570 bis c.p. : non commette reato il padre che dimostri di non versare il mantenimento per vivere.
La Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale, con la Sentenza n. 32576/2022 del 15 giugno 2022, afferma un principio rivoluzionario. Ed in particolare sostiene che occorre sempre effettuare un bilanciamento tra i diritti in contesa prima di addivenire alla condanna ex art. 570 bis c.p. Nel caso specifico tra quello del padre di badare alle proprie spese necessarie per vivere e quelle dei figli di ricevere il mantenimento.
Il caso
Un uomo veniva condannato dal Tribunale di Treviso per il reato previsto e punito dall’art. 570 bis c.p. per aver omesso il versamento del mantenimento in favore dei figli.
Tale sentenza veniva confermata anche in sede di gravame dalla Corte di Appello di Venezia.
A nulla era servito, nel giudizio di merito, provare lo stato di indigenza sofferto dal padre.
L’uomo ricorre in Cassazione
L’uomo ricorre per Cassazione contro la condanna. Il ricorrente individua tra i motivi del ricorso l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di omettere il versamento di quanto dovuto a titolo di mantenimento.
Il padre sottolinea di trovarsi in una grave situazione economica che rende impossibile la prestazione. Ed in particolare il ricorrente dimostra di avere perso il lavoro e di non essere riuscito a reperirne un altro nonostante gli innumerevoli tentativi di trovarlo.
Prova dell’impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi di mantenimento anche le ripetute richieste di prestito rivolte dal ricorrente a parenti ed amici per il proprio sostentamento.
La decisione della Suprema Corte
Secondo gli Ermellini, in tema di omesso versamento del mantenimento dei figli, la responsabilità penale non deve essere automatica. Occorre effettuare una valutazione delle ragioni sottostanti. La Suprema Corte conferma il principio secondo il quale l’obbligato deve versare in una situazione di impossibilità assoluta ad adempiere. Ciò deve risultare da elementi ulteriori rispetto alla sola disoccupazione, quali l’assenza di guadagni diversi da quelli promananti da un rapporto di lavoro.
Sottolineano gli Ermellini che tale stato deve essere valutato su un campo di bilanciamento tra diritti.
Sicché secondo la Corte non si ha una “automatica” responsabilità penale del padre per il mancato versamento del mantenimento, ma occorre una valutazione delle ragioni sottostanti che inducono l’obbligato a non adempiere.
Secondo i Giudici di legittimità nell’effettuare il bilanciamento il Giudice di merito deve valutare i seguenti fattori:
- importo delle prestazioni imposte;
- disponibilità reddituali dell’obbligato;
- necessità dello stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (tra cui vitto e alloggio);
- solerzia nel reperimento di nuove e/o ulteriori fonti di reddito;
- contesto socio-economico dell’obbligato, al fine di comprendere le effettive possibilità di questi di corrispondere il dovuto.
Vita dignitosa dell’obbligato
Secondo la Corte di Cassazione nell’effettuare la valutazione il Giudice di merito deve accertarsi che il genitore obbligato possa provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, conducendo una vita dignitosa, trattandosi di diritto non comprimibile.
L’assicurazione di un livello di vita dignitoso costituisce secondo gli Ermellini la soglia minima invalicabile, all’interno della quale non può imputarsi alcuna responsabilità penale in capo al padre che omette il mantenimento della prole.
Alla luce di quanto sopra, pertanto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del padre, condannato in primo e secondo grado ex art. 570 bis c.p., e rimesso gli atti alla Corte d’Appello di Venezia per una nuova disamina del caso.
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