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omesso mantenimento

570 bis c.p.: non commette reato il padre che non versa il mantenimento per vivere

8 Settembre 2022 Da Staff Lascia un commento

570 bis c.p. : non commette reato il padre che dimostri di non versare il mantenimento per vivere.

La Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale, con la Sentenza n. 32576/2022 del 15 giugno 2022, afferma un principio rivoluzionario.  Ed in particolare sostiene che occorre sempre effettuare un bilanciamento tra i diritti in contesa prima di addivenire alla condanna ex art. 570 bis c.p. Nel caso specifico tra quello del padre di badare alle proprie spese necessarie per vivere e quelle dei figli di ricevere il mantenimento.

Il caso

Un uomo veniva condannato dal Tribunale di Treviso per il reato previsto e punito dall’art. 570 bis c.p. per aver omesso il versamento del mantenimento in favore dei figli.

Tale sentenza veniva confermata anche in sede di gravame dalla Corte di Appello di Venezia.

A nulla era servito, nel giudizio di merito, provare lo stato di indigenza sofferto dal padre. 

L’uomo ricorre in Cassazione

L’uomo ricorre per Cassazione contro la condanna.  Il ricorrente individua tra i motivi del ricorso l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di omettere il versamento di quanto dovuto a titolo di mantenimento.

Il padre sottolinea di trovarsi in una grave situazione economica che rende impossibile la prestazione. Ed in particolare il ricorrente dimostra di avere perso il lavoro e di non essere riuscito a reperirne un altro nonostante gli innumerevoli tentativi di trovarlo.

Prova dell’impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi di mantenimento anche le ripetute richieste di prestito rivolte dal ricorrente a parenti ed amici per il proprio sostentamento.

La decisione della Suprema Corte

Secondo gli Ermellini, in tema di omesso versamento del mantenimento dei figli, la responsabilità penale non deve essere automatica. Occorre effettuare una valutazione delle ragioni sottostanti. La Suprema Corte conferma il principio secondo il quale l’obbligato deve versare in una situazione di impossibilità assoluta ad adempiere. Ciò deve risultare da elementi ulteriori rispetto alla sola disoccupazione, quali l’assenza di guadagni diversi da quelli promananti da un rapporto di lavoro.

Sottolineano gli Ermellini che tale stato deve essere valutato su un campo di bilanciamento tra diritti.

Sicché secondo la Corte non si ha una “automatica” responsabilità penale del padre per il mancato versamento del mantenimento, ma occorre una valutazione delle ragioni sottostanti che inducono l’obbligato a non adempiere. 

Secondo i Giudici di legittimità nell’effettuare il bilanciamento il Giudice di merito deve valutare i seguenti fattori:

  • importo delle prestazioni imposte;
  • disponibilità reddituali dell’obbligato;
  • necessità dello stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (tra cui vitto e alloggio);
  • solerzia nel reperimento di nuove e/o ulteriori fonti di reddito;
  • contesto socio-economico dell’obbligato, al fine di comprendere le effettive possibilità di questi di corrispondere il dovuto.

Vita dignitosa dell’obbligato

Secondo la Corte di Cassazione nell’effettuare la valutazione il Giudice di merito deve accertarsi che il genitore  obbligato possa provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, conducendo una vita dignitosa, trattandosi di diritto non comprimibile.

L’assicurazione di un livello di vita dignitoso costituisce secondo gli Ermellini la soglia minima invalicabile, all’interno della quale non può imputarsi alcuna responsabilità penale in capo al padre che omette il mantenimento della prole.

Alla luce di quanto sopra, pertanto,  la Suprema Corte ha accolto il ricorso del padre, condannato in primo e secondo grado ex art. 570 bis c.p., e rimesso gli atti alla Corte d’Appello di Venezia per una nuova disamina del caso.

Potrebbe anche interessarti: “Condannato il padre che non prova la impossibilità ad adempiere” Leggi qui.

Archiviato in:I nostri articoli, Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: mancato mantenimento, mantenimento figli, omesso mantenimento, ritardo nel mantenimento

Omesso mantenimento: commette il reato chi non corrisponde il contributo anche se i figli non versano in stato di bisogno

2 Maggio 2021 Da Staff Lascia un commento

L’omesso mantenimento da parte del padre obbligato è reato anche se i figli non versano in stato di bisogno perché a provvedere al loro sostentamento è la madre. Ribadisce il superiore principio di diritto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16783 del 2021.

Art. 570 c.p.

L’art. 570 c.p. afferma che “chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore , ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa“.

Prova dell’impossibilità a contribuire al mantenimento della prole

Per essere assolti dal reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare” ex art. 570 c.p. chi è tenuto a corrispondere il contributo deve provare di trovarsi nell’impossibilità ad adempiere. La circostanza che a provvedere ai figli sia l’ex coniuge non incide in alcun modo sull’obbligo di mantenimento.

Il caso

Un uomo vedeva confermata in Appello la condanna per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Il predetto aveva omesso di versare alla ex compagna l’assegno di mantenimento ordinario e la quota delle spese straordinarie per i figli. Tuttavia, la corte di Appello adita, previo riconoscimento delle attenuanti generiche non concesse in primo grado, ne riduceva la pena. 

L’uomo ricorreva in Cassazione

L’uomo, ritenendo non legittima la decisione dei giudici di merito, ricorreva in Cassazione sollevando tre motivi:

1)con il primo contestava le questioni procedurali già sollevate in appello ma respinte;

2)con il secondo lamentava la ricostruzione dei fatti che hanno portato alla condanna contestando, in particolare, la sussistenza dello stato di bisogno dei figli e il mancato accertamento della sua capacità economica a fare fronte all’impegno;

3)con il terzo infine riteneva eccessiva la pena irrogata nei suoi confronti.

Chi è obbligato al mantenimento deve provare di trovarsi in difficoltà economica

Gli Ermellini non accolgono nessuno dei motivi sollevati dal ricorrente e rigettano il ricorso perché inammissibile.

Ed in particolare: Il primo motivo viene ritenuto manifestamente infondato perché si limita a riproporre gli stessi motivi d’impugnazione già sollevati in appello e sui quali la Corte di Appello si è già pronunciata. Il secondo è ritenuto inammissibile perché si limita a proporre una diversa valutazione delle prove. L’imputato interpretala norma in modo errato. Ed invero non deve essere provata  la disponibilità economica a provvedere, quando sussiste un obbligo nei confronti dei propri congiunti, ma, al contrario, per non incorrere nel reato è onere dell’obbligato dimostrare la propria impossibilità ad adempiere. Nel caso di specie nulla l’imputato ha provato in merito. Peraltro alcuna incidenza ha, circa la configurazione o meno del reato, la capacità economica di chi ha diritto al contributo.

Infine anche il terzo motivo viene rigettato perché non competono alla Cassazione le valutazioni di merito per la quantificazione della la pena.

Potrebbe anche interessarti: “Mantenimento figlio maggiorenne, quando cessa?”. Leggi qui.

 

 

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Ritardo mantenimento: se l’obbligato ritarda a versare il contributo paga l’Inps

3 Giugno 2020 Da Staff Lascia un commento

Ritardo mantenimento: se l’obbligato a versare il contributo al mantenimento provvede in ritardo rispetto alla scadenza, si può chiedere l’ordine di pagamento nei confronti di terzi ai sensi dell’art. 156 c.c.

Ebbene, ciò avviene nei casi in cui il comportamento dell’obbligato è idoneo a far sorgere dubbi circa l’esattezza e la regolarità del futuro adempimento in grado di frustare le finalità proprie dell’assegno di mantenimento. La relativa valutazione resta affidata in via esclusiva al giudice di merito (Trib. Terni sent. n. 125/2020). 

Il fatto

Il Tribunale di Terni si pronunciava sul ricorso di una donna, destinataria di un assegno di mantenimento da parte dell’ex marito. Quest’ultima si era rivolte all’INPS, quale ente preposto all’erogazione della pensione in favore dell’uomo, per ottenere il versamento della somma a titolo di mantenimento per alcune mensilità che l’obbligato aveva omesso di pagare. 

Su istanza di entrambe le parti,  il procedimento veniva trattato mediante il deposito di note, all’esito del quale il giudice riservava la decisione al Collegio.

In particolare, la ricorrente si era premurata di fornire una corposa documentazione dalla quale emergeva il ritardo con cui l’ex marito aveva provveduto alla corresponsione del mantenimento.

Con riguardo, invece, ad ulteriori e diverse mensilità, risultava che l’uomo aveva del tutto omesso di versare le somme dovute a titolo di mantenimento. Solo a seguito della notifica dell’atto di precetto il precettato sanava il pregresso maturato. 

L’uomo, tuttavia, asseriva che il ritardo nei pagamenti era dovuto ad una momentanea situazione di difficoltà economica causata dalla necessità di sostenere spese improvvise. Inoltre, a suo dire, l’ex moglie a nessun titolo avrebbe potuto avanzare tali richieste all’INPS.

Sciolta la riserva, veniva accolta la domanda della donna. 

La decisione del Tribunale di Terni

Innanzitutto occorre rammentare che la giurisprudenza è pacifica nell’affermare che il chiesto versamento ex art. 156 c.c. impone al giudice “un preliminare apprezzamento circa l’idoneità del comportamento dell’obbligato a suscitare dubbi sulla regolarità del futuro adempimento”.

Se l’obbligato non adempie puntualmente all’obbligo di mantenimento e qualora il suo comportamento sia idoneo a fare sorgere dubbi circa la tempestività dei futuri adempimenti il giudice è legittimato ad emanare un ordine di pagamento nei confronti di terzi ai sensi dell’art. 156 comma 6 c.c.

Infatti, anche il semplice ritardo nell’adempiere è idoneo a compromettere la funzione propria dell’assegno di mantenimento. 

Tornando al caso di specie, il Collegio dava ragione alla donna. Il collegio riteneva che il ritardo nei pagamenti, unitamente all’omesso versamento di alcune mensilità, costituiva circostanza idonea a far sorgere un’incertezza sul futuro e tempestivo versamento di quanto dovuto. Ciò, altresì, tenuto conto della non adeguatezza della documentazione allegata dall’ex marito per dimostrare la situazione di difficoltà economica patita. 

Dunque, le riportate circostanze determinavano l’accoglimento del ricorso della donna. Veniva pertanto disposto ordine all’INPS, nella qualità di soggetto erogatore della pensione, di corrisponde l’assegno mensile per il  mantenimento a favore della richiedente.

Potrebbe anche interessarti “Pensione di reversibilità: spetta anche all’ex coniuge passato a nuove nozze?”. Leggi qui. 

 

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Il Reddito di cittadinanza è pignorabile?

15 Maggio 2020 Da Staff Lascia un commento

“Il reddito di cittadinanza può essere utilizzato per i bisogni primari delle persone delle quali il titolare ha l’obbligo di prendersi cura, anche se non fa più parte dello stesso nucleo familiare”. Pertanto è pignorabile. (Trib. Trani 30.01.2020)

Il caso

Nell’ambito di un procedimento per separazione giudiziale, il Presidente disponeva, tra le altre cose, l’obbligo in capo al marito di versare la somma di € 360,00 a titolo di mantenimento dei due figli minori. L’uomo, tuttavia, non ottemperava a quanto disposto. La moglie, pertanto, presentava ricorso ex art. 156 comma 4. Con tale azione la donna chiedeva che fosse l’INPS e/o il Ministero a provvedere direttamente al versamento della somma. La donna chiedeva, altresì, il sequestro della quota di proprietà del marito della casa familiare. L’uomo, beneficiario del reddito di cittadinanza, si opponeva alla richiesta. Eccepiva l’impignorabilità del reddito di cittadinanza e chiedeva il rigetto della richiesta di sequestro.

Decisione del Tribunale di Trani

Il Tribunale adito, per dirimere la questione e l’ammissibilità della domanda, effettuava un’analisi dettagliata circa la natura giuridica del reddito di cittadinanza. Per appurare se tale sussidio, introdotto dal d.l. 28.01.2019 n.4 convertito in l. 28.03.2019 n. 26,  fosse pignorabile il Giudice adito verificava se questo poteva considerarsi credito alimentare, soggetto, quindi ai limiti di pignorabilità di cui all’art. 545 c.p.c.

Il Giudice sottolineava che il reddito di cittadinanza rientra tra le misure di politica attiva del lavoro, a garanzia del diritto al lavoro. Ebbene, il suo scopo primario non è quello di offrire assistenza per i bisogni primari quanto quello di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Inoltre nessuna norma contiene il riferimento alla natura alimentare del reddito di cittadinanza.

Venendo meno la funzione assistenziale, a tenore del Giudice, viene meno anche l’impignorabilità.

Sicché, il Giudice non ritenendo il reddito di cittadinanza impignorabile, riteneva ammissibile la richiesta volta all’ordine di pagamento verso il terzo . Quindi accoglieva il ricorso presentato dalla moglie e disponeva che fosse l’INPS a provvedere al versamento di quanto dovuto alla donna. 

Peraltro, il Giudice sottolineava che nei casi di separazione l’ordine di pagamento diretto presuppone solo l’inadempimento dell’obbligato. Non sono rilevanti né le ragioni del mancato versamento né delle esigente dell’obbligato.

Va da sé che la questione dovrà essere valutata caso per caso. Pertanto, il Giudice dovrà ogni volta fare una valutazione attenta delle condizioni economiche del beneficiario il reddito di cittadinanza. Laddove, quindi, risulta evidente che il credito da pignorare è destinato a soddisfare esclusivamente bisogni primari, limitatamente alla quota destinata a tali finalità, sarebbe pignorabile soltanto per cause alimentari. 

Potrebbe anche interessarti :”Assegno di mantenimento: è modificabile anche se il divorzio è pendente”. Leggi qui.

 

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Omesso mantenimento al figlio maggiorenne. Non è reato se il ragazzo è abile al lavoro, anche se studente.

22 Gennaio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Il genitore che non corrisponde il mantenimento al figlio maggiorenne non può essere condannato per il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare” ex art. 570 c.p. Il reato si configura solo se il ragazzo è inabile al lavoro. E non rileva neanche che sia uno studente. (Cass. Pen. 1342/2019).

La figlia querela il padre, colpevole di non averle versato tre mensilità a titolo di mantenimento, così come stabilito dal Tribunale. L’uomo viene dunque condannato in primo e secondo grado per il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, ex art. 570 c.p.

L’uomo ricorre in Cassazione, sostenendo che la norma sopra indicata era stata erroneamente applicata. E infatti l’art. 570, comma 2 n. 2 incrimina la condotta di chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro…”. L’uomo precisava invece che al momento dei fatti la figlia era maggiorenne e che non si trovava in stato di bisogno, in quanto aveva un lavoro part time. La stessa aveva anche volontariamente lasciato la casa familiare dopo la morte della madre, e pertanto l’uomo non sapeva come adempiere.

La Suprema Corte da ragione all’uomo. La Cassazione infatti condivide la tesi sostenuta dal padre. Il reato si configura solo se i figli sono minorenni o maggiorenni inabili al lavoro. Specificando che l’inabilità al lavoro deve essere totale e permanente.

“Ne discende” – si legge testualmente nella sentenza in oggetto- ” che non integra il reato in parola la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti“.

Ciò non toglie che, in casi di questo tipo, in presenza di un provvedimento che preveda un mantenimento per il figlio maggiorenne, si possano azionare strumenti di tutela di tipo civilistico.

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