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violenza

Reati sessuali: le vittime di reati sessuali devono essere ammesse al Patrocinio a Spese dello Stato a prescindere dal reddito

21 Gennaio 2021 Da Staff Lascia un commento

La Corte Costituzione con la sentenza n. 1 dell’11 gennaio scorso afferma la legittimità della previsione dell’ammissione al patrocinio a Spese dello Stato per le vittime di reati sessuali, in particolare se persone offese sono minori e ciò prescindere dalle condizioni economiche.

La questione giuridica

La Corte Costituzionale è stata chiamata a decidere sulla questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 3, Cost., dell’art. 76, comma 4-ter del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)”, nella parte in cui, determina l’automatica ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, di cui agli artt. 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater e 612 bis nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, a prescindere dai limiti di reddito di cui al precedente comma 1 e senza riservare alcuna discrezionalità valutativa al giudice.

Anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. penale n.52822 del 2018) afferma il diritto della persona offesa da uno dei reati sopra elencati (principalmente reati sessuali) a fruire del Patrocinio a Spese dello Stato per il solo fatto di essere appunto persona offesa, indipendentemente dalle condizioni reddituali. Tale normativa si fonda sulla necessità di assicurare alle vittime di tali reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale .

Tale interpretazione istituisce un automatismo legislativo. In particolare al solo verificarsi del suo presupposto, ovvero assumere la veste di persona offesa da uno dei reati indicati dalla norma, si determina l’ammissione al beneficio. Il giudice, quindi, non ha alcun margine di valutazione  in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali.

La questione di legittimità costituzionale

La questione di legittimità sollevata dal GIP del Tribunale di Tivoli si fonda sulla circostanza che la normativa di riferimento viola il principio di uguaglianza. Contrasta, inoltre, con l’affermazione contenuta nell’art. 24 Cost. la quale dispone che “sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.”

Necessità di contemperamento tra diritto di difesa e contenimento della spesa pubblica

Il GIP sottolinea la necessità di raggiungere l’obiettivo di limitare le spese giudiziali. Evidenzia, inoltre, che in tema di Patrocinio a Spese dello Stato, occorre individuare un punto di equilibrio tra: garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia.”

Il remittente sottolinea inoltre che l’ammissione indiscriminata e automatica al beneficio di qualsiasi persona offesa da uno dei reati indicati dalla norma porterebbe a includere anche soggetti di eccezionali capacità economiche, a discapito della necessaria salvaguardia dell’equilibrio dei conti pubblici e di contenimento della spesa in tema di giustizia.

La decisione della Corte Costituzionale

Di diverso avviso è la Corte Costituzionale. Secondo il giudice delle leggi la normativa richiamata non lede affatto le norme costituzionali. Ciò avendo riguardo alla vulnerabilità delle vittime dei reati sessuali oltre che alle esigenze di garantire il venire alla luce di tali reati.

Peraltro, la Corte Costituzionale richiama nelle proprie argomentazioni le norme volte  a introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale.

Scelta di indirizzo politico-criminale

La Corte Costituzionale evidenzia che la scelta di garantire il Patrocinio a Spese dello Stato alle vittime di reati sessuali, a prescindere dal reddito, è di  di indirizzo politico-criminale. Tale scelta ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, molto vulnerabile a causa della natura dei reati di cui è vittima. Mira, inoltre, a incoraggiare la stessa a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità.

Per tali motivi, la Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 3, Cost., nella parte in cui determina l’automatica ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato delle persone offese dai reati indicati dalla norma medesima.

Potrebbe anche interessarti “Violenza sessuale e corruzione di minorenne tramite social”. Leggi qui. 

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Un abbraccio forzato può configurare il reato di violenza sessuale

11 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

Un abbraccio forzato, senza il consenso della persona che lo riceve, può configurare il reato di violenza sessuale.A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 378 del 09.01.2020.

Il caso

Un uomo veniva condannato, dai giudici di primo grado, per il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p. per avere abbracciato, contro la sua volontà, una vicina di casa. In particolare la donna tendeva la mano per salutare il vicino, ma questi, forzosamente abbracciava la donna. Tale contatto, secondo la persona offesa, sarebbe avvenuto  perché l’uomo, un settantenne, voleva aderire con il proprio corpo i seni della vicina.

L’uomo ricorreva in Corte di Appello

La Corte di Appello riteneva logico e corretto il ragionamento motivazionale dei giudici di primo grado. Pertanto confermava la condanna emessa nell’ambito del giudizio abbreviato a cui l’imputato aveva richiesto essere ammesso.

La Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso

La Corte di Cassazione investita della questione riteneva inammissibile il ricorso proposto dall’imputato. Quest’ultimo, sebbene non contestasse la natura sessuale degli atti, riteneva che gli stessi non configurassero il reato di  violenza sessuale. Ciò in quanto assenti sia la violenza sia il mancato consenso della persona offesa. Ebbene, l’uomo lamentava che  i giudici non avevano considerato la circostanza che la persona offesa sapeva dell’assenza da casa della moglie dell’imputato e pertanto alcun inganno poteva contestarsi. Peraltro, sempre secondo l’imputato, la donna avrebbe dovuto manifestare un esplicito e chiaro dissenso agli approcci dell’imputato.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 378/2020  sottolineava che  il ricorrente ripresentava in sede di legittimità le stesse rimostranze avanzate in sede d’appello. Peraltro, non veniva mai contestata la natura sessuale degli atti. Men che mai veniva messa in discussione l’attendibilità della vittima.

Elementi del reato di violenza sessuale

Nella propria motivazione la Corte ribadiva che per costante giurisprudenza il reato di violenza sessuale si configura anche in presenza di atti intimidatori capaci di provocare la coazione della vittima a subire atti sessuali, quindi anche in caso di abbraccio forzato.

Nel caso di specie l’imputato commetteva atti di libidine repentini e subdoli, senza prima accertarsi del consenso della vittima o prevenendone in ogni caso il dissenso. Di conseguenza, per la configurazione del reato de quo, la violenza non deve necessariamente impedire alla vittima di opporre resistenza.  Secondo gli ermellini è sufficiente che il soggetto agente compia in modo insidiosamente rapido i suoi atti “tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo”.

Tornando al caso di specie, dal racconto della vittima emergeva che la persona offesa tendeva la mano per salutare l’imputato, il quale la afferrava improvvisamente per un braccio per attirala in un abbraccio, che metteva in contatto i due corpi, compreso il seno della donna e i genitali dell’uomo.

Potrebbe interessarti anche “Palpeggiare una donna per scherzo è violenza sessuale”, leggi qui.

 

 

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Violenza assistita: conseguenze sui bambini e forme di tutela

3 Gennaio 2020 Da Staff Lascia un commento

Cosa è la violenza assistita?

La violenza assistita è quella forma di maltrattamento a cui sono costretti i minori degli anni 18 compiuta attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative del minore che assiste.

Tale nozione, elaborata dalla scienza psicologica e medica, è stata fatta propria dai tecnici del diritto i quali hanno introdotto nel nostro ordinamento delle specifiche aggravanti nei casi di violenza assistita.

In particolare i riferimenti normativi nazionali sono:

l’art. 61 n. 11-quinquies c.p. e l’art. 572 comma 3 c.p.

Ebbene, entrambe le norme prevedono un aumento del trattamento sanzionatorio se il fatto di reato è commesso in presenza o in danno di un minore (o di persona in stato di gravidanza o di persona con disabilità).

Conseguenze della violenza assistita

Tutte le forme di violenza, specie quelle che avvengono tra le mura domestiche, hanno conseguenze dannose e devastanti nei confronti delle vittime. Allo stesso modo, conseguenze negative e devastanti subiranno i minori costretti ad assistere ad atti di reiterata violenza perpetrati ai danni di un familiare. A riguardo, pertanto,  si considera persona offesa dal reato anche il minore che assiste alla violenza pur non subendola.

L’estensione della tutela alle vittime che assistono alla violenza ha una precisa finalità: prevenire ricadute di tipo psicologico e comportamentale sui minori costretti alla percezione di atti violenti ai danni di componenti della famiglia. Invero, un minore obbligato ad assistere a manifestazioni aggressive può subire conseguenze gravissime. In particolare tale partecipazione può influire negativamente sul suo processo di crescita. A sua volta il minore, da adulto, potrebbe emulare le condotte maltrattanti. Possibilità, quest’ultima, che si vorrebbe scongiurare creando strumenti di tutela e di protezione. 

Strumenti di tutela

La condotta maltrattante, oltre a costituire l’elemento oggettivo di un reato particolarmente grave, il reato di maltrattamenti ex art 572 c.p.,  trova tutela anche in sede civile.

In particolare, il riferimento è agli ordini di protezione contro gli abusi familiari ex artt. 342-bis e ter c.c.

La tutela civilistica consiste nell’allontanamento dalla casa familiare e nel divieto di avvicinarsi a determinati luoghi del convivente violento. La suddetta tutela presuppone, per trovare applicazione, la sussistenza di un grave pregiudizio all’integrità fisica o morale o alla libertà del convivente. Tale disciplina mira a tutelare le ipotesi di abuso anche quando le stesse siano prive del requisito dell’abitualità tipiche dei maltrattamenti.

Obiettivi 

Purtroppo la cronaca giudiziaria degli ultimi anni ha messo in evidenza un aumento senza precedenti dei casi di violenza familiare. Probabilmente ciò deriva dal moltiplicarsi delle denunce che nel passato non venivano presentate. L’obiettivo dello Stato è volto ad arginare il drammatico fenomeno e ad impedire i gravi danni sui minori obbligati a crescere e ad assistere alla violenza. 

Potrebbe anche interessarti “Codice Rosso: l’entrata in vigore della legge 69/2019 a tutela delle vittime di violenza domestica, sarà sufficiente?”, leggi qui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Maltrattamenti ai bambini negli asili: chi non denuncia è colpevole

31 Agosto 2018 Da Studio Legale Arcoleo 1 commento

(Cass. Pev. Sez. VI, 9 marzo 2018 n. 10763)
Maltrattamento di bambini: l’educatore che, pur sapendo, non denuncia le violenze avvenute all’asilo, è civilmente responsabile per i danni subiti dai bambini. Infatti è colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia in concorso con gli altri educatori, pur non avendo mai fatto personalmente del male ai minori, ma per il solo fatto di avere omesso di denunciare.

Un recente caso di cronaca di cui hanno parlato stampa e tg e che sui social ha scatenato le più aspre e incontrollate reazioni.
In un asilo comunale due maestre, per circa quattro anni, hanno maltrattato i bambini, con strattoni, schiaffi, colpi  fino ad impedirne la respirazione. La cronaca racconta che siano arrivate anche a costringere i più inappetenti a mangiare il proprio vomito.

Oltre alle ovvie responsabilità di queste “educatrici” consideriamo quelle di un’altra maestra, che non ha partecipato al maltrattamento di bambini, ma che sapeva e non ha denunciato. Sapeva perché aveva visto e perché la aveva informata altro personale della scuola.

La Corte d’Appello di Bologna, in contrasto con quanto stabilito dal Tribunale in primo grado, aveva condannato la donna soltanto per aver omesso di denunciare la condotta delle colleghe ai sensi dell’art. 361 c.p.
Inoltre aveva valutato che non fosse civilmente responsabile per i danni patiti dai bambini, in quanto tra questi e la condotta dell’imputata non vi sarebbe stata alcuna relazione diretta. La maestra pertanto non era tenuta ad alcun risarcimento. [Leggi di più…] infoMaltrattamenti ai bambini negli asili: chi non denuncia è colpevole

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