetto alla sola disoccupazione, quali l’assenza di guadagni diversi da quelli promananti da un rapporto di lavoro.

Sottolineano gli Ermellini che tale stato deve essere valutato su un campo di bilanciamento tra diritti.

Sicché secondo la Corte non si ha una “automatica” responsabilità penale del padre per il mancato versamento del mantenimento, ma occorre una valutazione delle ragioni sottostanti che inducono l’obbligato a non adempiere. 

Secondo i Giudici di legittimità nell’effettuare il bilanciamento il Giudice di merito deve valutare i seguenti fattori:

  • importo delle prestazioni imposte;
  • disponibilità reddituali dell’obbligato;
  • necessità dello stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (tra cui vitto e alloggio);
  • solerzia nel reperimento di nuove e/o ulteriori fonti di reddito;
  • contesto socio-economico dell’obbligato, al fine di comprendere le effettive possibilità di questi di corrispondere il dovuto.

Vita dignitosa dell’obbligato

Secondo la Corte di Cassazione nell’effettuare la valutazione il Giudice di merito deve accertarsi che il genitore  obbligato possa provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, conducendo una vita dignitosa, trattandosi di diritto non comprimibile.

L’assicurazione di un livello di vita dignitoso costituisce secondo gli Ermellini la soglia minima invalicabile, all’interno della quale non può imputarsi alcuna responsabilità penale in capo al padre che omette il mantenimento della prole.

Alla luce di quanto sopra, pertanto,  la Suprema Corte ha accolto il ricorso del padre, condannato in primo e secondo grado ex art. 570 bis c.p., e rimesso gli atti alla Corte d’Appello di Venezia per una nuova disamina del caso.

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ACCETTA E SALVA
Diritto del lavoro

Lo Studio Legale Arcoleo assiste i propri clienti nei vari ambiti del diritto del lavoro, del diritto sindacale e della previdenza sociale, fornendo consulenza sia in ambito stragiudiziale che giudiziale e con riferimento all’istaurazione, allo svolgimento ed alla cessazione del rapporto di lavoro.

A tal fine, lo Studio si avvale di molteplici apporti specialistici (consulenti del lavoro, commercialisti) anche nelle questioni che investono discipline complementari, per garantire alla clientela un’assistenza ancora più completa grazie ad un miglior coordinamento tra le diverse professionalità.

Diritto penale di famiglia

L’Avv. Antonella Arcoleo coadiuvato  da altri professionisti come avvocati psicologi e mediatori è da sempre impegnato in prima linea per difendere e tutelare i diritti fondamentali della persona in caso di abusi o violenze e offre consulenza e assistenza legale.

Assistenza alle aziende

Lo Studio Legale Arcoleo vanta un’importante esperienza nell’assistenza alle imprese.

Alla base del successo di ogni azienda vi è la particolare attenzione per gli aspetti legali strettamente correlati al business che se correttamente e tempestivamente curati garantiscono alle imprese una sensibile riduzione del contenzioso.

Lo Studio Legale Arcoleo garantisce ai propri clienti attività di consulenza costante e continuativa anche a mezzo telefono e tramite collegamento da remoto.