Il genitore che non corrisponde il mantenimento al figlio maggiorenne non può essere condannato per il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare” ex art. 570 c.p. Il reato si configura solo se il ragazzo è inabile al lavoro. E non rileva neanche che sia uno studente. (Cass. Pen. 1342/2019).
La figlia querela il padre, colpevole di non averle versato tre mensilità a titolo di mantenimento, così come stabilito dal Tribunale. L’uomo viene dunque condannato in primo e secondo grado per il reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, ex art. 570 c.p.
L’uomo ricorre in Cassazione, sostenendo che la norma sopra indicata era stata erroneamente applicata. E infatti l’art. 570, comma 2 n. 2 incrimina la condotta di chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro…”. L’uomo precisava invece che al momento dei fatti la figlia era maggiorenne e che non si trovava in stato di bisogno, in quanto aveva un lavoro part time. La stessa aveva anche volontariamente lasciato la casa familiare dopo la morte della madre, e pertanto l’uomo non sapeva come adempiere.
La Suprema Corte da ragione all’uomo. La Cassazione infatti condivide la tesi sostenuta dal padre. Il reato si configura solo se i figli sono minorenni o maggiorenni inabili al lavoro. Specificando che l’inabilità al lavoro deve essere totale e permanente.
“Ne discende” – si legge testualmente nella sentenza in oggetto- ” che non integra il reato in parola la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza a figli maggiorenni non inabili a lavoro, anche se studenti“.
Ciò non toglie che, in casi di questo tipo, in presenza di un provvedimento che preveda un mantenimento per il figlio maggiorenne, si possano azionare strumenti di tutela di tipo civilistico.
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