CORTE COSTITUZIONALE, SENTENZA 27-O4-2018, N.92
La tematica su cui verte l’odierno quesito di legittimità costituzionale è quella dell’assunzione, mediante incidente probatorio, della testimonianza di una persona minorenne. A tal riguardo, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce sottopone congiuntamente a scrutino due norme, cui addebita la creazione di una situazione di mancata tutela del minore, contrastante con le previsioni degli articoli 3 e 4 della convenzione di New York sui diritti del fanciullo e di riflesso con l’art 117 Cost., nella parte in cui, al primo comma, impone al legislatore il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
Le censure investono, in primo luogo, il disposto dell’art 398 comma 5 c.p.p. che disciplina le condizioni di esperibilità dell’incidente probatorio, stabilendo che “quando ricorrono ragioni di urgenza e l’incidente probatorio non può essere svolto nella circoscrizione del giudice competente, quest’ultimo può delegare il Gip del luogo ove la prova deve essere assunta”, e l’art 133 c.p.p. che abilita il giudice a ordinare l’accompagnamento coattivo delle persone diverse dall’imputato che dopo essere state regolarmente citate, omettono di comparire senza legittimo impedimento.
Nel giudizio a quo si procede nei confronti di una persona imputata del delitto di maltrattamenti in danno del figlio minorenne della propria convivente. Il difensore della persona offesa aveva chiesto ripetutamente che l’incidente probatorio fosse delegato al Gip del Tribunale di Avellino. Tale richiesta verteva sullo stato d’ansia e di forte timore manifestato dal minore “a venire a Lecce, ove non si sentiva tranquillo per il timore di incontrare l’imputato.”
Il giudice a quo aveva disatteso tale istanza ritenendo in primo luogo, che se pur comprensibile il disagio lamentato dal minore, non potesse condurre ad un apprezzamento di pericolosità dell’atto processuale per la sua salute, tale da giustificare la revoca dell’incidente probatorio e tale da poter integrare una situazione di “legittimo impedimento” atta a giustificare la mancata ottemperanza all’obbligo di comparire ai sensi degli articoli 133 e 198 c.p.p.
A fronte di ciò, il giudice a quo si troverebbe, dunque, a dover disporre l’accompagnamento coattivo del minore ai sensi dell’art. 133 del c.p.p.
In simile situazione, lo svolgimento dell’incidente probatorio in Lecce, e ancor più l’accompagnamento coattivo del minore comporterebbero, da un lato, la prevalenza delle “esigenze di razionale distribuzione degli affari e delle competenze” rispetto a quelle di tutela della serenità e dell’equilibrio del minore, dall’altro, la l’ipotetico contrasto con gli obblighi internazionali derivanti dagli articoli 3 e 4 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e, di riflesso, con l’art 117 Cost.
Il citato art. 3 della Convenzione impone, infatti, agli Stati parti, in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di attribuire un rilievo preminente all’ “interesse superiore del fanciullo” in tutte le decisioni che lo riguardano – e dunque, anche nella disciplina degli atti processuali – al fine di garantire il “benessere” del fanciullo stesso.
Risulta evidente, come in materia occorra necessariamente procedere al bilanciamento di valori contrapposti: da un lato, la tutela della personalità del minore, obiettivo di sicuro rilevo costituzionale; dall’altro, i valori coinvolti dal processo penale, quali quelli espressi dai principi, anch’essi di rilievo costituzionale, del contraddittorio e del diritto di difesa, nonché per quanto qui particolarmente interessa, dalle regole sulla competenza territoriale.
Ciò posto, il bilanciamento tra i contrapposti valori operato dalla normativa processuale vigente nel nostro ordinamento non può essere reputato inadeguato, sul versante della protezione del minore: e ciò particolarmente in rapporto a procedimenti per reati quale quello oggetto del giudizio a quo.
Il procedimento di implementazione dei presidi a tutela del minorenne chiamato a rendere testimonianza ha preso concretamente avvio con la L.15 Febbraio 1996, n. 66 ( norme contro la violenza sessuale), il cui art 13 ha aggiunto all’art 392 c.p.p. un comma 1-bis , che dispone l’assunzione mediante incidente probatorio della testimonianza del minore nel giudizio a quo anche fuori dai casi previsti dal 1 comma, prescindendo quindi dalla non rinviabilità della prova al dibattimento e consentendogli di uscire al più presto dal circuito processuale. Ed ancora l’art. 398 c.p.p. prevede una tutela a favore del minore, stabilendo che il giudice debba stabilire il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno.
In conclusione, dunque, il sistema processuale vigente offre al giudice un ampio e duttile complesso di strumenti di salvaguardia della personalità del minore chiamato a rendere testimonianza, a fronte del quale deve escludersi l’asserita necessità costituzionale di introdurre quello ulteriore congegnato dall’odierno rimettente.
Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte Costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata nel giudizio a quo.
Lascia un commento