Telefonate mute o squilli anonimi, se ripetuti nel tempo con frequenza molesta, costituiscono reato. E poco importa che l’intenzione è di fare uno scherzo ad un amico (Cassazione Penale, Sez. I, n. 13363/2019).
Una ragazza sporge denuncia. Da tempo infatti, sia di giorno che di notte, riceveva numerose telefonate mute e squilli anonimi da un’utenza a lei sconosciuta. Queste circostanze le hanno causato una forte paura, oltre all’inevitabile disturbo.
Le indagini sui tabulati telefonici della vittima hanno appurato che l’anonimo disturbatore era un suo amico. Nonostante questa rivelazione abbia in qualche modo tranquillizzato la ragazza, il turbamento patito non era nei fatti diminuito.
Il Tribunale, allora, ha condannato il ragazzo al pagamento di Euro 200,00 di ammenda, in quanto colpevole del reato di cui all’art. 660 c.p. La norma punisce, tra l’altro, chi, anche mediante telefono, provoca molestia o disturbo ad altre persone.
Il giovane ha quindi proposto ricorso in Cassazione. A suo dire il giudice di merito aveva erroneamente applicato l’art. 660 c.p.. Infatti, dalle deposizioni della persona offesa non si evinceva nè interferenza alla sua libertà, nè cambiamenti nel suo stile di vita a causa del comportamento molesto. Inoltre non vi era prova che la ragazza avesse patito un disagio psichico o un giustificato timore per la sua sicurezza.
Il ragazzo insisteva poi nel fatto che le telefonate mute fossero solo uno scherzo. Quindi il Tribunale avrebbe sbagliato non riconoscendogli la causa di non punibilità per tenuità del fatto ex art. 131bis c.p.
La Cassazione però ha rigettato il ricorso del ragazzo, condannandolo anche alle spese processuali.
E ha ribadito che il reato in oggetto “consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata”.
E purtroppo – ha specificato la Suprema Corte – sono irrilevanti le motivazioni che spingono a porre in essere quella condotta. Quindi, che si tratti di uno scherzo, poco importa! Se il modo di agire è “pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente“, si configura reato.