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legge

Giudizi de potestate: fondamentale che il minore sia assistito da un curatore speciale

13 Dicembre 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Ancora una volta la Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza in esame, si è pronunciata in tema di rappresentanza legale del minore ed ha stabilito che, nei giudizi cd. “de potestate”, il minore deve essere assistito da un curatore speciale che ha il compito di formulare richieste nel suo esclusivo interesse (Cass. Civ., sez. I, ord. 12/11/2018 n. 29001)

Cosa si intende per giudizi o procedimenti de potestate?

La potestà genitoriale comprende l’insieme di diritti e doveri che la legge riconosce ai genitori verso i figli minori nel loro unico ed esclusivo interesse.

Si è preferita la locuzione “responsabilità genitoriale” a quella di “potestà genitoriale” perché in questo modo l’attenzione si sposta dal concetto di potere a quello di dovere.

I genitori, esercitando la responsabilità sui figli minori ancora incapaci di agire, hanno il dovere di prendere tutte le decisioni volte alla cura dei loro interessi patrimoniali e non, garantendo ad essi istruzione e formazione.

La responsabilità genitoriale spetta ad entrambi i genitori, pertanto, deve essere esercitata di comune accordo.
Tuttavia, non sono rari i casi in cui questo accordo viene meno: la risoluzione dei contrasti spetta al Tribunale per i Minorenni.

Il procedimento de potestate è il modello di procedimento minorile per eccellenza ed è stato oggetto di interventi giurisprudenziali, proprio per facilitare l’adattamento del diritto alle trasformazioni sociali della famiglia quale nucleo sociale.

Si tratta di un tipo di procedimento rientrante nella categoria della volontaria giurisdizione.

Questo tipo di procedimento trova la sua disciplina normativa negli articoli 330 ss del codice civile; in particolare, l’art. 336 afferma che:

“[…] i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore”

Peccato che il legislatore non dia nessuna altra indicazione circa il modo di garantire la difesa del minore e spetta, dunque, agli operatori della giustizia minorile sopperire a tali inesattezze.

Proprio in questo senso si inserisce la pronuncia della Cassazione in tema di rappresentanza legale del minore nel giudizio avente ad oggetto la decadenza dalla responsabilità genitoriale.

La vicenda vede quali protagonisti due genitori che si rivolgono al Tribunale per i Minorenni competente chiedendo ciascuno la decadenza della responsabilità genitoriale dell’altro.

Il TM dichiara la decadenza della sola madre. Avverso tale decreto la donna ricorre in Cassazione, sostenendo la mancata sussistenza dei presupposti richiesti dall’art  330 cc.

La Corte eccepisce la mancata nomina di un curatore nell’interesse del minore. Infatti, nei procedimenti de potestate il minore è parte necessaria del giudizio per cui anche nei suoi confronti il principio del contraddittorio deve essere garantito. La mancata integrazione del contraddittorio comporta la nullità del procedimento stesso, ai sensi dell’art. 354 c.1 cpc.

Già precedenti pronunce sul tema avevano chiarito che nei giudizi di questo tipo, la posizione del minore è contrapposta a quella dei genitori anche nell’ipotesi in cui il provvedimento sia richiesto contro uno solo di essi, proprio perché non è possibile stabilire preliminarmente se vi è coincidenza di interessi tra lo stesso e il genitore.

Da qui la necessità di nominare, anche d’ufficio, un curatore speciale che assista il minore nella vicenda che lo vede protagonista il cui compito sia di tutelare la sua posizione anche quando il contrasto tra le posizioni sia solo potenziale.

Nel caso di specie il conflitto era certo e per tale motivo occorreva affidare la posizione del bambino ad un curatore che avrebbe provveduto all’analisi del caso e all’avanzamento di richieste idonee nel solo interesse dello stesso.

Per questi motivi la Corte di Cassazione ha reso nullo il provvedimento; ha rinviato la causa al Tribunale per i Minorenni di Catania in diversa composizione per provvedere all’integrazione del contraddittorio in favore del minore.

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: conflitto tra i genitori, contrasto, Curatore, genitori, giudizio, legge, minori, potestà, responsabilità genitoriale, tribunale

Unioni Civili: il “cognome di coppia” è questione di legittimità costituzionale

22 Febbraio 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’ordinamento italiano riconosce le unioni civili e permette alle neo coppie di scegliere un cognome comune. Ma gli effetti di tale scelta sono limitati dagli art. 3 c.1 lett. c) e art. 8 del D. Lgs. 5/17. La legittimità costituzionale di queste disposizioni è stata messa in discussione dal Tribunale di Ravenna. (ord. 22 novembre 2017, n.32) 

Legittimare la scelta del cognome per una unione civile è stata una svolta per il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Grazie alla legge del 20 maggio 2016, n.76, infatti, le persone che formano una unione civile possono scegliere un cognome comune. Questo identifica la coppia e permette che le persone che la formano aggiornino i dati anagrafici personali.

Un anno dopo, entra in vigore del D.Lgs. 5/17, che, inspiegabilmente,  stabilisce che devono essere annullate le annotazioni relative alla scelta del cognome comune (art. 3 c.1 lett.c e art. 8). Di conseguenza, anche nei documenti di identità, deve essere ripristinato il cognome posseduto prima dell’unione civile.

Una pronuncia del Tribunale di Ravenna, appare determinante ai fini della tutela del diritto alla conservazione del nome e dell’identità personale.

Ma partiamo dall’inizio: una coppia celebrando la propria unione civile, sceglie come cognome  di “coppia” quello di una delle due parti. L’altra decide di anteporre il cognome comune al proprio. Questa scelta ha ovviamente comportato la modifica dei dati di quest’ultima su tutta la documentazione anagrafica: d’identità, sanitaria e così via.

Una volta entrato in vigore il D. Lgs. n. 5 del 2017, questa persona ha visto  eliminato il cognome aggiunto da tutti i documenti anagrafici. La coppia presenta  ricorso al Tribunale di Ravenna, sottolineando la questione identitaria e la scelta legittima della coppia.

Il Tribunale di Ravenna ha dichiarato fondato il ricorso ma ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale che dovrà valutare se gli articoli del decreto violino il diritto, costituzionalmente garantito, al nome e all’identità.

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: annullamento dell'annotazione cognome comune, cognome, cognome comune, dati anagrafici, documenti di identità, legge, omosessualità, ripristino del proprio cognome, unione civile, unioni civili

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