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MORTE DELL’ANIMALE D’AFFEZIONE: È RISARCIBILE IL DOLORE SOFFERTO?

28 Novembre 2019 Da Staff Lascia un commento

In caso di morte dell’animale d’affezione la sofferenza del padrone è paragonabile alla sofferenza per la morte di un caro. Cani e gatti sono avvertiti ormai da tempo come membri effettivi del nucleo familiare. L’amore che un individuo può provare per il suo animale è tale che la scomparsa di quest’ultimo è avvertita spesso come un lutto.

È risarcibile il dolore?

Quando si parla di dolore emotivo o psicologico si fa riferimento ad un pregiudizio di natura non patrimoniale. Il bene leso, ossia la stabilità emotiva e mentale della vittima, non è un bene suscettibile di valutazione economica.  Non è un bene a cui può essere attribuito un prezzo o un costo. Tuttavia, ciò non vuol dire, che non possa essere oggetto di uno specifico risarcimento.

L’art. 2059 c.c. stabilisce infatti che “il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”. É dunque la legge a determinare quando il dolore patito da un individuo è astrattamente risarcibile.

… e il dolore derivante dalla perdita dell’animale d’affezione?

Nonostante il denaro non può mai essere idoneo a colmare il vuoto lasciato dalla perdita di un legame affettivo, è lecito chiedersi se, nel nostro ordinamento, è previsto un risarcimento per la morte dell’animale d’affezione. Ovviamente affinché tale ristoro sia possibile è necessario che la morte dell’animale non sia avvenuta per cause naturali.  Di contro deve essere stata causata dalla condotta illecita altrui.

La questione risulta essere particolarmente delicata e dibattuta. In primo luogo è necessario constatare come non vi siano norme che esplicitamente prevedano una siffatta possibilità. A tal proposito è utile ricordare che il risarcimento del danno non patrimoniale è oggi ammesso in tre ipotesi differenti: nel caso in cui il fatto integri gli estremi di un reato; in caso di riconoscimento espresso da parte del legislatore; in presenza di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

La mancanza di indicazioni legislative ha notevolmente contribuito ad alimentare i dubbi e le perplessità sul tema. Le Sezioni Unite nel 2008 hanno affrontato la questione con le sentenze nn. 26972, 26973, 26974, 26975, note come sentenze di “San Martino”. In tale circostanza i giudici di legittimità hanno ritenuto inconcepibile la risarcibilità di qualsiasi «pregiudizio non pecuniario sofferto per la perdita di un animale». In particolare hanno affermato il «difetto dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata (..) incidendo la lesione su un rapporto, tra uomo ed animale, privo, nell’attuale assetto dell’ordinamento, di copertura costituzionale».

La pronuncia delle Sezioni Unite costituisce ancora oggi una massima da seguire?

L’interpretazione data dalla Suprema Corte esclude dunque in modo deciso il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla morte dell’animale d’affezione. Ad oggi questa rappresenta ancora una massima cui i giudici di merito dovrebbero tener conto nelle loro pronunce. Tuttavia le conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite sono state criticate sotto diversi aspetti.

Parte della dottrina ha osservato come sia astrattamente possibile giustificare il risarcimento del suddetto danno non patrimoniale qualora si includesse il legame affettivo con l’animale da compagnia tra le attività realizzatrici della persona di cui all’art. 2 Cost., ovvero qualora la lesione di tale legame venisse considerata un ostacolo al pieno sviluppo della persona umana di cui all’art. 3 Cost., o una violazione dei diritti della famiglia di cui all’art. 29 Cost.

Bisogna parimenti considerare che, soprattutto negli ultimi anni, la sensibilità sociale nei confronti degli animali è notevolmente mutata: gli animali domestici sono accuditi, curati ed amati come esseri umani dai loro padroni, e ciò non può non essere tenuto in considerazione in sede di accertamento e liquidazione del danno.

Ciò che in definitiva emerge è la mancanza di un orientamento giurisprudenziale omogeneo sul tema. Pertanto sarebbe auspicabile un intervento da parte del legislatore. Va tuttavia precisato che, recentemente, la giurisprudenza di merito sembra maggiormente orientata verso la concessione del ristoro del pregiudizio non patrimoniale. Diverse sono infatti le sentenze in cui i giudici di merito hanno accordato il risarcimento del danno, e questa sembra effettivamente essere la soluzione più corretta.

Potrebbe anche interessarti “Espulsione degli stranieri: e i legami familiari?”, leggi qui.

 

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Animali domestici come figli: il Giudice decide su affidamento e spese.

25 Marzo 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Gli animali domestici sono stati oggetto di una recentissima pronuncia del Tribunale di Sciacca. In mancanza di accordo tra i padroni in sede di separazione, il Giudice ne ha stabilito modalità di affidamento, collocamento e ripartizione delle spese. (Trib. Sciacca, Sez. Unica, Decr. 19/02/2019).

“Il sentimento per gli animali è un valore meritevole di tutela, anche con riferimento al benessere degli animali stessi“. Su questo presupposto il Presidente del Tribunale di Sciacca ha preso una decisione che ha pochi precedenti in Italia.

In Italia non esiste l’istituto dell’affidamento o assegnazione degli animali domestici. Per questo, per molti anni, la giurisprudenza ha sostenuto non fosse compito del Giudice della separazione decidere in tal senso. Con l’unica eccezione, in caso di separazione consensuale, di “benedire” con l’omologa gli accordi pacificamente raggiunti dai coniugi per l’affidamento degli animali familiari.

Il Presidente Tricoli invece si è trovato davanti ad una di quelle separazioni dall’alto tasso di litigiosità tra i coniugi. Tanto da non riuscire a trovare per loro conto un accordo sull’affidamento del cane e del gatto che fino ad allora avevano vissuto con loro.

Così il Giudice, per risolvere la situazione, ha regolato l’affidamento ed il mantenimento dei due animali domestici. Proprio come si farebbe in presenza di figli minori.

Pertanto ha affidato il gatto esclusivamente all’uomo. Questa sistemazione, secondo il Tribunale, assicurerebbe al felino “il miglior sviluppo possibile all’identità dell’animale” (considerando anche che la donna risulta allergica al pelo del gatto).

Invece il dott. Tricoli ha affidato il cane della coppia ad entrambi i coniugi, a settimane alterne, a prescindere dell’effettiva intestazione del microchip. Ed ha ripartito al 50% tra le parti le spese veterinarie e straordinarie per lo stesso.

D’altronde non dobbiamo dimenticare che il problema era già stato portato all’attenzione del Parlamento, mediante una proposta di modifica del codice civile. Tale modifica consisterebbe nell’inserimento dell’art. 445 ter del seguente tenore:
«in caso di separazione dei coniugi, proprietari di un animale familiare, il Tribunale, in mancanza di un accordo tra le parti, a prescindere dal regime di separazione o di comunione dei beni e a quanto risultante dai documenti anagrafici dell’animale, sentiti i coniugi, i conviventi, la prole e, se del caso, esperti di comportamento animale, attribuisce l’affido esclusivo o condiviso dell’animale alla parte in grado di garantirne il maggior benessere. Il tribunale è competente a decidere in merito all’affido di cui al presente comma anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio»

Tuttavia questa proposta giace in Parlamento da anni senza avere la giusta considerazione.

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