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Offendere sui Social Network è reato: una nuova diffamazione

31 Ottobre 2019 Da Staff Lascia un commento

Offendere su facebook è reato. In particolare le offese integrerebbero il reato di diffamazione di cui all’art. 595 comma 3 c.p.

Sviluppi giurisprudenziali

Offendere su  facebook configura per la giurisprudenza il reato di cui l’articolo 595 c.p. in caso di  post o commento dai contenuti diffamatori, è questo l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione.

Per parlare di diffamazione, il post o il commento non necessariamente deve indicare un nome o una persona specifica. È sufficiente che siano scritti elementi che facilmente ricolleghino le offese a un soggetto determinato.

La condotta rientrerebbe tra quelle indicate dal comma 3 dell’art. 595 c.p. 

Fate attenzione! non è necessario che vi sia l’intento di offendere, essendo sufficiente avere volontariamente scritto il post o il commento incriminato, senza tenere conto delle possibili conseguenze.

Ciò che più preoccupa di questo “nuovo reato” è la possibilità di “ricondivisione”, spesso incontrollabile, di un messaggio offensivo. Tutto questo giustifica le condanne previste.

Cosa si intende per diffamazione?

La diffamazione trova “il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorché non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa.” (Cass. 24431/2015)

Tuttavia non sempre la giurisprudenza è unanime.  Infatti nella sentenza n. 1254/2019 la Cassazione ritiene che Facebook  è “potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato di persone”. Tuttavia non  può parlarsi di reato posto “in essere col mezzo della stampa” perché i social network non sarebbero destinati “ad un’attività di informazione professionale diretta al pubblico”.

Quando il reato non si configura e trattamento sanzionatorio

Esistono delle scriminanti, ossia ipotesi nelle quali non si è puniti. Infatti se si risponde ad una provocazione o se si esercita il proprio diritto di critica allora potrebbe non trattarsi di diffamazione.

Attenzione però, la pena prevista varia da 6 mesi a 3 anni di reclusione, e la multa non è mai inferiore a 516 euro. Inoltre è sempre possibile agire in sede civile per ottenere risarcimento.

Come tutelarsi?

Si tratta di un reato procedibile a querela di parte che va sporta presso i carabinieri o la polizia postale entro 3 mesi da quando si viene a conoscenza del commento o del post dal contenuto offensivo.

Potrebbe anche interessarti “Revenge porn, finalmente è reato”. Leggi qui.

 

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La nuova compagna di papà può pubblicare le nostre foto sui social?

24 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

La nuova compagna del padre non può pubblicare sui social le foto dei figli di lui  senza il consenso di entrambi i genitori. (Tribunale di Rieti, ordinanza 7 marzo 2019)

Il fatto

Tizia è la nuova compagna del papà di due bambini. La donna, per lungo tempo, ha avuto l’abitudine di postare sui suoi profili social le foto dei figli del compagno, avuti da  Sempronia, da cui era separato. Foto tra l’altro spesso accompagnate da commenti non proprio edificanti rivolti a quest’ultima.

Sempronia, non condividendo la situazione, ha invitato Tizia – prima bonariamente – a rimuovere le foto dei bambini dai suoi profili social.  Questo primo tentativo purtroppo non è andato a buon fine. Quindi Sempronia ha reiterato la sua richiesta con una diffida formale. 

Sembrava che questo strumento avesse convinto Tizia a desistere dai suoi comportamenti. In realtà però, dopo qualche tempo, ha ricominciato a pubblicare le foto dei minori, seppur con il viso coperto.

Nel frattempo Sempronia e l’uomo decidono di divorziare. E nelle condizioni del divorzio hanno inserito una clausola ben precisa. Quella per cui solo i genitori avrebbero potuto pubblicare sui social le foto dei minori, e non terze persone. Salvo consenso congiunto di mamma e papà.

Incurante di tutto la nuova compagna dell’uomo, anche dopo il divorzio, ha continuato a pubblicare le foto dei bambini. Questa volta senza neanche l’accortezza di coprirne il viso.

Di fronte a questo ulteriore affronto Sempronia ha definitivamente perso la pazienza. E si è rivolta al Tribunale di Rieti, presentando ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

La decisione del Tribunale di Rieti

Il Tribunale di Rieti non solo ha accolto il ricorso di Sempronia, ma le ha dato ragione su tutti i fronti. 

Innanzi tutto, ha ricordato quali sono le norme che tutelano l’immagine e la vita privata dei minori. Prima fra tutte l’art. 10 c.c. (abuso dell’immagine altrui). A questa si aggiungano gli articoli 4, 7, 8 e 145 del c.d. “Codice della Privacy“. Altre norme fondamentali sono poi gli articoli 1 e 16 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. In particolare quest’ultimo articolo stabilisce che i minori non devono subire interferenza nella loro vita privata, nella famiglia, nella corrispondenza. E che la legge deve tutelare i fanciulli da queste interferenze. 

L’avvento dei social network – e della rete più in generale – ha creato l’esigenza di adattare lo scenario normativo alla nuova realtà digitale. Così, il 31 maggio 2018, è entrato in vigore in Italia il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali (regolamento UE 679/2016) . Secondo questa norma, anche le fotografie rientrano tra i c.d. dati personali. Per questo il loro trattamento (pubblicazione), quando si tratta di minori di 16 anni (in Italia 14) deve essere autorizzato da entrambi i genitori.

Inoltre il Tribunale di Rieti, richiamando una pronuncia di quello di Mantova ha ricordato che la pubblicazione sui social delle foto dei minori rappresenta un potenziale pregiudizio per loro. Infatti, le foto messe in rete, possono raggiungere un pubblico pressoché illimitato. Ciò espone i bambini al rischio di avvicinamento da parte di qualche malintenzionato, precedentemente attratto dalle loro foto on line. Per non parlare di coloro che, con procedimenti di fotomontaggio, possono ricavarne materiale pedopornografico.

Per tutte queste ragioni il Tribunale di Rieti ha stabilito una data entro cui alla nuova compagna del papà avrebbe dovuto rimuovere tutte le foto dei bambini. E ha fissato una sorta di “multa” di 50 euro per ogni giorno di ritardo. Ovviamente le ha anche inibito l’ulteriore pubblicazione delle foto dei minori senza il consenso di entrambi i genitori.

Potrebbe interessarti anche: “Uso della rete: nuova frontiera dell’educazione”. Leggi qui

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I cyberbulli colpiscono, e i loro genitori pagano!

5 Febbraio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Se è pur vero che i cyberbulli sono adolescenti, a pagare le conseguenze delle loro azioni sconsiderate sono i loro genitori. Condannati a risarcire il danno da carenza educativa. (Tribunale di Sulmona, sez. civile, 9 aprile 2018 n. 103)

Una minorenne si fa scattare una foto senza veli da un’amica per assecondare la richiesta di un ragazzo di vederla ritratta nuda. Il giovane l’aveva rassicurata sul fatto che questa foto sarebbe rimasta segreta. E invece l’immagine comincia a diffondersi di cellulare in cellulare, via Whatsapp, in un gruppo di ragazzi.

Non contenti, questi, nel gennaio 2013, creano un falso account Facebook. E senza il consenso dell’interessata, vi pubblicano lo scatto. Il profilo social era pubblico, e quindi consultabile da chiunque. La foto diventa di dominio della rete. Così giunge agli occhi della sorella della vittima, che allerta i suoi genitori. Scatta immediatamente la denuncia contro ignoti. Le forze dell’ordine individuano i cyberbulli.

Nei loro confronti si apre un procedimento innanzi al Tribunale per i Minorenni. Per alcuni il capo di imputazione riguarda la cessione a terzi di materiale pedopornografico mediante l’uso del proprio cellulare e la pubblicazione di immagini pornografiche sui social network (ex art. 600 ter, comma 4, c.p.). Per altri, la detenzione di immagini pornografiche riguardanti minorenni (ex art. 600 quater c.p.).

All’esito dell’udienza preliminare i cyberbulli se la cavano con una sentenza di non luogo a procedere. Ma i genitori della ragazza decidono di rivolgersi al Tribunale civile, per chiedere il risarcimento dei danni patiti. Vittima degli eventi non era solo la figlia, ma anche loro!

A seguito dell’evento la ragazza infatti si era chiusa in casa e aveva perso amicizie. La gente per strada e i compagni di scuola la criticavano. Era diventata oggetto di offese su Facebook. Anche il rendimento scolastico ne aveva risentito. Era così caduta in una forte depressione, che si manifestava con crisi di pianto ed insonnia.

Dal canto loro i genitori avevano patito dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Innanzitutto per la sofferenza per l’evento in sé e per le continue critiche delle persone. E poi per la riduzione, a seguito dei fatti, della clientela che frequentava il bar di loro gestione.

Il Tribunale di Sulmona, accogliendo la domanda dei genitori della vittima, dichiara la responsabilità dei minori per le loro condotte. Inoltre, condanna i genitori dei cyberbulli al risarcimento del danno non patrimoniale per “fatto proprio”. Fatto che consiste nel non aver correttamente assolto agli obblighi educativi e di controllo sui propri figli ex art. 2048 c.c. (c.d.  culpa in vigilando o in educando) . Condanna al risarcimento anche gli altri convenuti maggiorenni ai sensi dell’art. 2043 c.c.. Il tutto per una somma complessiva di quasi 85.000,00 euro (oltre le spese processuali e il danno patrimoniale/spese vive sostenute).

Nella sentenza il Tribunale sottolinea che la circolazione o la pubblicazione non autorizzata di una foto che ritrae una persona nuda, lede una pluralità di interessi. Questi interessi – il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onore, all’immagine, all’inviolabilità della corrispondenza- trovano protezione in Costituzione. Per questo il danno non patrimoniale è certamente risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.

Il punto cruciale della pronuncia è però che l’obbligo di risarcire questo danno ricade sui genitori dei cyberbulli. I genitori infatti hanno degli obblighi di educazione e controllo sui figli minorenni. L’art. 2048 c.c specifica però che i genitori non sono tenuti al risarcimento se provano di aver adempiuto al loro dovere. Secondo il Tribunale, però, le condotte poste in essere dai minorenni esprimono di per sé una carenza educativa.

Secondo i Giudici infatti i ragazzi erano sforniti del “necessario senso critico, di una congrua capacità di discernimento e di orientamento consapevole delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui. Capacità che, invece, avrebbero dovuto già godere in relazione all’età posseduta. Tanto è vero che alcuni coetanei, ricevuta la foto, non l’hanno divulgata”.


La sentenza, seppur importante per il tema trattato, è tuttavia una sentenza di primo grado. Al momento non sappiamo se è sta impugnata, e se il giudizio continuerà negli altri gradi e con quali esiti.

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