In caso di morte dell’animale d’affezione la sofferenza del padrone è paragonabile alla sofferenza per la morte di un caro. Cani e gatti sono avvertiti ormai da tempo come membri effettivi del nucleo familiare. L’amore che un individuo può provare per il suo animale è tale che la scomparsa di quest’ultimo è avvertita spesso come un lutto.
È risarcibile il dolore?
Quando si parla di dolore emotivo o psicologico si fa riferimento ad un pregiudizio di natura non patrimoniale. Il bene leso, ossia la stabilità emotiva e mentale della vittima, non è un bene suscettibile di valutazione economica. Non è un bene a cui può essere attribuito un prezzo o un costo. Tuttavia, ciò non vuol dire, che non possa essere oggetto di uno specifico risarcimento.
L’art. 2059 c.c. stabilisce infatti che “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. É dunque la legge a determinare quando il dolore patito da un individuo è astrattamente risarcibile.
… e il dolore derivante dalla perdita dell’animale d’affezione?
Nonostante il denaro non può mai essere idoneo a colmare il vuoto lasciato dalla perdita di un legame affettivo, è lecito chiedersi se, nel nostro ordinamento, è previsto un risarcimento per la morte dell’animale d’affezione. Ovviamente affinché tale ristoro sia possibile è necessario che la morte dell’animale non sia avvenuta per cause naturali. Di contro deve essere stata causata dalla condotta illecita altrui.
La questione risulta essere particolarmente delicata e dibattuta. In primo luogo è necessario constatare come non vi siano norme che esplicitamente prevedano una siffatta possibilità. A tal proposito è utile ricordare che il risarcimento del danno non patrimoniale è oggi ammesso in tre ipotesi differenti: nel caso in cui il fatto integri gli estremi di un reato; in caso di riconoscimento espresso da parte del legislatore; in presenza di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.
La mancanza di indicazioni legislative ha notevolmente contribuito ad alimentare i dubbi e le perplessità sul tema. Le Sezioni Unite nel 2008 hanno affrontato la questione con le sentenze nn. 26972, 26973, 26974, 26975, note come sentenze di “San Martino”. In tale circostanza i giudici di legittimità hanno ritenuto inconcepibile la risarcibilità di qualsiasi «pregiudizio non pecuniario sofferto per la perdita di un animale». In particolare hanno affermato il «difetto dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata (..) incidendo la lesione su un rapporto, tra uomo ed animale, privo, nell’attuale assetto dell’ordinamento, di copertura costituzionale».
La pronuncia delle Sezioni Unite costituisce ancora oggi una massima da seguire?
L’interpretazione data dalla Suprema Corte esclude dunque in modo deciso il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla morte dell’animale d’affezione. Ad oggi questa rappresenta ancora una massima cui i giudici di merito dovrebbero tener conto nelle loro pronunce. Tuttavia le conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite sono state criticate sotto diversi aspetti.
Parte della dottrina ha osservato come sia astrattamente possibile giustificare il risarcimento del suddetto danno non patrimoniale qualora si includesse il legame affettivo con l’animale da compagnia tra le attività realizzatrici della persona di cui all’art. 2 Cost., ovvero qualora la lesione di tale legame venisse considerata un ostacolo al pieno sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 Cost., o una violazione dei diritti della famiglia di cui all’art. 29 Cost.
Bisogna parimenti considerare che, soprattutto negli ultimi anni, la sensibilità sociale nei confronti degli animali è notevolmente mutata: gli animali domestici sono accuditi, curati ed amati come esseri umani dai loro padroni, e ciò non può non essere tenuto in considerazione in sede di accertamento e liquidazione del danno.
Ciò che in definitiva emerge è la mancanza di un orientamento giurisprudenziale omogeneo sul tema. Pertanto sarebbe auspicabile un intervento da parte del legislatore. Va tuttavia precisato che, recentemente, la giurisprudenza di merito sembra maggiormente orientata verso la concessione del ristoro del pregiudizio non patrimoniale. Diverse sono infatti le sentenze in cui i giudici di merito hanno accordato il risarcimento del danno, e questa sembra effettivamente essere la soluzione più corretta.
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