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Violenza sessuale e corruzione di minorenne tramite i social

9 Ottobre 2020 Da Staff Lascia un commento

Recentemente la Cassazione con due diverse sentenze, ha affermato che è possibile configurarsi il reato di violenza sessuale ed il reato di corruzione di minorenne anche a mezzo social network.

La nuova nozione di violenza sessuale

Per quanto concernente il reato di violenza sessuale (articolo 609-bis c.p.) fino agli anni novanta l’ordinamento puniva esclusivamente le condotte volte al soddisfacimento della sfera sessuale del soggetto attivo. Nel 1998 gli Ermellini hanno esteso il concetto di violenza sessuale che non può limitarsi alle sole zone genitali. La Cassazione ritiene infatti debbano punirsi anche le condotte di violenza  psicologica.  Inoltre, devono includersi tutti gli atti idonei a ledere la libera determinazione della sessualità del soggetto.

Il primo caso

Un uomo, responsabile di avere inviato diversi messaggi sessualmente espliciti tramite whatsapp, aveva costretto una ragazza ad inviargli fotografie dai contenuti sessualmente espliciti minacciandola di pubblicare la chat su whatsapp.

L’accusa riteneva che la condotta posta in essere fosse riconducile al reato di adescamento di minorenni (articolo 609-undecies c.p.), condotta nota anche come “child grooming”.

La difesa, dal canto suo, sosteneva che non essendo stati compiuti meri atti sessuali, non si potesse configurare il reato di violenza sessuale. Riteneva che l’imputato non avrebbe leso il bene giuridico della libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale e del corretto sviluppo dell’integrità psico-fisica della minore.

La decisione

Con la sentenza n. 25266/2020 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso con cui l’indagato deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione.

I giudici di legittimità hanno ritenuto pienamente integrato il reato di violenza sessuale pur in assenza di contatto fisico con la vittima evidenziando, inoltre, l’elemento della minaccia e la strumentalizzazione della minore età della vittima.

Conclusioni

Con la recente pronuncia si assottiglia la linea di confine tra il reato di adescamento di minorenne e quello di violenza sessuale.

Si evidenzia che la giurisprudenza ha inteso prestare maggiore attenzione ai reati connotati da condotte poste in essere tramite strumenti telematici. A questi infatti si riconosce l’idoneità di prestarsi quali strumenti idonei alla realizzazione dei reati, capaci di arrecare tragici risvolti psicologici e sociologici.

Il reato di corruzione di minorenne

Il reato di corruzione di minorenne (articolo 609 quinquies) è stato introdotto nel codice di rito nel 1996 e riformato successivamente nel 2012.

Dopo la riforma, dottrina e giurisprudenza si sono occupate di definire la natura giuridica del reato e gli elementi costitutivi dello stesso soprattutto quando le vittime sono soggetti deboli o gli autori incapaci di intendere e di volere.

La sentenza della Cassazione

La corte di Cassazione, con la pronuncia dell’11 maggio 2020, ha stabilito che il reato di corruzione di minorenne può porsi in essere anche in assenza di contatto fisico con la vittima. Secondo i giudici di legittimità infatti è possibile commettere reato anche tramite un mezzo di comunicazione telematico.

Il caso

Un uomo inviava ad una minore di anni 14 video pornografici sul suo cellulare inducendola  a compiere atti sessuali e segnatamente a ritrarsi nuda.

Analisi della norma

L’art. 609 quinquies, condanna espressamente “chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali.”

Con il termine “assistere” s’intende letteralmente “essere presente allo svolgimento di un fatto”, come si può assistere ad una lezione, ad una rappresentazione teatrale o alla proiezione di un film.

In relazione al caso di specie è sufficiente che il minore percepisca tali atti sessuali determinandone un turbamento. Non è necessario che questi vengano visti “dal vivo” potendo il minore “assistere” ad un fatto anche tramite un video.

Commettere il reato con le nuove tecnologie

Le nuove tecnologie, oggi, hanno aperto le porte a nuove forme di visione di fatti online, addirittura in formato “streaming”.

Ecco che la locuzione “fa assistere” deve essere letta in relazione al progresso tecnologico che determina numerosi risvolti negativi quali, ad esempio, la commissione di un fatto delittuoso.

Dall’ analisi del concetto di “mostrare” nonché da quello di “atto sessuale” così come ampliato dalle più recenti giurisprudenza, la Corte è giunta a ritenere che “Per il reato di corruzione di minorenne oltre all’esibizione diretta deve ritenersi comportamento rientrante nella norma anche l’esibizione sui social (nel caso WhatsApp) senza contatti fisici. Deve escludersi che le condotte poste in essere mediante mezzi telematici abbiano  connotazioni di minore lesività sulla sfera psichica del minore.”

La sentenza della Cassazione

Pertanto, con la pronuncia dell’11 maggio 2020 n. 14210 , gli Ermellini confermando le sentenze di merito di fatto condannavano l’uomo per il reato di corruzione di minorenne avvenuto tramite il mezzo whatsapp.

Potrebbe anche interessarti:”Palpeggiare una donna per scherzo è violenza sessuale”. Leggi qui. 

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La nuova compagna di papà può pubblicare le nostre foto sui social?

24 Luglio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

La nuova compagna del padre non può pubblicare sui social le foto dei figli di lui  senza il consenso di entrambi i genitori. (Tribunale di Rieti, ordinanza 7 marzo 2019)

Il fatto

Tizia è la nuova compagna del papà di due bambini. La donna, per lungo tempo, ha avuto l’abitudine di postare sui suoi profili social le foto dei figli del compagno, avuti da  Sempronia, da cui era separato. Foto tra l’altro spesso accompagnate da commenti non proprio edificanti rivolti a quest’ultima.

Sempronia, non condividendo la situazione, ha invitato Tizia – prima bonariamente – a rimuovere le foto dei bambini dai suoi profili social.  Questo primo tentativo purtroppo non è andato a buon fine. Quindi Sempronia ha reiterato la sua richiesta con una diffida formale. 

Sembrava che questo strumento avesse convinto Tizia a desistere dai suoi comportamenti. In realtà però, dopo qualche tempo, ha ricominciato a pubblicare le foto dei minori, seppur con il viso coperto.

Nel frattempo Sempronia e l’uomo decidono di divorziare. E nelle condizioni del divorzio hanno inserito una clausola ben precisa. Quella per cui solo i genitori avrebbero potuto pubblicare sui social le foto dei minori, e non terze persone. Salvo consenso congiunto di mamma e papà.

Incurante di tutto la nuova compagna dell’uomo, anche dopo il divorzio, ha continuato a pubblicare le foto dei bambini. Questa volta senza neanche l’accortezza di coprirne il viso.

Di fronte a questo ulteriore affronto Sempronia ha definitivamente perso la pazienza. E si è rivolta al Tribunale di Rieti, presentando ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

La decisione del Tribunale di Rieti

Il Tribunale di Rieti non solo ha accolto il ricorso di Sempronia, ma le ha dato ragione su tutti i fronti. 

Innanzi tutto, ha ricordato quali sono le norme che tutelano l’immagine e la vita privata dei minori. Prima fra tutte l’art. 10 c.c. (abuso dell’immagine altrui). A questa si aggiungano gli articoli 4, 7, 8 e 145 del c.d. “Codice della Privacy“. Altre norme fondamentali sono poi gli articoli 1 e 16 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. In particolare quest’ultimo articolo stabilisce che i minori non devono subire interferenza nella loro vita privata, nella famiglia, nella corrispondenza. E che la legge deve tutelare i fanciulli da queste interferenze. 

L’avvento dei social network – e della rete più in generale – ha creato l’esigenza di adattare lo scenario normativo alla nuova realtà digitale. Così, il 31 maggio 2018, è entrato in vigore in Italia il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali (regolamento UE 679/2016) . Secondo questa norma, anche le fotografie rientrano tra i c.d. dati personali. Per questo il loro trattamento (pubblicazione), quando si tratta di minori di 16 anni (in Italia 14) deve essere autorizzato da entrambi i genitori.

Inoltre il Tribunale di Rieti, richiamando una pronuncia di quello di Mantova ha ricordato che la pubblicazione sui social delle foto dei minori rappresenta un potenziale pregiudizio per loro. Infatti, le foto messe in rete, possono raggiungere un pubblico pressoché illimitato. Ciò espone i bambini al rischio di avvicinamento da parte di qualche malintenzionato, precedentemente attratto dalle loro foto on line. Per non parlare di coloro che, con procedimenti di fotomontaggio, possono ricavarne materiale pedopornografico.

Per tutte queste ragioni il Tribunale di Rieti ha stabilito una data entro cui alla nuova compagna del papà avrebbe dovuto rimuovere tutte le foto dei bambini. E ha fissato una sorta di “multa” di 50 euro per ogni giorno di ritardo. Ovviamente le ha anche inibito l’ulteriore pubblicazione delle foto dei minori senza il consenso di entrambi i genitori.

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Adescamento di minori sui social: negate le attenuanti.

10 Marzo 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’ adescamento di minorenne tramite social network finalizzato al rapporto sessuale, secondo la Cassazione, è una condotta subdola e grave. Quindi l’imputato non può godere delle attenuanti generiche e di quelle per minore gravità. (Cass. Pen. Sez. III, 14 febbraio 2018 n. 7006)

Il caso in oggetto è di quelli particolarmente odiosi. Un uomo invita una ragazzina infra quattordicenne a salire sulla sua auto. La bacia, le sfila pantaloni e slip e consuma con lei un rapporto sessuale completo.

 L’uomo aveva conosciuto la minorenne su un noto social network. Aveva aperto un profilo falso e si era finto un ragazzo diciassettenne. A niente sono valse le dichiarazioni di un suo amico, che senza tentennamenti aveva raccontato ai Giudici che tra i due vi fosse del sentimento.

E difatti i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto l’uomo colpevole del reato di atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.). La condanna: quattro anni di reclusione, pene accessorie, spese processuali e risarcimento del danno.

La Corte d’Appello di Napoli, in particolare, ha spiegato che l’adescamento sui social, aveva fortemente influito sulla quantificazione della pena. Quella specifica modalità di adescamento appariva infatti particolarmente grave.

Quindi l’uomo è ricorso in Cassazione. Lamentando, tra l’altro, la mancata applicazione delle attenuanti per minore gravità e delle attenuanti generiche. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso.

E ha spiegato che l’attenuante per minore gravità del fatto si applica solo a seguito  di una valutazione globale del fatto di reato. Valutazione che deve tenere conto anche dell’entità della compressione della libertà sessuale, delle condizioni fisiche e psicologiche della vittima e delle modalità dell’azione.

La Corte territoriale, a suo tempo già aveva confermato l’attendibilità della ragazza, sulla base di un certificato della psicologa. Dall’analisi psicologica emergeva la figura di una ragazza fragile, provata dalla recente separazione dei genitori che le aveva provocato un vuoto affettivo. La certificazione descriveva una ragazza desiderosa di apparire più matura agli occhi di quest’uomo, che esercitava su di lei una forte influenza.

L’ adescamento della minorenne tramite social network poi, a detta della Cassazione, dimostra una accentuata insidiosità della condotta. Infatti tale modalità di adescamento era finalizzato all’ottenimento di foto spinte prima, e ad instaurare una relazione di fiducia con la minorenne poi. Il tutto al solo fine di ottenere un rapporto sessuale completo.

Pertanto, considerato tutto questo, insieme all’estrema gravità del fatto, la Suprema Corte ha considerato correttamente effettuato il calcolo della pena, rigettando il ricorso dell’uomo.

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Esposizione dei minori sui social nell’era del web 2.0: il caso Ferragnez

5 Novembre 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Soltanto sette mesi di vita ed è già una star del web. È il piccolo Leone Lucia, meglio conosciuto come “Baby Ferragnez”,  figlio del rapper Fedez e dell’influencer Chiara Ferragni. La mamma e il papà, star del web, condividono sui social foto e video del piccolo, coinvolgendo i fan in ogni istante della loro vita familiare. È davvero soltanto una libera scelta dei genitori?

Da quando è nato, Baby Ferragnez, è protagonista indiscusso del mondo social, e da quando è nato l’opinione pubblica critica  questa esposizione mediatica incontrollata cui i genitori lo sottopongono. Le critiche si sono anche inasprite in occasione della recente operazione subita dal bambino, documentata dai genitori attraverso i rispettivi profili sui social network.

Accade spesso che i genitori che postano, più o meno indiscriminatamente, foto dei figli minori vengano criticati. Naturalmente le critiche sono tanto più aspre quanto più sono alti gli interessi in gioco.

Il web permette che immagini e dati personali si diffondano senza che nessuno possa operarne un effettivo controllo, ed è per questo che l’esposizione di foto di minori è un’attività indiscutibilmente rischiosa, sopratutto per i minori in questione ecco perché il tema assume rilevanza sotto il profilo giuridico.

In alcuni casi infatti, il giudice può valutare se vi sia o meno un corretto esercizio della responsabilità genitoriale. 

L’ordinamento italiano tutela sia il diritto all’immagine che quello alla riservatezza del minore. E numerosi Tribunali italiani hanno definito come potenzialmente lesivo l’abuso di condivisioni di immagini di minori sui social.

Nel 2017 un sedicenne si è rivolto al Tribunale di Roma per richiedere un rimedio all’emorragia di sue immagini sul web da parte dei genitori. E il Tribunale, riconoscendo la violazione della privacy del minore, ha vietato la prosecuzione di queste condotte, ordinando la rimozione immediata delle immagini caricate (Tribunale di Roma, sez I civ, 23 dicembre 2017, ord.).

A distanza di mesi, il Tribunale di Mantova, ha stabilito che un genitore non può pubblicare foto dei figli senza il consenso dell’altro, con l’ordine di rimuovere quelle già in rete (Tribunale di Mantova,  19 settembre 2017).

È per questo che il diritto alla privacy dei soggetti deboli necessita di una tutela rafforzata. Ancora di più se con l’espressione “soggetti deboli” intendiamo:

– ragazzi emotivamente fragili

– bambini in tenera età che non possono esprimere valutazioni e consensi. 

Le due pronunce si fondano su un eguale comune denominatore: il preminente interesse del minore.

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