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figlio

Mantenimento per il figlio che lascia il lavoro per studiare

3 Settembre 2021 Da Staff Lascia un commento

Ebbene si, i genitori devono versare il mantenimento per i figli che vogliono riprendere gli studi. A stabilire il superiore principio di diritto è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23318/2021.

Il caso

Il Tribunale obbligava un uomo, in sede di divorzio, a versare alla figlia un assegno mensile di 600 euro. Veniva inoltre obbligato a compartecipare nella misura dei 4/5 alle spese straordinarie per la ragazza.

L’uomo, ritenendo ingiusta la decisione, ricorreva in Appello. La Corte di Appello, tuttavia, precisava che l’obbligo di mantenimento in favore dei figli non viene meno con la maggiore età, ma solo con il raggiungimento della indipendenza economica. In particolare i giudici di secondo grado evidenziavano che la giovane, dopo una breve e poco soddisfacente esperienza lavorativa , aveva deciso d’iscriversi all’Università. Peraltro dall’istruttoria emergeva che la ragazza avrebbe sicuramente terminato proficuamente gli studi.

Pertanto, considerato che le condizioni economiche del padre la somma di € 600,00 a titolo di mantenimento della ragazza doveva essere confermata.

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo, ancora una volta di parere contrario rispetto alla decisione dei giudici di merito, decideva di ricorrere in Cassazione. In particolare, tra i vari motivi a sostegno del ricorso il padre sottolineava che la figlia lavorava in albergo riuscendo a guadagnare mensilmente la somma di € 1200,00. Sottolineava, inoltre, che la figlia disponeva anche di un alloggio.  Secondo il ricorrente, la figlia, anziché lasciare il lavoro per iscriversi all’università, avrebbe dovuto ridurre le ore così da potersi mantenere da sola.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione boccia le doglianze del ricorrente. Gli ermellini sottolineano l’infondatezza del ricorso. Ed in particolare, evidenziano che la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni “non cessa immediatamente ed automaticamente per effetto del raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma perdura finché non venga fornita la prova che quest’ultimo ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.”

Nel caso di specie i giudici di merito, seguendo il sopracitato orientamento, rilevano che la ragazza aveva deciso di riprende gli studi in giovane età (26 anni). La giovane, peraltro, si era sempre impegnata: aveva trovato un’occupazione, ma questa non rispondeva alle sue aspirazioni.

Sotto tale profilo si richiamano i principi del nostro ordinamento in merito. Ed in particolare si richiama l’art. 147 c.c. il quale “impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315bis”.

Pertanto, se da un lato i figli devono impegnarsi negli studi o nel lavoro per rendersi indipendenti, dall’altro è compito dei genitori assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un’occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate.

Potrebbe anche interessarti: “Omesso mantenimento: commette il reato chi non corrisponde il contributo anche se i figli non versano in stato di bisogno”. Leggi qui. 

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Risarcimento danni: la madre che ha ostacolato la relazione tra il figlio e il padre deve risarcire entrambi

23 Febbraio 2020 Da Staff Lascia un commento

E’ obbligata al risarcimento danni la madre che, con la propria condotta, pregiudica la relazione affettiva del padre e del figlio. Ciò in quanto tale atteggiamento lede sia il diritto del figlio alla bigenitorialità sia quello del padre di poter vivere il proprio ruolo genitoriale.

Il caso

Un uomo presentava ricorso ex art. 709-ter c.p.c. al Tribunale di Cosenza, chiedendo, previo ammonimento della moglie, che venissero adottati provvedimenti a tutela del figlio minore. L’uomo chiedeva inoltre l’affidamento esclusivo del figlio con domicilio presso di sé previa regolamentazione del diritto di visita della madre. Chiedeva, infine, che la donna fosse condannata al risarcimento danni subiti da lui e dal figlio a causa della condotta di alienazione parentale causato dal comportamento della moglie.

La donna, costituitasi in giudizio, si opponeva alle richieste del marito e chiedeva a sua volta l’affidamento esclusivo del figlio. Chiedeva che gli incontri tra padre e figlio avvenissero in spazi protetti. Ma non solo. Denunciava l’uomo per condotte abusanti e maltrattanti sul bambino.

Tuttavia queste ultime accuse si concludevano con un provvedimento di archiviazione.

Decisione del Tribunale

Ebbene, il Tribunale valutate le richieste delle parti, alla luce del quadro probatorio, ed esclusa l’accusa di condotte abusanti e maltrattanti ai danni dell’uomo, riteneva che l’allontanamento del minore dal padre fosse riconducibile esclusivamente dalla condotta della madre. Invero, nel corso del giudizio era emerso che la donna aveva deciso che il figlio non dovesse più incontrare il padre, sebbene il processo penale fosse stato archiviato.

Tali circostanze emergevano tanto dalla consulenza tecnica di ufficio tanto dalle relazioni dei servizi sociali. In particolare la donna con il proprio comportamento aveva impedito gli incontri tra padre e figlio per un periodo continuativo di tre anni. Aveva screditato la figura paterna facendo prevalere il rancore personale al benessere del minore. Con tale comportamento la donna aveva, quindi, causato un grave danno all’uomo e allo stesso figlio.

Pertanto, accertata la lunga emarginazione della figura paterna a causa della condotta posta in essere dalla donna, il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento danni avanzata dal padre quantificata in via equitativa. Mentre disponeva l’affidamento ai servizi sociali del minore a causa delle carenze genitoriali emerse nel corso del procedimento.

Quantificazione del danno da alienazione parentale

Come si quantifica il danno da alienazione parentale? In situazioni del genere, considerata la natura non patrimoniale del danno, le norme di riferimento sono gli articoli 2056 e 1226 c.c. Il Giudice, pertanto, potrà procedere alla liquidazione soltanto in via equitativa. Ciò potrà avvenire, tuttavia, in presenza di due condizioni: l’esistenza del danno impossibile da individuare nel preciso ammontare; obbligo per il giudice di indicare i criteri utilizzati per la determinazione del quantum.

I Tribunale, negli ultimi anni, si sono avvalsi delle tabelle del Tribunale di Milano, ritenute idonee alla quantificazione del danno e alla sua personalizzazione al caso concreto.

Potrebbe anche interessarti”Tenore di vita: i figli hanno diritto al tenore di vita goduto prima del divorzio dei genitori”, leggi qui.

 

 

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