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violenza sulle donne

REVENGE PORN, FINALMENTE E’ REATO.

23 Ottobre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il reato di revenge porn, previsto dall’art. 612 ter c.p., è stato introdotto dalla legge 69/2019 , conosciuta come codice rosso,  al fine di arginare il drammatico fenomeno della illecita diffusione di immagini o di video sessualmente espliciti.

PRIMO CASO A PALERMO

I quotidiani palermitani hanno rappresentato il primo caso di revenge porn registrato a Palermo. La vittima è una ragazza di 28 anni. L’immagine diffusa veniva scattata alla donna dall’ex fidanzato in un momento di intimità.

Una volta lasciato, pur di tornare con la ex, o per vendetta l’uomo, aveva diffuso l’immagine dal contenuto sessuale esplicito della fidanzata.

La donna presentava querela e il Gip valutati gli elementi di prova, particolarmente gravi ai danni dell’ex convivente, disponeva la misura cautelare in carcere.

COSA SIGNIFICA REVENGE PORN?

L’espressione “Revenge Porn” deriva dall’inglese e significa vendetta porno. Il comportamento di chi diffonde illecitamente immagini o video dal contenuto sessuale a decorrere dal 09 agosto scorso è sanzionabile penalmente.

Purtroppo nei ultimi tempi la cronaca nazionale, e non, ha messo in luce parecchie storie drammatiche, che nei casi più gravi hanno determinato il suicidio della vittima.

CHI VIENE PUNITO NEL REVENGE PORN?

La legge punisce chi diffonde in maniera illecita, e quindi senza il consenso, immagini o video sessualmente espliciti. La pena è la stessa  sia per chi ha realizzato l’immagine o il video e poi lo diffonde, sia per chi si limita a diffonderlo. Il trattamento sanzionatorio è la reclusione da uno a sei anni. Lo stesso è aumentato nel caso il cui il reato viene commesso dal coniuge, o da persona legata da relazione affettiva.  Aumento di pena si ha anche sei i fatti sono commessi tramite strumenti informatici o telematici, ma non solo. Infatti è previsto un aumento da un terzo alla metà se il fatto è commesso ai danni di una donna in gravidanza o in condizioni di inferiorità psichica o fisica.

PROCEDIBILITA’

Il reato di revenge porn viene punito a querela della persona offesa, da proporsi entro il termine lungo di mesi sei.

Nei casi aggravati la procedibilità diventa  di ufficio.

Per un maggiore approfondimento vi invitiamo a leggere “Codice Rosso:l’entrata in vigore della legge 69/2019 a tutela delle vittime di violenza domestica, sarà sufficiente?Leggi qui.

 

 

 

 

 

 

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Codice Rosso: l’entrata in vigore della legge 69/2019 a tutela delle vittime di violenza domestica, sarà sufficiente?

26 Settembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il codice Rosso, entrato in vigore il 9 agosto scorso, ha l’obiettivo di fermare il corso al drammatico fenomeno del femminicidio. In particolare per contrastare la violenza sulle donne, il Governo, con l’approvazione della legge 69/2019,  ha previsto una corsia preferenziale per le denunce in caso di violenza domestica e di genere.

Elenco di reati interessati dalla normativa

Le novità introdotte con in codice rosso, di cui si parlerà a breve, riguardano i reati di maltrattamenti, violenza sessuale, Stalking e lesioni commesse in contesti familiari o nell’ambito delle relazioni di convivenza.  

Viene introdotto un nuovo reato, che prevede la reclusione da 8 a 14 anni di reclusione, per chi provoca la deformazione dell’aspetto della vittima. La pena, invece, è l’ergastolo se lo sfregio determina la morte del danneggiato. Rischia la reclusione da uno a sei anni di carcere chi commette il reato di revenge porn, oltre ad una salata multa. Quest’ultimo si realizza quando qualcuno, diffonde, cede, invia o pubblica foto o video a contenuto sessuale di una persona senza il suo consenso.  La pena aumenta se il reato è commesso dal compagno o da un ex, oppure, se per commettere il reato ci si avvale di strumenti informatici e telematici.

Pene severe sono previste anche per chi, tramite violenza o minacce induce un altro a contrarre matrimonio.

Le novità: la corsia preferenziale

Tra le novità introdotte vi è la previsione di una corsia preferenziale per lo svolgimento delle indagini preliminari. In particolare le Forze dell’Ordine ricevuta la notizia di uno dei reati sopra elencati dovranno trasmettere la querela immediatamente al pubblico ministero. Quest’ultimo dovrà, al fine di dare impulso immediato alle indagini, sentire entro tre giorni il racconto della persona offesa. Tale termine di tre giorni potrà, tuttavia, essere prorogato se sussistono esigenze di tutela della riservatezza  delle indagini. 

L’accelerazione dei tempi per l’acquisizione delle fonti di prova si pone come necessaria per valutare il reale pericolo che incorre la vittima e così consentire al Giudice di emettere un provvedimento cautelare a tutela della stessa.

Il codice rosso prevede, altresì, l’organizzazione di corsi professionali nelle scuole dei corpi per poliziotti, carabinieri e polizia penitenziaria. La finalità è quella di formare operatori specializzati nei reati di violenza domestica e di genere.

Altra importante novità riguarda l’applicazione della sospensione condizionale della pena in caso di condanna per reati sessuali. Ed, infatti, tale beneficio è, oggi, subordinato alla partecipazione a percorsi di recupero di soggetti condannati per reati sessuali.

Anche in tema di misure cautelari è prevista una importante novità. Infatti il GIP, valutato il caso, può disporre oltre il divieto di avvicinamento alla persona offesa, anche l’applicazione all’indagato del  braccialetto elettronico.

Il codice rosso sarà sufficiente a salvare vittime?

I dati statistici in merito alla violenza domestica e di genere sono allarmanti. Si tratta di un fenomeno che, purtroppo, tende a non arrestare il proprio corso e che spesso sfocia in efferati omicidi.

La nuova normativa, la quale prevede, come sopra rappresentato, un inasprimento sanzionatorio nonché un’accelerazione dei tempi nella fase delle indagini, rappresentano un tentativo di arginare il fenomeno. 

Un dato positivo  dall’entrata in vigore della legge 69/2019 è già stato riscontrato, ossia l’aumento del numero di denunce. Tale circostanza è espressione della crescita della fiducia delle persone offese di reati violenti. Infatti l’immediata presa in carico della vittima da parte delle Autorità sembrerebbe incoraggiare le predette a rivolgersi allo Stato.  Tale incremento, probabilmente, non è legato all’aumento degli episodi di violenza, quanto all’effetto della legge. Infatti, le persone incoraggiate dalla nuova tutela si rivolgono fiduciose a polizia e carabinieri.

La strada è ancora lunga prima che il fenomeno possa essere estirpato. Tuttavia la collaborazione tra autorità e associazioni, l’inasprimento sanzionatorio nonché la celerità dei tempi di indagine rappresentano un importante passo in avanti. 

Ti potrebbe anche interessare: “Il dramma dentro casa: abusi in famiglia”. Leggi qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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25 Novembre: Giornata internazionale contro ogni violenza sulle donne

23 Novembre 2018 Da Staff Lascia un commento

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La ricorrenza è stata istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e prevede che in questa data i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG promuovano attività di sensibilizzazione.

Naturalmente la data non è casuale, si tratta infatti di una tragica ricorrenza: in questo giorno, quasi vent’anni fa, morirono assassinate Patria, Minerva e María Teresa Mirabal.

Le tre erano coraggiose donne e attiviste, che insieme ai loro mariti sognavano un sorte migliore per il loro paese e lottavano per liberarlo dalla dittatura. Il governo repressivo le rinchiuse in carcere con i loro compagni ma mentre questi ultimi rimasero in prigione, le sorelle vennero liberate dopo pochi mesi.

Il 25 novembre 1960, le tre sorelle Mirabal camminavano dirette alla prigione dove erano detenuti i loro mariti, ma non arrivarono mai a destinazione.
Nel tragitto incontrarono i loro carnefici: gli agenti del Servizio di informazione militare, istituito dal dittatore Trujillo.
Le ragazze dominicane furono torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate. Infine, per simulare un incidente le gettarono in un precipizio, a bordo della loro auto.

L’opinione pubblica, però, non si fece ingannare e in molti cominciarono a ribellarsi. Di lì a poco il regime finì con la morte del dittatore Rafael Leónidas Trujillo.

Nel 1999 con risoluzione 54/134 del 17 dicembre, l’Assemblea delle Nazioni Unite ha stabilito che ogni anno nella data del 25 novembre tutti i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG si impegnino in attività per sensibilizzare l’opinione pubblica, affinché si denunci ogni violenza contro le donne. Perché non vi siano più femminicidi, perché non ve ne sia più “una di meno”.

“Non una di meno” è il nome del movimento internazionale che nasce da una frase della poetessa messicana Susana Chavéz: Ni una mujeres meno, nì una muerta màs: Né una donna in meno, né una morta in più.

Il 25 novembre sarà un’importante occasione per ripeterla di nuovo, ancora una volta, ancora più forte.

 

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Esorcismi a sfondo sessuale a Palermo: le vittime hanno vinto due volte

22 Ottobre 2018 Da Studio Legale Arcoleo 4 commenti

La Corte d’Appello di Palermo, lo scorso 11 ottobre, ha confermato la condanna a sei anni e due mesi per l’ex colonnello dell’esercito Salvatore Muratore. Le sei vittime, che ho difeso in giudizio sin dal primo grado, riceveranno il giusto risarcimento. Ma la vera vittoria è aver abbattuto il muro di omertà.

L’inchiesta è cominciata dalla denuncia di due ragazze minorenni e della loro madre. Le donne raccontarono di avere subito ripetuti abusi da parte dell’ex colonnello Muratore e indicarono anche altre tre giovani donne che si convinsero, poi, a sporgere denuncia. Le ragazze erano in contatto con l’ex militare attraverso un “gruppo spirituale”.

Per “liberarle dal demone della lussuria” l’uomo, le avrebbe costrette a ripetute pratiche tutt’altro che spirituali!

In quanto difensore delle vittime mi sono spesa affinché i fatti venissero a galla in tutta la loro violenza. Ho fatto in modo che queste donne raccontassero l’accaduto e il dolore che avevano provato. Non ho potuto fare a meno di restituire loro la voce per fare luce su una scomoda realtà.

Nel nostro ordinamento, purtroppo, le vittime ricoprono un ruolo secondario. Non a caso, infatti, nel  processo penale, la vittima prende il nome di “persona offesa”. Questo accade perché il termine “vittima”, carico di un connotato emozionale, stride con le finalità razionali che un giudizio penale deve perseguire.  La persona offesa, diventa poi “parte civile”, nel momento in cui chiede un risarcimento monetario per il danno patito.

Dunque, nell’ordinamento italiano,  le vittime si inseriscono nel processo penale come “ospiti”. L’avvocato, per la loro difesa, ha solo qualche strumento civilistico, poco efficace a restituire alle vittime  la dignità di persona.

Nonostante tutto, era importante che queste donne rendessero le loro testimonianze, contro uomini di (presunta) fede. E che lo facessero nonostante il mancato sostegno della comunità sociale in cui vivevano.

Com’è possibile che le istituzioni e la società abbandonino le vittime di fronte a rivelazioni, talora urlate e più spesso sussurrate tra la paura e l’imbarazzo? Non è umanamente comprensibile.

Superficialmente, in casi di violenza sessuale, come questo, dovrebbe essere scontato schierarsi con le vittime. Al contrario molti studi dimostrano il contrario.

Spesso infatti, anche operatori professionisti, di fronte a rivelazioni inequivocabili, tendono a non sostenere la vittima nella denuncia, alleandosi nei fatti con il carnefice. E il colpevole non desidera altro! Vuole che non si faccia nulla, che il tempo getti nell’oblio la verità e metta in dubbio la credibilità delle vittime. Vuole che non ne valga più la pena.

Allearci con le vittime è indubbiamente un costo enorme. Ci chiede di non fare finta di niente, di portare avanti la loro voce anche quando sono titubanti. Di stare loro vicino, ascoltarle, contenere gli sbalzi d’umore, le convinzioni autodistruttive che parlano di quel trauma.

Nelle memorie processuali ho spronato ad andare oltre il pregiudizio secondo cui queste donne fossero consapevoli e consenzienti di quanto stesse accadendo. Ho sottolineato al giudicante la gradualità del percorso di persuasione perversa attraverso cui Muratore ha circuito le vittime fino ad arrivare alla violenza sessuale.

Dal coraggio di una madre che ha saputo abbattere il muro di omertà, è cominciata l’indagine giudiziaria che ha portato alla  luce l’odiosa vicenda. La condanna del carnefice, e il risarcimento delle donne, sono solo l’apice di questo percorso. La vera vittoria è stata l’interruzione, una volta per tutte, delle indicibili pratiche  perpetrate a danno dei soggetti più deboli. Per questo mi sento di dire che queste donne hanno vinto due volte.

Per onestà intellettuale, però occorre specificare che si attende che la sentenza diventi definitiva.

Durante il proprio lavoro, ciascun avvocato dovrebbe sforzarsi di non tradire la definizione di vittima cosi come definita dalla “Magna Charta” delle vittime redatta dalle UN 40/34, 1985 (e ugualmente recepita dal Consiglio d’Europa). Secondo questo documento è vittima qualsiasi “individuo che, singolarmente o collettivamente, ha subito un danno, comprensivo di lesioni fisiche o psichiche, sofferenze emozionali, limitazioni economiche o sostanziali disparità in merito ai propri diritti fondamentali, mediante azioni o omissioni che violano le leggi penali vigenti degli Stati Membri”.

Attraverso la mia assistenza legale ho voluto difendere le vittime, che sono prima di tutto, individui, persone. Vittime che hanno subito un danno, non solo patrimoniale, ma soprattutto psichico, fisico ed emozionale.

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