Il reato di stalking esiste anche se la vittima cerca di chiudere pacificamente la relazione con l’ex: sono altri gli elementi presi in considerazione. Per esempio la potenziale lesività dei comportamenti dello stalker e il fatto che le azioni di quest’ultimo possano destabilizzare l’equilibrio psico-fisico di una “persona media” (Cass. Pen. V Sez. Pen. 22 febbraio 2018 n. 8744)
L’art. 612 bis del codice penale chiarisce in cosa consiste il reato di atti persecutori, più noto come “stalking”. Il reato esiste quando un soggetto ha dei comportamenti persecutori e ripetuti nel tempo, quali telefonate, messaggi, appostamenti, pedinamenti. Comportamenti che creano nella vittima uno stato di ansia e paura e/o che la costringono a cambiare le sue abitudini di vita o che le incutano timore per la sua incolumità o quella di persone a lei care.
Lo conferma un caso affrontato da Tribunale e Corte di Appello di Milano arrivato in Cassazione. Dopo la rottura, una ragazza aveva cercato di mantenere rapporti civili con il suo ex fidanzato. Non solo non aveva mai interrotto le comunicazioni ma, aveva lei stessa ammesso, di essere stata talvolta potenzialmente ambigua. Era questo il caso di un messaggio che esordiva con “ti amo, ti odio, ti voglio”.
Lui dal canto suo non riusciva ad accettare la scelta di lei e continuava a cercarla. Pur senza essere mai aggressivo o violento, lo stalker dichiarava di volerla sposare a tutti i costi, spingendosi sino ad incontrare i genitori di lei e chiederne la mano.
Dietro consiglio della polizia, la donna aveva provato a mediare con l’ex, chiedendo anche l’aiuto delle suore che la ospitavano. Quando nemmeno questo aveva funzionato, si era decisa a denunciarlo per stalking: non una ma quattro volte in sette mesi! Mesi durante i quali, cercando di sfuggire al suo persecutore, aveva anche cambiato email, numero, abitazione.
Il tribunale di Milano ha assolto l’uomo, accettando la tesi del difensore, secondo cui non c’era stalking poiché era chiaro che l’imputato non avrebbe mai danneggiato la vittima, così lei ha deciso di rivolgersi alla Corte di Appello.
La Suprema Corte ha condannato l’ex invadente poiché ha preso in considerazione le possibili conseguenze dei comportamenti dell’uomo, vero e proprio stalking poiché, nonostante l’atteggiamento conciliante della vittima, questa si era trovata in un tale stato di ansia da cambiare abitudini e stile di vita per sottrarsi alla persecuzione.
Il reato di stalking dunque, esiste quando un soggetto ha comportamenti anche solo potenzialmente lesivi, e che hanno in se stessi una carica ansiogena tale da destabilizzare l’equilibrio psicofisico di una persona media, a prescindere dalla concreta reazione della vittima.
Pertanto la Cassazione ha confermato la condanna della Corte d’Appello e ha condannato l’uomo al risarcimento del danno morale e delle spese processuali. L’assenza di aggressività dei comportamenti dell’imputato ha comunque avuto peso nella quantificazione dei danni, che è stata fatta al ribasso, ma non è valsa alla sua assoluzione.