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unione civile

Matrimonio omosessuale celebrato all’estero: downgrading in Italia

14 Settembre 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

In Italia il matrimonio omosessuale non è riconosciuto. Quindi se una coppia dalla nazionalità mista (italiano-straniero) si sposa in un paese europeo non potrà  trascrivere la propria unione se non come unione civile. (Cass. Civ.. Sez. I, 14 maggio 2018 n. 11696)

Una coppia omosessuale, formata da un cittadino italiano e da uno straniero si sposa in un paese europeo. I due rientrano poi in Italia, ma l’Ufficiale di Stato Civile dice di non poter trascrivere la loro unione come “matrimonio”. La Cassazione offre una soluzione di compromesso.

In Italia, come sappiamo, non è riconosciuto  il matrimonio omosessuale, tuttavia, le coppie dello stesso sesso possono coronare il loro sogno d’amore celebrando un’unione civile.

Le unioni civili sono una forma di famiglia, introdotta nel nostro ordinamento dalla Legge n. 76 del 2006, riconosciuta e protetta dalla nostra Costituzione (art. 2) al pari di tutte le altre famiglie. Sebbene in Italia non si possa parlare di matrimonio omosessuale, tuttavia le unioni civili vi si avvicinano molto per quello che riguarda diritti e doveri.

Probabilmente ci si chiederà perché in Europa non si sia raggiunta una linea comune per il riconoscimento delle unioni omoaffettive. Ma non è questa  la sede per valutazioni del genere. Quello che conta è che sia la Carta dei diritti fondamentali U.E., sia la Cedu non hanno imposto il matrimonio come unico modello per riconoscere giuridicamente le unioni omoaffettive. Tuttavia hanno espressamente imposto che la protezione dei diritti sia la stessa.

Questa diversità di situazioni tra i vari paesi  dell’Unione Europea, crea però dei gravi inconvenienti, anche perché spesso le leggi nazionali non riescono a  prevedere e regolare tutti i casi possibili.

Ed infatti, in Italia, esiste sì una norma,  la legge n. 218 del 1995, all’ art. 32 bis, che regola una situazione simile, ma non uguale, a quella del nostro caso. Quella di matrimonio celebrato all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso. In questi casi – ci spiega la norma – si verifica un downgrading, un declassamento: in Italia, dunque il matrimonio celebrato all’estero tra due cittadini italiani dello stesso sesso viene trascritto come unione civile. Quindi  quel matrimonio verrà in un certo senso “depotenziato” sia dal punto di vista della forma, sia anche degli effetti, anche se poi i diritti e doveri delle due forme di famiglia si somigliano.

Cosa succede però se il matrimonio è stato celebrato all’estero, non tra due cittadini italiani, ma da un italiano e uno straniero? La Cassazione stabilisce che anche in questi casi  si applica l’art. 32 bis della Legge 218/1995, e quindi l’atto di matrimonio non si può trascrivere in quanto tale, ma come unione civile. 

Non è un problema solo di forma ma di sostanza. Questo vuol dire che in Italia, il matrimonio omosessuale celebrato all’estero si trasformerà, a tutti gli effetti, in un’unione civile.

La Suprema Corte specifica che questo “depotenziamento” non è  una discriminazione per motivi di orientamento sessuale, proprio perché gli Stati del Consiglio d’Europa – come abbiamo detto – sono  liberi di scegliere il modello da adottare per il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. E la legge nazionale, come ovvio, prevale sulla legge straniera!

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: declassamento, downgrading, matrimonio omosessuale, trascrizione matrimonio, unione civile

Unioni Civili: il “cognome di coppia” è questione di legittimità costituzionale

22 Febbraio 2018 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

L’ordinamento italiano riconosce le unioni civili e permette alle neo coppie di scegliere un cognome comune. Ma gli effetti di tale scelta sono limitati dagli art. 3 c.1 lett. c) e art. 8 del D. Lgs. 5/17. La legittimità costituzionale di queste disposizioni è stata messa in discussione dal Tribunale di Ravenna. (ord. 22 novembre 2017, n.32) 

Legittimare la scelta del cognome per una unione civile è stata una svolta per il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali. Grazie alla legge del 20 maggio 2016, n.76, infatti, le persone che formano una unione civile possono scegliere un cognome comune. Questo identifica la coppia e permette che le persone che la formano aggiornino i dati anagrafici personali.

Un anno dopo, entra in vigore del D.Lgs. 5/17, che, inspiegabilmente,  stabilisce che devono essere annullate le annotazioni relative alla scelta del cognome comune (art. 3 c.1 lett.c e art. 8). Di conseguenza, anche nei documenti di identità, deve essere ripristinato il cognome posseduto prima dell’unione civile.

Una pronuncia del Tribunale di Ravenna, appare determinante ai fini della tutela del diritto alla conservazione del nome e dell’identità personale.

Ma partiamo dall’inizio: una coppia celebrando la propria unione civile, sceglie come cognome  di “coppia” quello di una delle due parti. L’altra decide di anteporre il cognome comune al proprio. Questa scelta ha ovviamente comportato la modifica dei dati di quest’ultima su tutta la documentazione anagrafica: d’identità, sanitaria e così via.

Una volta entrato in vigore il D. Lgs. n. 5 del 2017, questa persona ha visto  eliminato il cognome aggiunto da tutti i documenti anagrafici. La coppia presenta  ricorso al Tribunale di Ravenna, sottolineando la questione identitaria e la scelta legittima della coppia.

Il Tribunale di Ravenna ha dichiarato fondato il ricorso ma ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale che dovrà valutare se gli articoli del decreto violino il diritto, costituzionalmente garantito, al nome e all’identità.

Archiviato in:Legge e Giurisprudenza Contrassegnato con: annullamento dell'annotazione cognome comune, cognome, cognome comune, dati anagrafici, documenti di identità, legge, omosessualità, ripristino del proprio cognome, unione civile, unioni civili

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