L’espulsione non può avvenire in maniera automatica per mancanza di un titolo di soggiorno valido se ci sono motivi di unità familiare a giustificare la permanenza in Italia dello straniero. (Cass. Civ. n. 1665/2019)
Un cittadino marocchino si è rivolto al Giudice di Pace. Riteneva infatti che fosse ingiusto il decreto del Prefetto che sanciva la sua espulsione dall’Italia.
Ma il Giudice ha confermato la legittimità dell’espulsione: il permesso di soggiorno dell’uomo, infatti, era scaduto.
L’uomo aveva anche invocato la soluzione del ricongiungimento familiare. Ma il Giudice, pur riconoscendo la percorribilità di questa via, ha contestato che l’uomo non avrebbe dato prova di averne fatto richiesta. Non era sufficiente l’aver prodotto in giudizio un bollettino postale e la prova di un’assicurata a mezzo posta.
Cos’è il ricongiungimento familiare? E’ un istituto che consente al cittadino straniero (o apolide) che vive regolarmente in Italia di richiedere l’ingresso di familiari extracomunitari o apolidi. Questo strumento ha la finalità di garantire a tutti gli individui l’unità familiare (per approfondire leggi anche art. 29 del T.U. sull’Immigrazione).
Disperato, l’uomo si è dunque rivolto alla Suprema Corte. A suo dire, infatti, la decisione del Giudice di Pace non avrebbe tenuto conto della tutela rafforzata che spetta agli stranieri che hanno esercitato il diritto al ricongiungimento, o, comunque, al ricongiunto.
In particolare, poi, il giudicante, non avrebbe tenuto conto della natura e dell’effettività dei legami familiari, del tempo trascorso in Italia, e la condizione sua e dei congiunti.
Il Giudice di Pace poi avrebbe anche sbagliato a sottovalutare la documentazione prodotta in giudizio. Il cittadino straniero aveva fatto richiesta di un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. E la ricevuta postale ne era attestazione. Ciò di per sé sarebbe dovuto essere sufficiente a sospendere il provvedimento di espulsione.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso del cittadino straniero.
La motivazione fornita dalla Suprema Corte è estremamente complessa e tecnica.
Nella sostanza, però gli Ermellini hanno voluto ribadire un orientamento fondamentale. E cioè che l’ingresso irregolare in Italia o la mancanza (originaria o sopravvenuta) del permesso di soggiorno non possono determinare da sole l’espulsione di uno straniero. Ciò però solo quando vi siano delle ragioni legate alla tutela dell’unità familiare.
In questi casi occorre effettuare una valutazione caso per caso. E questa valutazione deve tenere conto della natura e dell’effettività dei legami familiari, di quelli con il paese d’origine, della durata della permanenza in Italia. Secondo una valutazione caso per caso.
Questa modalità deve essere applicata a tutti gli stranieri che in Italia abbiano dei legami familiari. A prescindere che, formalmente, siano o meno nella condizione di richiedere il ricongiungimento familiare.
L’organo chiamato a decidere sull’espulsione – amministrativo o giudiziario che sia – deve procedere ad un bilanciamento di interessi. La tutela dell’ordine pubblico dello Stato e il diritto alla vita familiare di qualsiasi individuo.
Tutti passaggi, questi, che la Prefettura prima e il Giudice Pace dopo avevano ignorato.
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