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risarcimento danno non patrimoniale

Risarcimento danni: la madre che ha ostacolato la relazione tra il figlio e il padre deve risarcire entrambi

23 Febbraio 2020 Da Staff Lascia un commento

E’ obbligata al risarcimento danni la madre che, con la propria condotta, pregiudica la relazione affettiva del padre e del figlio. Ciò in quanto tale atteggiamento lede sia il diritto del figlio alla bigenitorialità sia quello del padre di poter vivere il proprio ruolo genitoriale.

Il caso

Un uomo presentava ricorso ex art. 709-ter c.p.c. al Tribunale di Cosenza, chiedendo, previo ammonimento della moglie, che venissero adottati provvedimenti a tutela del figlio minore. L’uomo chiedeva inoltre l’affidamento esclusivo del figlio con domicilio presso di sé previa regolamentazione del diritto di visita della madre. Chiedeva, infine, che la donna fosse condannata al risarcimento danni subiti da lui e dal figlio a causa della condotta di alienazione parentale causato dal comportamento della moglie.

La donna, costituitasi in giudizio, si opponeva alle richieste del marito e chiedeva a sua volta l’affidamento esclusivo del figlio. Chiedeva che gli incontri tra padre e figlio avvenissero in spazi protetti. Ma non solo. Denunciava l’uomo per condotte abusanti e maltrattanti sul bambino.

Tuttavia queste ultime accuse si concludevano con un provvedimento di archiviazione.

Decisione del Tribunale

Ebbene, il Tribunale valutate le richieste delle parti, alla luce del quadro probatorio, ed esclusa l’accusa di condotte abusanti e maltrattanti ai danni dell’uomo, riteneva che l’allontanamento del minore dal padre fosse riconducibile esclusivamente dalla condotta della madre. Invero, nel corso del giudizio era emerso che la donna aveva deciso che il figlio non dovesse più incontrare il padre, sebbene il processo penale fosse stato archiviato.

Tali circostanze emergevano tanto dalla consulenza tecnica di ufficio tanto dalle relazioni dei servizi sociali. In particolare la donna con il proprio comportamento aveva impedito gli incontri tra padre e figlio per un periodo continuativo di tre anni. Aveva screditato la figura paterna facendo prevalere il rancore personale al benessere del minore. Con tale comportamento la donna aveva, quindi, causato un grave danno all’uomo e allo stesso figlio.

Pertanto, accertata la lunga emarginazione della figura paterna a causa della condotta posta in essere dalla donna, il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento danni avanzata dal padre quantificata in via equitativa. Mentre disponeva l’affidamento ai servizi sociali del minore a causa delle carenze genitoriali emerse nel corso del procedimento.

Quantificazione del danno da alienazione parentale

Come si quantifica il danno da alienazione parentale? In situazioni del genere, considerata la natura non patrimoniale del danno, le norme di riferimento sono gli articoli 2056 e 1226 c.c. Il Giudice, pertanto, potrà procedere alla liquidazione soltanto in via equitativa. Ciò potrà avvenire, tuttavia, in presenza di due condizioni: l’esistenza del danno impossibile da individuare nel preciso ammontare; obbligo per il giudice di indicare i criteri utilizzati per la determinazione del quantum.

I Tribunale, negli ultimi anni, si sono avvalsi delle tabelle del Tribunale di Milano, ritenute idonee alla quantificazione del danno e alla sua personalizzazione al caso concreto.

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MORTE DELL’ANIMALE D’AFFEZIONE: È RISARCIBILE IL DOLORE SOFFERTO?

28 Novembre 2019 Da Staff Lascia un commento

In caso di morte dell’animale d’affezione la sofferenza del padrone è paragonabile alla sofferenza per la morte di un caro. Cani e gatti sono avvertiti ormai da tempo come membri effettivi del nucleo familiare. L’amore che un individuo può provare per il suo animale è tale che la scomparsa di quest’ultimo è avvertita spesso come un lutto.

È risarcibile il dolore?

Quando si parla di dolore emotivo o psicologico si fa riferimento ad un pregiudizio di natura non patrimoniale. Il bene leso, ossia la stabilità emotiva e mentale della vittima, non è un bene suscettibile di valutazione economica.  Non è un bene a cui può essere attribuito un prezzo o un costo. Tuttavia, ciò non vuol dire, che non possa essere oggetto di uno specifico risarcimento.

L’art. 2059 c.c. stabilisce infatti che “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. É dunque la legge a determinare quando il dolore patito da un individuo è astrattamente risarcibile.

… e il dolore derivante dalla perdita dell’animale d’affezione?

Nonostante il denaro non può mai essere idoneo a colmare il vuoto lasciato dalla perdita di un legame affettivo, è lecito chiedersi se, nel nostro ordinamento, è previsto un risarcimento per la morte dell’animale d’affezione. Ovviamente affinché tale ristoro sia possibile è necessario che la morte dell’animale non sia avvenuta per cause naturali.  Di contro deve essere stata causata dalla condotta illecita altrui.

La questione risulta essere particolarmente delicata e dibattuta. In primo luogo è necessario constatare come non vi siano norme che esplicitamente prevedano una siffatta possibilità. A tal proposito è utile ricordare che il risarcimento del danno non patrimoniale è oggi ammesso in tre ipotesi differenti: nel caso in cui il fatto integri gli estremi di un reato; in caso di riconoscimento espresso da parte del legislatore; in presenza di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

La mancanza di indicazioni legislative ha notevolmente contribuito ad alimentare i dubbi e le perplessità sul tema. Le Sezioni Unite nel 2008 hanno affrontato la questione con le sentenze nn. 26972, 26973, 26974, 26975, note come sentenze di “San Martino”. In tale circostanza i giudici di legittimità hanno ritenuto inconcepibile la risarcibilità di qualsiasi «pregiudizio non pecuniario sofferto per la perdita di un animale». In particolare hanno affermato il «difetto dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata (..) incidendo la lesione su un rapporto, tra uomo ed animale, privo, nell’attuale assetto dell’ordinamento, di copertura costituzionale».

La pronuncia delle Sezioni Unite costituisce ancora oggi una massima da seguire?

L’interpretazione data dalla Suprema Corte esclude dunque in modo deciso il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla morte dell’animale d’affezione. Ad oggi questa rappresenta ancora una massima cui i giudici di merito dovrebbero tener conto nelle loro pronunce. Tuttavia le conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite sono state criticate sotto diversi aspetti.

Parte della dottrina ha osservato come sia astrattamente possibile giustificare il risarcimento del suddetto danno non patrimoniale qualora si includesse il legame affettivo con l’animale da compagnia tra le attività realizzatrici della persona di cui all’art. 2 Cost., ovvero qualora la lesione di tale legame venisse considerata un ostacolo al pieno sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 Cost., o una violazione dei diritti della famiglia di cui all’art. 29 Cost.

Bisogna parimenti considerare che, soprattutto negli ultimi anni, la sensibilità sociale nei confronti degli animali è notevolmente mutata: gli animali domestici sono accuditi, curati ed amati come esseri umani dai loro padroni, e ciò non può non essere tenuto in considerazione in sede di accertamento e liquidazione del danno.

Ciò che in definitiva emerge è la mancanza di un orientamento giurisprudenziale omogeneo sul tema. Pertanto sarebbe auspicabile un intervento da parte del legislatore. Va tuttavia precisato che, recentemente, la giurisprudenza di merito sembra maggiormente orientata verso la concessione del ristoro del pregiudizio non patrimoniale. Diverse sono infatti le sentenze in cui i giudici di merito hanno accordato il risarcimento del danno, e questa sembra effettivamente essere la soluzione più corretta.

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