Se è pur vero che i cyberbulli sono adolescenti, a pagare le conseguenze delle loro azioni sconsiderate sono i loro genitori. Condannati a risarcire il danno da carenza educativa. (Tribunale di Sulmona, sez. civile, 9 aprile 2018 n. 103)
Una minorenne si fa scattare una foto senza veli da un’amica per assecondare la richiesta di un ragazzo di vederla ritratta nuda. Il giovane l’aveva rassicurata sul fatto che questa foto sarebbe rimasta segreta. E invece l’immagine comincia a diffondersi di cellulare in cellulare, via Whatsapp, in un gruppo di ragazzi.
Non contenti, questi, nel gennaio 2013, creano un falso account Facebook. E senza il consenso dell’interessata, vi pubblicano lo scatto. Il profilo social era pubblico, e quindi consultabile da chiunque. La foto diventa di dominio della rete. Così giunge agli occhi della sorella della vittima, che allerta i suoi genitori. Scatta immediatamente la denuncia contro ignoti. Le forze dell’ordine individuano i cyberbulli.
Nei loro confronti si apre un procedimento innanzi al Tribunale per i Minorenni. Per alcuni il capo di imputazione riguarda la cessione a terzi di materiale pedopornografico mediante l’uso del proprio cellulare e la pubblicazione di immagini pornografiche sui social network (ex art. 600 ter, comma 4, c.p.). Per altri, la detenzione di immagini pornografiche riguardanti minorenni (ex art. 600 quater c.p.).
All’esito dell’udienza preliminare i cyberbulli se la cavano con una sentenza di non luogo a procedere. Ma i genitori della ragazza decidono di rivolgersi al Tribunale civile, per chiedere il risarcimento dei danni patiti. Vittima degli eventi non era solo la figlia, ma anche loro!
A seguito dell’evento la ragazza infatti si era chiusa in casa e aveva perso amicizie. La gente per strada e i compagni di scuola la criticavano. Era diventata oggetto di offese su Facebook. Anche il rendimento scolastico ne aveva risentito. Era così caduta in una forte depressione, che si manifestava con crisi di pianto ed insonnia.
Dal canto loro i genitori avevano patito dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Innanzitutto per la sofferenza per l’evento in sé e per le continue critiche delle persone. E poi per la riduzione, a seguito dei fatti, della clientela che frequentava il bar di loro gestione.
Il Tribunale di Sulmona, accogliendo la domanda dei genitori della vittima, dichiara la responsabilità dei minori per le loro condotte. Inoltre, condanna i genitori dei cyberbulli al risarcimento del danno non patrimoniale per “fatto proprio”. Fatto che consiste nel non aver correttamente assolto agli obblighi educativi e di controllo sui propri figli ex art. 2048 c.c. (c.d. culpa in vigilando o in educando) . Condanna al risarcimento anche gli altri convenuti maggiorenni ai sensi dell’art. 2043 c.c.. Il tutto per una somma complessiva di quasi 85.000,00 euro (oltre le spese processuali e il danno patrimoniale/spese vive sostenute).
Nella sentenza il Tribunale sottolinea che la circolazione o la pubblicazione non autorizzata di una foto che ritrae una persona nuda, lede una pluralità di interessi. Questi interessi – il diritto alla riservatezza, alla reputazione, all’onore, all’immagine, all’inviolabilità della corrispondenza- trovano protezione in Costituzione. Per questo il danno non patrimoniale è certamente risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.
Il punto cruciale della pronuncia è però che l’obbligo di risarcire questo danno ricade sui genitori dei cyberbulli. I genitori infatti hanno degli obblighi di educazione e controllo sui figli minorenni. L’art. 2048 c.c specifica però che i genitori non sono tenuti al risarcimento se provano di aver adempiuto al loro dovere. Secondo il Tribunale, però, le condotte poste in essere dai minorenni esprimono di per sé una carenza educativa.
Secondo i Giudici infatti i ragazzi erano sforniti del “necessario senso critico, di una congrua capacità di discernimento e di orientamento consapevole delle proprie scelte nel rispetto e nella tutela altrui. Capacità che, invece, avrebbero dovuto già godere in relazione all’età posseduta. Tanto è vero che alcuni coetanei, ricevuta la foto, non l’hanno divulgata”.
La sentenza, seppur importante per il tema trattato, è tuttavia una sentenza di primo grado. Al momento non sappiamo se è sta impugnata, e se il giudizio continuerà negli altri gradi e con quali esiti.