In Italia il matrimonio omosessuale non è riconosciuto. Quindi se una coppia dalla nazionalità mista (italiano-straniero) si sposa in un paese europeo non potrà trascrivere la propria unione se non come unione civile. (Cass. Civ.. Sez. I, 14 maggio 2018 n. 11696)
Una coppia omosessuale, formata da un cittadino italiano e da uno straniero si sposa in un paese europeo. I due rientrano poi in Italia, ma l’Ufficiale di Stato Civile dice di non poter trascrivere la loro unione come “matrimonio”. La Cassazione offre una soluzione di compromesso.
In Italia, come sappiamo, non è riconosciuto il matrimonio omosessuale, tuttavia, le coppie dello stesso sesso possono coronare il loro sogno d’amore celebrando un’unione civile.
Le unioni civili sono una forma di famiglia, introdotta nel nostro ordinamento dalla Legge n. 76 del 2006, riconosciuta e protetta dalla nostra Costituzione (art. 2) al pari di tutte le altre famiglie. Sebbene in Italia non si possa parlare di matrimonio omosessuale, tuttavia le unioni civili vi si avvicinano molto per quello che riguarda diritti e doveri.
Probabilmente ci si chiederà perché in Europa non si sia raggiunta una linea comune per il riconoscimento delle unioni omoaffettive. Ma non è questa la sede per valutazioni del genere. Quello che conta è che sia la Carta dei diritti fondamentali U.E., sia la Cedu non hanno imposto il matrimonio come unico modello per riconoscere giuridicamente le unioni omoaffettive. Tuttavia hanno espressamente imposto che la protezione dei diritti sia la stessa.
Questa diversità di situazioni tra i vari paesi dell’Unione Europea, crea però dei gravi inconvenienti, anche perché spesso le leggi nazionali non riescono a prevedere e regolare tutti i casi possibili.
Ed infatti, in Italia, esiste sì una norma, la legge n. 218 del 1995, all’ art. 32 bis, che regola una situazione simile, ma non uguale, a quella del nostro caso. Quella di matrimonio celebrato all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso. In questi casi – ci spiega la norma – si verifica un downgrading, un declassamento: in Italia, dunque il matrimonio celebrato all’estero tra due cittadini italiani dello stesso sesso viene trascritto come unione civile. Quindi quel matrimonio verrà in un certo senso “depotenziato” sia dal punto di vista della forma, sia anche degli effetti, anche se poi i diritti e doveri delle due forme di famiglia si somigliano.
Cosa succede però se il matrimonio è stato celebrato all’estero, non tra due cittadini italiani, ma da un italiano e uno straniero? La Cassazione stabilisce che anche in questi casi si applica l’art. 32 bis della Legge 218/1995, e quindi l’atto di matrimonio non si può trascrivere in quanto tale, ma come unione civile.
Non è un problema solo di forma ma di sostanza. Questo vuol dire che in Italia, il matrimonio omosessuale celebrato all’estero si trasformerà, a tutti gli effetti, in un’unione civile.
La Suprema Corte specifica che questo “depotenziamento” non è una discriminazione per motivi di orientamento sessuale, proprio perché gli Stati del Consiglio d’Europa – come abbiamo detto – sono liberi di scegliere il modello da adottare per il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. E la legge nazionale, come ovvio, prevale sulla legge straniera!