L’ordinamento italiano riconosce le unioni civili e permette alle neo coppie di scegliere un cognome comune. Ma gli effetti di tale scelta sono limitati dagli art. 3 c.1 lett. c) e art. 8 del D. Lgs. 5/17. La legittimità costituzionale di queste disposizioni è stata messa in discussione dal Tribunale di Ravenna. (ord. 22 novembre 2017, n.32)
Legittimare la scelta del cognome per una unione civile è stata una svolta per il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Grazie alla legge del 20 maggio 2016, n.76, infatti, le persone che formano una unione civile possono scegliere un cognome comune. Questo identifica la coppia e permette che le persone che la formano aggiornino i dati anagrafici personali.
Un anno dopo, entra in vigore del D.Lgs. 5/17, che, inspiegabilmente, stabilisce che devono essere annullate le annotazioni relative alla scelta del cognome comune (art. 3 c.1 lett.c e art. 8). Di conseguenza, anche nei documenti di identità, deve essere ripristinato il cognome posseduto prima dell’unione civile.
Una pronuncia del Tribunale di Ravenna, appare determinante ai fini della tutela del diritto alla conservazione del nome e dell’identità personale.
Ma partiamo dall’inizio: una coppia celebrando la propria unione civile, sceglie come cognome di “coppia” quello di una delle due parti. L’altra decide di anteporre il cognome comune al proprio. Questa scelta ha ovviamente comportato la modifica dei dati di quest’ultima su tutta la documentazione anagrafica: d’identità, sanitaria e così via.
Una volta entrato in vigore il D. Lgs. n. 5 del 2017, questa persona ha visto eliminato il cognome aggiunto da tutti i documenti anagrafici. La coppia presenta ricorso al Tribunale di Ravenna, sottolineando la questione identitaria e la scelta legittima della coppia.
Il Tribunale di Ravenna ha dichiarato fondato il ricorso ma ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale che dovrà valutare se gli articoli del decreto violino il diritto, costituzionalmente garantito, al nome e all’identità.