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casa coniugale

Diritto di abitazione al coniuge superstite

15 Novembre 2021 Da Staff Lascia un commento

Diritto di abitazione: in caso di morte del coniuge, il coniuge superstite gode del diritto abitazione dell’immobile adibito a casa familiare se il bene è in comproprietà con terze persone?

La questione giuridica

La questione, più volte discussa in giurisprudenza, viene affrontata nuovamente dalla Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 29162/2021.

In particolare, la vicenda riguardava un giudizio avente ad oggetto la divisione di una comunione ereditaria.  Nel corso del procedimento, la vedova di uno dei comproprietari dell’immobile, rilevava che durante il matrimonio con quest’ultimo il predetto era adibito a casa coniugale. Pertanto, la donna chiedeva in via riconvenzionale, il diritto di uso e di abitazione sulla quota di un terzo della casa spettante al marito deceduto. In subordine, chiedeva la liquidazione in proprio favore per equivalente della suddetta quota.

Entrambe le domande però venivano rigettate dal Tribunale. La Corte di Appello adita, inoltre, in sede di gravame proposto dalla vedova confermava la decisione dei giudici di primo grado.

La donna ricorreva in Cassazione

Giunta alla valutazione di legittimità, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso. Ed in particolare, gli Ermellini chiarivano che: la locuzione “di proprietà del defunto o comuni“, contenuta nel secondo comma dell’art. 540 del Codice Civile, va interpretata alla luce della ratio del diritto di abitazione e della sua stretta connessione con l’esigenza di godere dell’abitazione familiare.

Nel prevedere l’ipotesi della casa comune, il legislatore si riferisce esclusivamente alla comunione con l’altro coniuge. Ciò tenuto conto che il regime della comunione è quello legale e quindi presumibilmente il più frequente a verificarsi; nel caso in cui vi sia un comproprietario, invece, sono esclusi i presupposti per la nascita del diritto di abitazione. Ed invero, in questo caso non realizzabile è l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il godimento pieno del bene oggetto del diritto.

Pertanto, il suddetto diritto di abitazione può sorgere solo se vi è la possibilità di soddisfare l’esigenza abitativa in concreto.

In conclusione

In sostanza, pertanto, il diritto di abitazione non nasce se l’esigenza abitativa non può soddisfarsi essendo l’immobile appartenente anche ad estranei.

Con la medesima pronuncia, la Corte di Cassazione, inoltre, esclude il diritto del coniuge superstite ad ottenere l’equivalente monetario nei limiti della quota di proprietà del coniuge defunto. Tale conclusione poiché, contrariamente ragionando, si finirebbe per attribuire “un contenuto economico di rincalzo al diritto di abitazione che, invece, ha un senso solo se apporta un accrescimento qualitativo alla successione del coniuge superstite, garantendo in concreto l’esigenza di godere dell’abitazione familiare”.

Potrebbe anche interessarti “Convivenza con altro uomo: non viene meno l’assegno di divorzio (Cass.26628/2021)”. Leggi qui.

 

 

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Assegnazione casa coniugale: la moglie può chiedere l’assegnazione dell’abitazione coniugale di proprietà del marito in assenza di figli?

24 Febbraio 2021 Da Staff Lascia un commento

 

In tema di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione, è legittima la domanda posta dalla moglie in assenza di figli se l’immobile è di proprietà esclusiva del marito?

Il caso

Una donna adisce il Tribunale chiedendo la separazione dal marito. La donna chiede anche l’assegnazione della casa coniugale e assume alla base della separazione l’intollerabilità della convivenza per la condotta del marito violento. Dal matrimonio non sono nati figli.

Questione giuridica

La questione giuridica affrontata dal Tribunale adito è la seguente: la moglie ha diritto ad ottenere l’abitazione della casa coniugale che però è di esclusiva proprietà del marito poiché acquistata prima del matrimonio?
Ebbene, la norma di riferimento in materia di assegnazione della casa familiare è l’art. 337-sexies c.c. il quale stabilisce «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli».

E’ evidente che la norma miri esclusivamente alla tutela dei figli, sebbene il destinatario del provvedimento di assegnazione sia il genitore. In particolare,  tale disciplina vuole garantire ai figli, specie se minorenni, la conservazione dell’ habitat domestico.

Alla luce di ciò, è possibile procedere all’assegnazione della casa coniugale in assenza di prole?

Ebbene, da tempo ormai è principio consolidato, sia in dottrina sia in giurisprudenza (Cass. civ. sent. n. 3934/2008), che il Giudice possa
procedere all’assegnazione della casa coniugale esclusivamente in presenza di figli conviventi, siano essi minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti economicamente.

Da ciò ne discende che in assenza di figli (come nel caso di specie) il coniuge non può pretendere né tanto meno ottenere l’assegnazione della casa coniugale ( tra le tante cfr. Cass., civ., sez. I, 18 settembre 2013, n.
21334). In tali casi, in particolare, il diritto di proprietà non può subire alcuna compromissione e il godimento della casa coniugale sarà regolata secondo la normativa generale in tema di proprietà esclusiva, oppure quella in tema di scioglimento della comunione in caso di comproprietà tra i coniugi dell’immobile.

L’assegnazione della casa coniugale non è una misura assistenziale

Sotto il profilo giuridico, quindi, l’assegnazione della casa coniugale non è  una misura assistenziale.  Si tratta di un istituto che ha la precipua finalità di tutelare la prole, indipendentemente dalla proprietà esclusiva o concorrente dei coniugi.
Sennonché solo l’interesse dei figli a non subire ulteriori cambiamenti dovuti alla crisi familiare e a conservare un minimo di continuità e regolarità di vita rappresentano gli unici motivi che possono spingere a sacrificare il diritto di proprietà.
Il Giudice, in assenza di figli, semmai terrà in considerazione la condizione del coniuge economicamente più debole ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento in suo favore.

Potrebbe anche interessarti: “Scioglimento della comunione legale dei beni”. Leggi qui.

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Abitazione familiare: nessun diritto di abitazione per il coniuge superstite se la casa non è più adibita ad abitazione familiare

30 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

L’abitazione familiare non può essere oggetto del diritto di abitazione nei confronti del coniuge superstite se, al momento dell’apertura della successione, manca il requisito della convivenza (Cass. Civ.  5 giugno 2019 n. 15277).

Il caso

Una donna esercitava l’azione di riduzione con riferimento alla successione testamentaria del coniuge separato. Quest’ultimo, in particolare, aveva disposto, a favore della moglie, dalla quale era separato, un legato di usufrutto. Tale legato veniva  qualificato dai giudici quale legato in sostituzione di legittima.

Il Tribunale e la Corte di Appello dichiaravano inammissibile il ricorso

Tanto il Tribunale quanto la Corte di Appello dichiaravano inammissibile il ricorso. I Giudici di merito rilevavano che la rinuncia al legato era intervenuta tardivamente. Ossia dopo che la legataria aveva continuato ad abitare nella ex casa coniugale, ricompresa nel legato.

La donna pertanto ricorreva in Cassazione. La predetta sosteneva nel ricorso l’errata qualificazione giuridica, da parte dei Giudici di merito, dell’utilizzo dell’appartamento. Tale utilizzo avrebbe dovuto essere qualificato, a dire della donna, come esercizio del diritto di abitazione spettante quale ex coniuge; e non quale esercizio del diritto di usufrutto.

Il problema giuridico affrontato dalla Corte di Cassazione

La questione affrontata dalla Corte di Cassazione è la seguente: al coniuge separato superstite spetta il diritto di abitazione nella casa coniugale sic et simpliciter (quindi senza riserve e valutazioni)? o è necessario che vengano rispettati particolari requisiti?

Soluzioni giurisprudenziali

La Suprema Corte di Cassazione afferma che: elemento imprescindibile all’attribuzione al coniuge superstite del diritto di abitazione è l’effettiva esistenza di un immobile adibito a casa familiare. Tale circostanza presuppone, pertanto, l’esistenza di una convivenza nel momento dell’apertura della successione.

Con l’ordinanza n. 15277 del 2019 la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della donna. In particolare i giudici di legittimità hanno richiamato  l’orientamento giurisprudenziale prevalente. 

Nel dettaglio, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica prospettata dalla Corte di Appello.  Invero, la permanenza presso l’abitazione della ex moglie doveva qualificarsi  come esercizio del diritto di usufrutto oggetto del legato. Non poteva, di contro, essere qualificato quale esercizio del diritto di abitazione ex art 540 c.c., considerato che marito e moglie non convivevano già da tempo.

Conclusivamente

Il coniuge superstite separato potrà godere del diritto di abitazione dell’immobile solo se quest’ultimo è adibito ad abitazione familiare. Ciò presuppone, quindi, che i coniugi, anche se separati, di fatto convivano.  E’ necessario inoltre il soddisfacimento di un ulteriore requisito. Ossia la separazione non deve essere stata addebitata al coniuge superstite.

L’assenza di uno dei sopra descritti requisiti comporta l’impossibilità per il coniuge superstite di richiedere il diritto di abitazione.

Potrebbe anche interessarti “Niente pensione di reversibilità se manca l’assegno divozile” leggi qui.

 

 

 

 

 

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